Giornate
senza tempo, rinchiuso in casa, luce bianca e nuvole e alberi spogli come
poesie mai scritte, un senso di quiete e leggerezza, pensieri fatti di aria e
lenzuola sporche di sperma che non avevo voglia di cambiare. Giravo nudo per le
stanze, la vita di un pesce in un acquario, le bottiglie di gin e le lattine di
birra e John che ogni tanto mi veniva a trovare, parlandomi di suo figlio, i
piccoli traffici di sostanze, credeva che lui gli rubasse le pillole di Diazepam
e che le nascondesse nella casa della madre, insieme all’emmedi e all’hashish,
aveva solo sedici anni, pensavo a quando avevo avuto la sua età, ero un ragazzo
ingenuo, le droghe le ho scoperte dopo, un approccio scientifico, da studioso, si
erano aperte parecchie porte e da alcune di esse non avevo più fatto ritorno.
Passavo
le mattine scrivendo e si sommavano le pagine di un romanzo inesistente, le fotografie
mentali ed emotive con cui potevo connettermi, quelle del passato, racchiuse in
cartelle azzurre, quelle delle vite che avevo creato e distrutto, delle
maschere e dei costumi indossati, dei respiri prima di svegliarmi e
addormentarmi con la dolce e piacevole certezza di avere fatto tutto quello che
c’era da fare. Avevo osservato le varie possibilità, i dettagli e i particolari
che rendevano credibile una storia, l’obiettivo era adesso un altro,
addentrarsi nell’ignoto, nella confusione, camminare su strade caotiche e
solitarie, vedere dove sarei arrivato, il centro quieto e calmo del mio essere,
una casa di mattoni accanto a un fiume, le camere vuote, parlavo ancora con i
fantasmi e attendevo le loro risposte, gli ultimi amori svaniti, le amicizie
dimenticate, non c’era più nessun desiderio e per questo ogni cosa era
meravigliosa, ogni attimo, ogni secondo, segreti appuntati sul bordo di una pagina
bianca da strappare, mi accarezzo i coglioni, perché la vita non se ne sta mai buona
e i figli che non ho avuto ancora aspettano che qualcuno gli racconti una
favola per farli addormentare.
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