Warren
aveva una lista in mano, con nomi, ossessioni e dipendenze di ognuno di noi ed
era domenica pomeriggio e alcuni erano già seduti nell’Old Mill, intorno a lui,
a bere pinte di birra e aspettare di essere chiamati. Si trascinavano gli
effetti delle sostanze, lungo le ore, trasformando le notti in giorni e
cambiando forme e dimensioni al tempo, una superficie allungata e malleabile con
le impronte delle dita di diverse mani sopra, proprio in quei punti in cui
ognuno aveva cercato di afferrarla con l’illusione di possedere almeno un
attimo di gioia. Sarebbero poi arrivati all’alba, gli uomini in divisa, a
controllare chi fosse stato felice e chi no, bisognava stare attenti e ci si
nascondeva dentro stanze calde e confortevoli, con una moquette marroncina sul
pavimento e delle donne che ballavano, da sole, in uno spazio personale e
femminile, i loro corpi scivolavano su tappetti di note e i piedi si posavano
leggeri perché sapevano che nessuno sarebbe venuto a disturbarli, i nostri
occhi che li guardavano, perché quei movimenti diventavano immagini e la musica
inventava nuove direzioni da seguire e le strade che attraversavano le colline
e i campi e che irradiavano sfumature smeraldine e le discussioni alcoliche in
cucina quando finalmente si trovava il coraggio per esprimere i propri sentimenti
nascosti, c’erano ancora camere oscure nella psiche e qualcuno che ci si
rifugiava per giocare con le ombre, le candele in una scatola di legno, Warren
prendeva appunti, al di là dello specchio, prima che i ricordi si deformassero
e la memoria costruisse versioni diverse e finali alternativi, il foglio
passava di mano in mano e altri uomini in camice bianco lasciavano dei piccoli
segni, delle brevi note al margine, interi schedari e scaffali nelle sale
impolverate e anziane segretarie che spingevano carrelli lungo grigi corridoi,
uno sguardo sul mare e sui colori che il pittore non riusciva più a riprodurre
su una tela, sbarre e bisogni ed errori, le linee giallastre delle gabbie,
quelle appena accennate degli ambienti, colate di toni oscuri e densi, il lago
era immobile e il suo riflesso puro, una nuova pagina su cui appuntare le
proprie debolezze, i ghigni negli angoli, la pioggia sul parabrezza della
macchina, un parcheggio deserto, l’insegna accesa in una finestra di un hotel
in un giorno d’inverno, Warren conta le gocce che cadono in un bicchiere, poi
si siede, osservando il vuoto e ascoltandone le voci.
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ZetaElle #32
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