venerdì 30 ottobre 2020

madre e figlia (2010)

 Quando la figlia usciva di casa, il sabato mattina, per andare a scuola, la madre entrava nella sua camera e si metteva a rovistare tra i vestiti, nelle borse, nei cassetti alla ricerca di qualcosa che potesse spiegare gli strani comportamenti della ragazza. Al telegiornale dicevano che gli adolescenti facevano abbondante uso di sostanze stupefacenti, canne, alcol, coca e una galassia multicolorata di pasticche. Ogni tanto la madre trovava una cartina e già questo le pareva un buon indizio per interrogare la figlia su quali sostanze usasse. Il mutismo di lei era la risposta più frequente.

 

La figlia faceva quello che voleva. Aveva diciassette anni. Tornava la domenica mattina alle cinque, quando si degnava di rientrare a casa e non  rimaneva, come diceva lei, a dormire da qualche sua amica. La scuola era un passatempo settimanale. Era stata già bocciata una volta e per la seconda mancavano solo pochi mesi. La madre attribuiva le colpe al padre assente, alla società, ai professori, alle droghe. Mai una volta che si chiedesse se il suo modo di fare avesse avuto qualche effetto sul comportamento della ragazza. Se la sua incapacità di mantenere una decisione stabile avesse influito sulla confusione della figlia.

 

La donna riusciva ad arrabbiarsi con la ragazza perché spendeva troppi soldi e dopo tre giorni le regalava cento euro per un paio di scarpe. Poteva aggredire la figlia perché prendeva un Oki contro i dolori mestruali o il mal di testa e la sera per addormentarsi contava in un bicchiere le sue gocce di ansiolitico.

 

La donna aveva un cane a cui aveva trasmesso le sue stesse inquietudini, il suo stesso nervosismo. Per un  periodo era diventato il suo confidente, la sua sola compagnia.

 

Questo, quando le era morto il pappagallo.

 

La donna continuava a programmare idealmente la sua vita, senza riuscire mai a metterla in pratica, si rinchiudeva in abitudini e azioni ripetitive, senza capire che finché non avesse fatto chiarezza dentro se stessa, nulla sarebbe cambiato.

 

Si potevano incolpare gli altri per il proprio malessere, ma era la soluzione più facile. Nessuna medicina e nessuno psicologo potevano aiutarla. La felicità è qualcosa che esiste nel cuore di ogni persona e non dipende dagli altri. Il problema è che quasi tutti la cercano fuori di loro. Nel mondo, negli uomini, nelle donne, nelle cose, negli animali. Per questo la gente è infelice. Perché cerca nei luoghi sbagliati.

 

La ragazza tornò da scuola ed entrando in camera vide le sue cose spostate, un cassetto aperto, una borsetta in un luogo diverso da quello in cui si ricordava di averla lasciata. Andò dalla madre e iniziarono a litigare. La donna disse che doveva smetterla di fare come voleva, che quella sera non sarebbe uscita, che lei non le avrebbe dato un soldo. La ragazza la mandò senza tanti complimenti a fare in culo. Poi si chiuse in camera. Passò il pomeriggio a dormire. Verso le sette iniziò a prepararsi. A truccarsi. A vestirsi. La madre le chiese dove credeva di andare, lei le rispose dove cazzo mi pare. Poi prese la sua borsetta e uscì. La madre le corse dietro, sulle scale. In un ultimo disperato tentativo di controllo le disse di non tornare tardi. Alle cinque al massimo a casa.

 

Alle cinque di mattina.

 

La ragazza neanche la ascoltò, in cortile si accese una sigaretta, sentendosi sicura di sé, mentre fuori dal portone qualcuno la aspettava, per portarla lontana da lì, in qualsiasi luogo, che non fossero le strette pareti della sua stanza.

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