martedì 5 settembre 2017

Newtown

Damien mi mandava delle fotografie da San Francisco, senza nessun commento, nessuna parola, solo delle immagini e la luce impressa dentro di esse. I nostri discorsi alcolici, nella mia città, quando eravamo ubriachi e seduti per strada, poi gli avevo mostrato la stanza dove vivevo, aveva dormito con me quella notte e ci eravamo svegliati insieme. Il giorno dopo era ripartito per Parigi e non ci eravamo più visti. C’era qualcosa di femmineo e orientale nel suo sguardo, forse del sangue arabo.
Eravamo entrambi interessati ai movimenti del presente, agli scarti improvvisi, alle fugaci sorprese della bellezza. Quando era ancora in Francia mi spediva delle vecchie foto erotiche, non so dove le trovasse, ma conosceva le mie passioni. Avevamo passato un giorno in un parco, era la fine dell’estate, insieme a Lynn e la sorella, stesi sull’erba, a bere vino e parlare, qualcuno stava disegnando e io scrivevo su un diario le ultime pagine della mia esistenza, prima che tutto cambiasse e di quelle ore non rimanesse più nulla.
C’era un cinema a Newton dove ogni tanto andavo a vedere dei film, il Regent, in un vecchio edifico industriale, i mattoni, gli stretti corridoi, le scale, la sala buia, poi qualcuno mi passava delle fiale di morfina quando mi sedevo su una delle poltroncine rosse, l’oscurità e il fascio luminoso che si trasformava in sogni e meraviglie, mi perdevo in quelle visioni ed entravo dentro di esse, poi ne uscivo fuori e c’erano la pioggia, le strade lucide e un gruppo di amici di cui non ricordavo mai il nome, ascoltavo le loro storie, sorseggiavo una pinta, accarezzavo le fiale nella tasca.

Joel era in piedi accanto al bancone e aveva una strana espressione sul viso, mi ha chiesto se avessi bisogno di qualcosa, gli ho sorriso, dicendogli che ero a posto, che tutto era nel suo giusto ordine, anche se non sapevo bene quale fosse. Poi l’ho salutato e sono uscito dal King’s Head e fuori c’erano vicoli e poche persone e un vento freddo che faceva oscillare i rami degli alberi, sono andato verso il fiume e l’ho guardato. Nella stanza ho preparato la siringa e ho acceso alcune candele, poi c’erano i loro volti nella mia mente, alcuni in lacrime, altri sorridenti, i visi di quando eravamo giovani e non potevamo sapere quanti e quali sarebbero stati gli inganni, qualcuno era rimasto in quel luogo, altri erano fuggiti per sempre, ero solo adesso, un involucro di cartapesta, una maschera millenaria, un sussurro nella notte, una porta che si apre nel vuoto, dove siete andati? Dove? Lei che entra e mi accarezza la testa, raccoglie quello che è rimasto dal pavimento e lo sistema su un tavolo, soffia sulle candele, il calore del corpo, quello nelle vene.

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