lunedì 27 luglio 2020

Orgiva #7

Rallentamenti temporali, durante il giorno, con le calde ore che si imprimevano nel bianco delle facciate delle case, ridisegnando le direzioni visive da seguire, in fotogrammi e istantanee, percorsi quotidiani che il fotografo ripeteva in diversi momenti di luce e ombra e gli strani personaggi che lo scrittore inventava, facendoli apparire e svanire, seduti sui gradini, gli occhi che invocavano un aiuto che non sarebbe mai arrivato, ci avrebbero pensato le sostanze a creare i loro tragitti, i bisogni a denudare l’anima, fino a quando solo l’essenziale fosse rimasto, dosi e iniezioni e poi la sera me ne andavo a bere al Viejo Molino e Pepe mi portava una cerveza e alcune volte i doppi dei personaggi diventavano reali e si sedevano accanto a me, raccontandomi le loro storie mentre rimanevo ad ascoltarle in silenzio - distrazioni erotiche ogni volta che le cosce di una donna si accavallavano, i piedi nudi sospesi nel vuoto di inibizioni e astinenze, erezioni permanenti, voci che sussurravano piaceri proibiti dalle porte socchiuse, quando camminavo di notte, fra i vicoli e c’erano figure dagli sguardi misteriosi che mi catturavano e sentivo il loro odore e ne seguivo la scia, dentro i corridoi, nelle stanze segrete, il rumore dei tacchi su un pavimento, una eco di tangibili pratiche rituali, movenze femminili,  il bagliore della luna nell’azzurro costante del cielo, il segno di un antico linguaggio per sacerdotesse elettriche - le passeggiate fino al Barrio Alto, gli incontri con chi conosceva bene cosa darmi, le proiezioni della mente su una parete di amniotica quiete, lei seduta a gambe aperte, mentre si accarezza le mutandine con la punta di un vibratore in funzione, premonizioni astrali in assenza di orgasmi - i liquori sistemati in un armadio di legno, un barattolo pieno di olio di canapa, il vino custodito in un baule di zingari fuggiti chissà dove, le vecchie riviste che parlano di ferrovie e poeti morti e alte montagne e viaggi su rotaie che attraversavano paesaggi naturali in movimento di colori e stagioni sconosciute, gli scompartimenti di legno, i libri da leggere, un diario su cui appuntare le proprie emozioni - la temperatura oscillava nel corpo, statiche posizioni orizzontali, pellicole degli anni cinquanta da archivi di cineteche smembrate, gli artisti in piazza, a saltare e far capriole, donne con bambini urlanti intorno, chiudi le tue labbra sul mio cazzo e succhialo lentamente, mani legate dietro la schiena in un atto di resa e perdizione - qualcuno leggeva ad alta voce il tuo nome, senza che nessuno osasse dire nulla, Angelica era morta, le sue pagine lasciate a marcire in una stanza buia, l’odore della datura che qualche bruja aveva bruciato in cerimonie di oltraggio al pudore e alla decenza, una donna perduta e mai più tornata indietro, la bocca senza denti, le lunghe unghie incrostate di sporco, entrava silenziosa nel patio del Viejo Molino, fantasma errante di sé stessa, Paul le aveva dato un pò di hashish, un giorno, mentre stavamo parlando di cinema e lui sorrideva in quegli attimi che precedono ogni singola caduta e poi me ne ero andato e avevo vagato e c’era stato un momento in cui non avevo più saputo chi fossi, una leggera brezza che sospirava senza domande, senza risposte, fra le flebili aspettative che anche le stelle finiranno per oscurare.


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