Le
strade non arrivavano da nessuna parte. Le fiaccole appese all’interno di una
caverna, gli altari di marmo e le vergini vestite di bianco. Non riuscivo a trovare
le porte giuste, sbagliavo in continuazione. C’erano sempre stanze buie e
sconosciute ad aspettarmi, tappeti folti, dai colori cupi, con donne sdraiate
sopra, gli stivali di pelle e un bicchiere di vino bianco al loro fianco,
pendevano da soffitti invisibili lampadari con centinaia di candele, un tavolo
rosso su cui mi venne ordinato di sdraiarmi, fuori, lungo le strade, ancora a
piedi, le gambe stanche, ripercorrendo le mappe mentali e gli appunti,
scoprendo che le vie cambiavano, non portavano da nessuna parte, i volti delle
persone che incrociavo e mi guardavano, la febbre era passata, rimaneva, in
alcuni momenti, la confusione e l’idea o forse il ricordo di qualcosa,
appartenente ad un'altra vita, che era andato sprecato o usato nel modo
sbagliato. Chi non era mai stato in grado di indirizzarti nella maniera giusta,
guardando dentro di te, capendo con anticipo quali fossero le tue reali
inclinazioni e possibilità, qualcuno che vedesse le cose con il tuo stesso
sguardo, erano stati troppi, nel corso degli anni, i consigli e le parole
errate, i giorni e le settimane rinchiuso dentro gabbie mentali, i compiti e
gli obblighi, la falsa certezza che le cose andassero bene, per il verso
giusto, la febbre portava non solo brividi e sudore e coperte bagnate nella
notte, possedeva dentro se stessa qualcosa di primordiale e arcaico, una forma
di insegnamento, un modo di dirti di fare attenzione, di dare maggiore ascolto
al tuo corpo, la febbre ti portava con lei, dentro te stesso e ti parlava
attraverso delle immagini - in una delle stanze della psiche incontrai Lynn,
comunicavamo senza l’uso del linguaggio verbale, la sua figura sembrava
splendere di luce interiore, ci saremmo incontrati di nuovo, anni dopo, in
altri luoghi, davanti ad un tavolo di legno, in una casa di campagna, durante
un bianco e silenzioso inverno, a bere tè disegnando fiori sotto l’effetto
degli acidi - nella piazza gli uccelli si alzarono tutti insieme in volo,
lasciando scie d’argento nell’aria, un uomo chiedeva qualcosa, seduto per
strada, gli abiti sporchi, non riuscivo a capire la sua lingua, le barche
scorrevano lungo il fiume che portava alla cittadina del porto, era freddo e mi
stringevo ancora di più nel mio giaccone imbottito, una donna fumava poco
distante, i guanti di pelle nera e gli stivali con il tacco, la brace della
sigaretta le illumimava gli occhi - chiuso in una cabina, le sue unghie sulla
punta lucida del mio cazzo, i richiami dei gabbiani e la spuma di perla sulle
onde, i passi sul ponte, l’eco di una risata sparita nella notte, ombre e
fragori di vetri rotti, camminavo indeciso, le strade non portavano da nessuna
parte.
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