Il Semaforo aveva riaperto o forse non aveva mai chiuso ed ero stato solo io a non uscire di casa per giorni, le fotografie da controllare che neanche ricordavo di aver scattato, gli appunti da rileggere, quelli scritti da un’altra mano, un’altra ombra schiacciata dal calore bianco sui muri di case abbandonate - Le bottiglie di vino a formare composizioni primitive in un angolo della cucina, la prima luce del giorno che sfiorava le tende tirate della sala da pranzo (l’appartamento non era moderno e ancora possedeva nomi per le diverse stanze), poi le immagini in movimento di abitazioni in cui non avrei mai più vissuto se non nei pomeriggi che volgevano alla sera dei miei ricordi, volti perduti nella memoria, i pensieri di un bambino solitario e la loro colorata meraviglia - Paul mi aveva cercato e ci eravamo incontrati al Semaforo, lui era seduto su uno sgabello a parlare con Bob e Stephen, io mi ero messo al bancone e avevo ordinato un tubo - Paul mi ha fatto cenno di avvicinarmi quando mi ha riconosciuto, gli ho sorriso e ho spostato il mio sgabello vicino al suo - Il documentario sul Dragon Festival era rimasto fermo per un paio di mesi, non avevamo fatto altre interviste e il montaggio si era bloccato nelle nostre menti, la storia non proseguiva, si era essiccata come il rio Guadalfeo durante l’estate, c’era ancora una Big Picture da qualche parte di quello che volevamo realizzare ma nessuno dei due sapeva dove fosse e forse era meglio così, ci saremmo lasciati trasportare dal flusso di una narrazione invisibile, che voci e volti in stati di alterazione avrebbero raccontato al ciclopico occhio della videocamera e poi la musica sarebbe arrivata quando le parole fossero finite e forse anche danze estatiche sotto la luna, i ricordi di esaltazioni elettroniche e chimiche, i vuoti che le droghe lasciavano nella memoria e che nessuno dei presenti in sala aveva intenzione di colmare - Poi le improvvise aperture emotive di un melodramma alcolico con amanti e prigioni di sentimenti e lacrime e sofferenza, quella del cuore, quella che faceva più male - Le forme di autotortura erano innumerevoli e ognuno di noi sapeva essere il migliore carnefice di se stesso, per tormentare il proprio corpo e la propria anima - Mandiamo a fare in culo tutto l’apparato produttivo, economico e commerciale di fare film, avevo suggerito, ordinando un altro tubo e iniziando a sentire la testa più leggera, vediamo come le sequenze si uniranno e distruggeranno da sole, come le vendette finiranno per essere atti d’amore clandestino - Ci sono stanze d’ombra che dovremmo arredare con le forme oscure dei nostri piaceri proibiti, sussurravo in un orecchio a Sara, mentre le legavo i polsi alla spalliera del letto - Stavo camminando lungo la strada che dal ponte portava a Orgiva, l’avevo fatto decine di volte, prima del Grande Caldo, prima che esso diventasse uno stato mentale ed esistenziale, sembra di essere sempre sul punto di sciogliersi mi aveva detto una volta Maeve, prima di svanire in un tramonto etilico - Marce forzate di autocoscienza metafisica, io e l’altro a passo spedito lungo salite e pendii di psicosi altrui, dissertazioni filosofiche in codice, rappresentazioni teatrali incompiute, discariche pubbliche di pensieri nocivi e tossici in totale collasso degenerativo - I piedi nudi di Sara che attiravano la mia attenzione mentre sentivo di nuovo i coglioni gonfiarsi - Respira, respira, respira - Antichi suggerimenti di vecchi monaci di cerimonie zen - Una capriola, un salto, un applauso - Una rissa fuori da un bar - Sara mi raccontava la sua vita, giorno dopo giorno, le piccole cose da fare appuntate sulla sua agenda, la vedevo alzarsi, tentare di entrare nei ritmi della vita quotidiana, poi spogliarsi di tutto e sprofondare nei suoi istinti, nelle sue paure, nei suoi misteri - La prendevo a schiaffi, la legavo, la masturbavo, poi la osservavo di nuovo, seduta a leggere, a dipingere, a smarrirsi nel mondo al di fuori di questa casa - Ero seduto in disparte, in un fotogramma muto di una pellicola ormai sbiadita e dimenticata, ho guardato oltre i bagliori di un giorno in rovina, i primi fuochi venivano accesi, le ultime sensazioni svanivano accarezzando il profilo del tuo volto, ci penseranno i tuoi occhi a guidarmi al di là di questo lento cadere, i tuoi occhi come lo specchio di un cielo striato di lividi e angosce e infinito candore.
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