Di nuovo al volante ho continuato ad andare. Stavo cercando di raggiungere la Prenestina perché volevo fare un salto al Forte dove ci doveva essere un mercatino domenicale di prodotti agricoli (e dove chissà, forse, avrei potuto comprare un pò di marijuana). Le strade che seguivo attraversavano zone spoglie, con palazzine a due piani e capannoni industriali, che si alternavano a enormi sale da gioco, squallidi bar e strade laterali deserte.
Mi sono fermato dalle parti di Tor Sapienza perché volevo scattare delle foto. La luce aveva di colpo inondato le facciate a vetri di un palazzo e aveva aperto squarci futuristici nella mia immaginazione. Ho camminato intorno al palazzo facendo foto. Era un’architettura bizzarra per quell’area suburbana. Avvicinandomi all’entrata dell’edifico ho scoperto che era parte degli studi di Voxon Tv, bella merda, ho pensato, qualche produttore o conduttore si starà facendo la prima riga della giornata, ora che il sole brillava intenso, seduto sulla sua poltrona imbottita di cuoio nero, aspettando che una segretaria con le calze e i tacchi alti gli venga a fare un pompino, eccolo qui il dorato mondo della televisione, un altro troiaio di prima qualità.
Ho proseguito fino alla stazione di Tor Sapienza, poco distante dagli studi televisivi, una orribile struttura bassa e anonima immersa nel vuoto della miseria circostante, con un viale di asfalto grezzo che le passava accanto e non arrivava da nessuna parte. Alcune panchine, alcuni vecchi, alcune donne con i loro cani come unica compagnia. Ho fatto altre foto, cercando di dare una prospettiva a questo merdaio, ho pensato anche a un titolo per una di esse, Angoli di desolazione, parafrasando Kerouac.
Sono arrivato al Forte che saranno state le undici, avevo ancora un paio di ore da riempire prima di poter tornare a casa, farmi una canna, perdermi nelle mie fantasie masochistiche e forse sborrare. Per adesso ero in giro per la città, un cronista anarchico e scansafatiche, anzi skansafatike, che suonava più antagonista del protagonista di queste insulse avventure urbane.
Ho sempre una sensazione non proprio piacevole quando entro nel Forte, forse perché questo luogo possiede una ragnatela psichica di memorie di molteplici e misteriosi fatti accaduti nel passato, alterati nella realtà presente dal ricordo di imprecisate e vaste assunzioni di svariate sostanze stupefacenti e mi sentivo come in balia di esse, dei loro residui nell’aria e fra i muri, così ho attraversato il tunnel, vuoto e una volta fuori mi sono messo a osservare i meravigliosi affreschi psichedelici che mi guardavano come io guardavo loro sempre con la speranza che, da un istante all’altro, prendessero vita e iniziassero a muoversi.
Il mercatino faceva abbastanza schifo e anche lì, sebbene circondato da poche persone dall’apparenza alternativa, non mi sono sentito per niente a mio agio. Ho pensato a Cigarrones e non avevo voglia di ritrovarmi in un posto simile in questo momento, così ho fatto un giro, seguendo un sentiero che compie una specie di anello ellittico per tutto il Forte, passando davanti ad alcune strane abitazioni ricavate da antichi rifugi o depositi, nei quali alcune persone vivevano e che avevano cercato di riorganizzare in una struttura abitabile con piccoli giardini all’esterno. Anche questi luoghi mi ricordavano altri che avevo visto in Galles e in Spagna, non in un contesto urbano ma in uno rurale quando non apertamente boschivo. Ho iniziato a sentirmi triste, in fondo anche il Forte era una specie di ghetto nel quale si erano rinchiusi coloro che avevano deciso di vivere seguendo altre regole e sperimentando altri stili di vita. Era un villaggio utopistico e decadente nella città, una piccola oasi, un’isola di resistenza, questo ad essere romantici e sognatori ma nella realtà era il risultato di un fallimento, di una ennesima prigione in cui nascondersi e immaginare un’esistenza diversa, che le sostanze allucinogene e psicotrope sicuramente aiutavano a costruire e allargare nelle menti di chi ci abitava. Purtroppo però quel periodo di rivoluzione lisergica era bello che finito e fuori dalle mura del Forte la merda era ovunque, quasi non si respirava più per il suo tanfo, non c’erano più spazi liberi dal denaro nel quale riunirsi e comunicare, era tutto gestito dalle regole del capitale, del commercio, dell’incubo costante del guadagno.
Me ne sono tornato verso Monte Sacro con questi pensieri, ormai era l’una passata e quindi casa era libera e pulita di nuovo. Dovevo anche andare al cesso a cagare. Avevo trovato un bel paio di scarpe alte con il tacco sulle quale avrei potuto masturbarmi, fuori dal Forte, sotto una panchina, la mattinata, in fondo, era stata produttiva, in termini creativi e feticistici. L’aria era calda, la luce splendeva fra le foglie degli alberi, ero vivo e come ognuno di noi non sapevo ancora per quanto. E tutto, tutto era in questo momento meraviglioso e dolce e perduto. Fino a quando non ci sveglieremo svegliati da questo sogno di cui non conosciamo neanche l’esistenza.
Nessun commento:
Posta un commento