Minuscoli
insetti vibravano nell’aria, dividendola in segmenti invisibili e in
traiettorie asimmetriche. Piccoli sassi levigati componevano mosaici in attesa
dell’interpretazione di un indovino. Una nave all’orizzonte, piatta e immobile,
ancorata nell’azzurro. Il mare parlava senza fretta con i suoni ciclici del suo
linguaggio di acqua e spuma e poi le nuvole, sospese sopra le scintille di luce
che vivevano sulla superficie blu del mondo. Distendevo i pensieri, li
allargavo in spazi bianchi di aria e di cielo, oltre i confini stessi della
terra e delle sue linee. La spiaggia era silenziosa e c’erano orme che nessuno
aveva lasciato, così come le parole che non venivano mai pronunciate perché i
loro segreti erano troppo profondi. E gli occhi di Christiane, così celesti,
come tutto quello che adesso avevo davanti e ci siamo subito riconosciuti, io e
lei, anche se gli anni passati avevano segnato il suo volto senza però oscurare
lo splendore della ragazza che era stata. Ci abbandoniamo agli inganni del
tempo, ai suoi travestimenti e alle sue maschere, abbiamo da sempre passeggiato
lungo questi sentieri di solitudine, abbiamo dimenticato i nostri passi, il
mistero di una vita e di quella successiva, forma dopo forma, corpo dopo corpo,
un’unica essenza dai mille colori, le sfumature di uno sguardo, l’immagine dei
suoi capelli d’argento sparsi fra le dita della luna.
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ZetaElle #33
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