sabato 22 agosto 2020

Lanjaron #1

Viali alberati e vecchi alberghi, le ombre degli alberi a comporre mosaici vibranti sui marciapiedi e sull’asfalto delle strade, dove scivolano automobili degli anni cinquanta e battono il tempo i tacchi di donne disinvolte e sorridenti, il fotografo seduto a un tavolino, a bere birra e prendere appunti sul taccuino dello scrittore, i bagni termali e le stanze con folti tappeti orientali, le superfici cromate di bolidi futuristici, biplani in fase di decollo lisergico, quando i colori diventano stati emotivi, un’estetica cromatica di sensazioni visive, che poi qualche professore dell’Università Balinese avrebbe trasformato in immagini e teorie pittoriche, all’interno dei libri di testo di guerriglia architettonica - La corrispondenza psichica con lei, le parole che ci lasciavamo scivolare dentro, le scopate che occupavano gran parte delle nostre notti, fino all’alba di un nuovo giorno e di una nuova erezione, le sue urla di piacere e dolore che colpivano i muri della stanza mentre le schiaffeggiavo le natiche con naturale disinvoltura, i suoi occhi in cui mi immergevo e nei quali scoprivo una meraviglia dopo l’altra - Le mattine sul divano, appena svegli, che già ci scambiavamo la pelle e i suoi brividi, il cazzo duro a ogni ora, le risate e i silenzi, i film visti nel nostro cinema mentale e di nuovo la luce, fuori dalla casa, che mi indicava dove dirigermi per scattare foto e  catturarla in esse, le pagine di un diario nascosto, le frasi di Anais Nin e i deliri erotici di H. Miller e poi Parigi, svanita in un giorno di pioggia, nei riflessi in movimento sul vetro di una bottiglia di assenzio, un’alba fredda e omicida e le insegne degli hotel per miserabili, le puttane sui boulevard di un romanzo strappato da mani in stato di ebbrezza animale, non avrei mai finito di scoparti, di sprofondare nell’abisso dell’anima e in quello che la carne delle tue cosce aperte creava e distruggeva, ti afferravo per i capelli, con violenza e splendore, mentre ti cibavi del mio cazzo e ti spingevo la cappella fra le labbra fino a toccarti la gola - Danzavamo ubriachi in una lenta deriva dei sensi, era una vita che avevo perduto e poi ritrovato e non me ne fregava un cazzo di cosa sarebbe successo dopo, bevevamo ogni notte e poi scopavamo, le stelle bruciavano, i segni viola, gli attimi di estasi sospesa che precedono ogni liberazione, vengo come una marea di sogni oppiacei fra le tue labbra e a esse dedicherò poesie di selvaggia passione, cuore che gridi, indomito e pulsante, fra queste lenzuola sporche di sperma e sudore, dita nel culo e momenti d’amore, epidermidi violate, colpi di frusta come carezze proibite.

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