Rivoluzionari
sudamericani in esilio, seduti dentro stanze spoglie, parlando, in spagnolo,
davanti a videocamere che registravano e trasmettevano i loro messaggi,
l’utopia terzomondista infettava il mondo delle telecomunicazioni mediatiche,
si diffondevano messaggi e comunicati, parole in codice, le bandiere che
sventolavano nel cielo de L’Avana, in un sogno di deserto e vento avevo
incontrato Rafael, ero sdraiato vicino ad un enorme cactus, gli occhi di un ape
gigante mi scrutavano nella mente, dormivo ed ero sveglio, giorno e notte si alternavano
con i respiri, lui era arrivato su un pick-up, da lontano avevo visto la sabbia
alzarsi, mentre il motore ronzava nelle mie orecchie, un enorme metallico rumore
di insetto, i fari come occhi caledoscopici, il pick-up si era fermato, lui era
sceso, si era avvicinato e mi aveva consegnato una penna di un uccello sconosciuto,
l’avevo presa, poi Rafael aveva lanciato dei sassi per terra, si era
accovacciato sui talloni e li aveva guardati, scrutandoli non so per quanto
tempo, poi mi aveva detto di salire sul pick-up, parlavamo in spagnolo, poche
parole, il discorso poteva avvenire diretamente nelle nostre teste, però la sua
voce, quando usciva dalle labbra e si mischiava con il vento aveva un suono
dolce e armonioso, simile ad un antico canto - ci dirigemmo verso un pueblo del deserto, entrammo in un bar,
con tavoli di legno e alcune persone sedute a bere birra, ordinammo anche noi,
poi discutemmo a lungo, delle tattiche di guerriglia, del commercio di droga
per procurarsi i soldi, delle istanze rivoluzionarie, non tutto mi interessava,
Rafael mi guardava negli occhi, i suoi erano di ossidiana, poi tirò fuori un
sacchetto e me lo diede, disse che era pieno di polvere di yopo, dovevo tirarla attraverso una lunga cannuccia con il naso,
chiesi se quello era il luogo giusto, mi disse di no, salimmo di nuovo sul suo
pick up e ci dirigemmo verso il deserto, all’interno di una capanna, nel buio,
fra miliardi di stelle, mi fece sedere e lo vidi preparare la sostanza, la
rivoluzione stava arrivando, nessuno sapeva dove sarebbe esplosa, c’erno
migliaia di nuclei sparsi per il mondo, pronti ad entrare in azione, a connettersi
tra di loro e poi a disperdersi, le nuove tattiche di guerriglia avrebbero
interessato soprattutto le metropoli, gli chiesi, come ultima domanda, se
conoscesse Pavel L., lui sorrise e non disse nulla, mi passò la lunga cannuccia
e io tirai, il mondo si capovolse all’istante, l’interno della capanna girava
su stesso, i miei occhi di ape iniziarono a ronzare, mi allungai come un
orizzonte senza confine, linea dritta e circonferenza improvvisa, ruotavo in
ogni dimensione possibile, entrai all’interno della scatola cranica, viaggiando
in maniera fulminea tra i neuroni del cervello, esplosioni e scariche
elettriche come fulmini nel cielo, tuoni capovolti, flash di luce azzurrina
saettavano dagli occhi di Rafael, sdraiati, mi disse, sdraiati e ascoltami. Le
connessioni ottiche tra le varie cellule, pronte agli attacchi, alla
distruzione dell’ordine sociale costituito. Imparai molto quella notte, tutte
quelle tecniche sarebbero servite a qualcosa, non in quel deserto di sogno, ma
tra le strade del mio quartiere e poi della città, vidi la alte torri bruciare,
le vidi splendenti di luce propria, vidi le verdi bandiere e i canti arabi, le
danze sudamericane e le scariche dei mitra, le lacrime di gioia dei miserabili,
mentre ballavano tenendosi per mano, vidi tutto questo e me stesso su una delle
torri, sorridente e sereno, guardare la luce morire nel cielo dell’ovest, le
mani dietro la schiena a stringere un’arma di sabbia e vento.
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