Alcuni pensieri avevano fatto irruzione nella sala
controllo della scatola cranica, avevano ammanettato e imbavagliato i presenti
e si erano impossessati dei comandi cerebrali. Era iniziato un discorso
immaginario tra il fotografo e qualcuno che voleva infangare il suo nome, uno
scandalo sarebbe stato quello che ci voleva, per avere un po’ di notorietà, con
repliche e attacchi e insulti. I momenti sospesi in cui mi ero ritrovato in
delle stanze circondato da altre persone che parlavano di una marea di stronzate
inutili, così tante che mi sembrava di affogare fra le loro voci, il vento
continuava a trasformare le foglie in ballerine impazzite e isteriche,
improvvisamente il sole si mostrava, una divinità che ogni essere vivente si
prostrava per adorare, i piedi nudi di una ragazza sulla moquette che ricopriva
il pavimento della camera dei giochi, qualcuno aveva pubblicato immagini oscene
di pecore sodomizzate da contadini sotto l’effetto di sostanze sconosciute, una
nuova operazione Julie ci sarebbe voluta, aveva gridato una donna sul punto di
levarsi le mutandine per farmele odorare, un’altra si era accovacciata e aveva
pisciato per strada, guardandomi negli occhi, un rospo era rimasto immobile
sulla terra, completamente mimetizzato fra i colori del suolo, solo due puntini
rossastri tradivano la sua presenza, le minacce erano terminate e con loro la
ramificazione delle possibilità di inventare scenari psichici inesistenti. C’era
stata una mostra cinematografica in una città abbandonata, devastata anni prima
da una esplosione nucleare, gli schermi bianchi erano stati dipinti con vernici
atomiche, qualcuno si divertiva ad accendere e spegnere il proiettore,
spettatori schizofrenici in preda a crisi epilettiche, dottori con siringhe
ipodermiche che si iniettavano i propri veleni, la giuria era composta da due
scimmie danzanti, che provavano piacere a grattarsi il culo a vicenda, qualcuno
è salito sul palco e ha distrutto un premio di vetro e cenere, lo scrittore
osservava le tendine della propria stanza, le geometrie cromatiche che si
muovevano ed emanavano bagliori rossastri, una maschera lo aveva masturbato nel
bagno di una stazione ferroviaria, la sborra che colava densa come vernice,
appiccicosa come silicone, fermate quell’uomo ha ordinato una donna vestita di
pelle nera, le manette che scattano ai polsi, la cella di isolamento, ora ci
appartieni è scritto su una delle pareti, vieni fatto spogliare e loro ti ispezionano,
una bomba era esplosa nel buco del culo di una metropoli dell’Occidente
Organizzato, i superstiti si erano tolti la vita da soli, l’utopia di una
strage negli sguardi bianchi di manichini inginocchiati nel sangue.
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ZetaElle #32
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