Lo sai che bisogna riuscire ad ammetterla.
La resa, una parola giusta per l’occasione.
Un’immagine. Un corpo orizzontale.
Uno scenario. Una discarica, un corteo di topi.
La musica.
Un pianosequenza. Niente tagli. Avvicinarsi lentamente a quel corpo.
La calda voce di Elvis. Una canzone. I can’t help falling in love with you.
La resa.
La mandria di uomini oltre il recinto, a testa bassa per le strade, con il sudore che impregna l’aria di un tanfo nauseabondo.
I loro occhi bianchi, i vestiti firmati, le teste ciondolanti.
E’ troppo anche per me, rimanere seduto in questa stanza, senza riuscire ad esprimermi.
Le giornate di sole, il mare e la musica. La sabbia dorata, il riflesso delle onde e una pistola in una tasca. I vestiti degli anni venti, le donne erano bellissime e la notte mettevano scarpe con i tacchi alti. Le vedevo danzare all’interno di caffè pieni di fumo, sulle note del tango argentino, fra bicchieri di anice e assenzio. La notte era magica, come le tue gambe e i tuoi capelli, i tuoi piedi volteggiavano su un pavimento di disegni azzurri, seduto in un angolo ti guardavo ballare, mentre una fiamma bruciava una zolletta di zucchero su un cucchiaino d’argento. Si fumavano sigari cubani e sigarette dai nomi orientali.
Più tardi si usciva dai locali, si saliva su vecchie automobili e si andava verso il mare. La sabbia era fredda, l’aria aveva un buon profumo. Sentivi il sudore che si asciugava sulla pelle, tu avevi lo stesso odore della notte e le tue labbra erano giochi che non riuscivo a smettere di fare.
Poi le dita che risalivano fra le gambe.
La resa, una parola giusta per l’occasione.
E le ombre che ci abbandonano e le stelle e il loro ardere e lenzuola fresche e una stanza con un balcone da dove vedere la luna.
Un’immagine. Due figure orizzontali.
Uno scenario. Le dune e l’argento.
La musica. Miles Davis.
Il montaggio. Una serie di stacchi, i particolari del corpo.
La resa.
Di nuovo ad un tavolo a bere chardonnay ghiacciato. Occhiali da sole e cappello di panama. Qualcuno in un bagno con una siringa e una fiala di morfina. Torni da me con i tuoi occhi a spillo. Magra e impenetrabile. Mi soffi da vicino il tuo amore. Da dietro le lenti oscurate ti guardo. Finisco lo chardonnay ed esco dalla stanza.
Il tempo passato è una serie di sogni in bianco e nero. E dolci labbra senza più calore.
Poi uno spazio asettico e nessun abbraccio. Una voce mi assicura che non soffrirai. Non posso dire nulla, una sigaretta incollata al labbro. Guardarti da dietro quella porta è una dolore che non so fare mio. Guardarti come uno scheletro, con i tuoi piccoli scatti d’ira, i tuoi occhi lontani. La voce mi rassicura e dice che devo andare e dice che non ci sarà sofferenza. Come posso credere a queste bugie, quando la sofferenza è tutto quello che adesso conosco.
I brividi nella pelle.
Un ago che vorrebbe accarezzarla.
Un amore che non troverò più da nessuna altra parte.
Ti guardo per l’ultima volta e sento un vortice nello stomaco che risucchia tutto. Mi giro e gli occhi sono vuoti e lucidi. Entrando in macchina non so bene dove andare.
La musica è finita.
Le danze e la luna.
Le labbra e l’argento.
Tutto scivola e muore.
Questo il senso ultimo del nostro essere.
La resa.
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