Damien
mi mandava delle fotografie da San Francisco, senza nessun commento, nessuna
parola, solo delle immagini e la luce impressa dentro di esse. I nostri
discorsi alcolici, nella mia città, quando eravamo ubriachi e seduti per
strada, poi gli avevo mostrato la stanza dove vivevo, aveva dormito con me
quella notte e ci eravamo svegliati insieme. Il giorno dopo era ripartito per
Parigi e non ci eravamo più visti. C’era qualcosa di femmineo e orientale nel
suo sguardo, forse del sangue arabo.
Eravamo
entrambi interessati ai movimenti del presente, agli scarti improvvisi, alle
fugaci sorprese della bellezza. Quando era ancora in Francia mi spediva delle
vecchie foto erotiche, non so dove le trovasse, ma conosceva le mie passioni.
Avevamo passato un giorno in un parco, era la fine dell’estate, insieme a Lynn
e la sorella, stesi sull’erba, a bere vino e parlare, qualcuno stava disegnando
e io scrivevo su un diario le ultime pagine della mia esistenza, prima che
tutto cambiasse e di quelle ore non rimanesse più nulla.
C’era
un cinema a Newton dove ogni tanto andavo a vedere dei film, il Regent, in un
vecchio edifico industriale, i mattoni, gli stretti corridoi, le scale, la sala
buia, poi qualcuno mi passava delle fiale di morfina quando mi sedevo su una
delle poltroncine rosse, l’oscurità e il fascio luminoso che si trasformava in
sogni e meraviglie, mi perdevo in quelle visioni ed entravo dentro di esse, poi
ne uscivo fuori e c’erano la pioggia, le strade lucide e un gruppo di amici di
cui non ricordavo mai il nome, ascoltavo le loro storie, sorseggiavo una pinta,
accarezzavo le fiale nella tasca.
Joel
era in piedi accanto al bancone e aveva una strana espressione sul viso, mi ha
chiesto se avessi bisogno di qualcosa, gli ho sorriso, dicendogli che ero a
posto, che tutto era nel suo giusto ordine, anche se non sapevo bene quale
fosse. Poi l’ho salutato e sono uscito dal King’s Head e fuori c’erano vicoli e
poche persone e un vento freddo che faceva oscillare i rami degli alberi, sono
andato verso il fiume e l’ho guardato. Nella stanza ho preparato la siringa e
ho acceso alcune candele, poi c’erano i loro volti nella mia mente, alcuni in
lacrime, altri sorridenti, i visi di quando eravamo giovani e non potevamo
sapere quanti e quali sarebbero stati gli inganni, qualcuno era rimasto in quel
luogo, altri erano fuggiti per sempre, ero solo adesso, un involucro di
cartapesta, una maschera millenaria, un sussurro nella notte, una porta che si
apre nel vuoto, dove siete andati? Dove? Lei che entra e mi accarezza la testa,
raccoglie quello che è rimasto dal pavimento e lo sistema su un tavolo, soffia
sulle candele, il calore del corpo, quello nelle vene.
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