mercoledì 23 aprile 2025
ZetaElle #32
lunedì 21 aprile 2025
ZetaElle #31
venerdì 18 aprile 2025
ZetaElle #30
Problemi di connessione con il mondo onirico, sequenze interrotte, icone metropolitane che si ripetevano in inquadrature diverse, una piccola terrazza protetta da cui si poteva osservare il doppio allucinato della città, nelle notti di pioggia e fuga interiore - Al tramonto i tetti dei palazzi venivano avvolti da colori acidi, lo scrittore non sapeva come scendere da quel luogo, come tornare fra le strade, come ritrovare la sua macchina (quando ne aveva mai avuta una?), come andarsene da lì. Poi apparivano una stanza, un bagno, le pareti dai colori scuri, blu, cobalto, verde marino, silenzio oceanico, poi arrivavano gli odori, in un’altra camera mentale, mentre lo scrittore camminava e squarci dell’infanzia si aprivano nella mente e poi le anfetamine cominciavano a fare effetto e così la giornata diveniva lucida nella sua percezione, nitida e lucente e lunghe camminate nel sole e nell’ombra, con l’estate che volgeva al termine, con improvvisi temporali e tempeste elettriche nel buio, oltre le vibrazioni catodiche di schermi fumanti. Lo scrittore si sdraiava sul letto, in una posizione sospesa, vaghi ricordi di una tenda in un campo, il sentore della pioggia, il tuo corpo distante, il naufragio dei sensi, quello della ragione.
lunedì 14 aprile 2025
ZetaElle #29
Zito Luvumbo aveva preso parte ad una simulazione onirica, nella quale avrebbe dovuto recitare la parte di un diplomatico all’interno dell’ambasciata afghana e avrebbe dovuto parlare con l’ambasciatrice, donna misteriosa dai molti poteri paranormali. Seduto su una poltrona davanti alla scrivania in mogano della finta ambasciatrice, la cui parte era stata affidata ad una collega che non conosceva, era stato toccato sulla fronte da una lunga bacchetta di metallo che lei maneggiava con la destrezza di una sacerdotessa dell’occulto e appena la punta dell’oggetto alchemico aveva toccato la sua fronte Zito Luvumbo aveva iniziato a cadere al rallentatore all’indietro, avendo l’impressione che anche la poltrona sulla quale era seduto si stesse muovendo nella medesima direzione e forse l’intera stanza stesse compiendo quel lento movimento a ritroso e poi si era ritrovato in posizione orizzontale in un’altra camera, con i polsi e le caviglie legate e l’ambasciatrice, che ora indossava una uniforme, gli stava facendo delle domande - Era dunque così che gli interrogatori venivano pianificati e messi in scena.
Lo scrittore era appena uscito da uno degli incontri con Paul, che era stato invitato ad una delle serate anarchiche che lui frequentava, ormai senza più doppifini o doppigiochi da portare avanti e aveva ascoltato le sue parole e gli erano sembrate interessanti e poi se ne era andato in bicicletta con Lorenzo, avevano fatto un pezzo di strada insieme, prima di separarsi e questo scenario notturno urbano era diventato quello di una campagna, simile ai luoghi che aveva visto per anni in Galles e lungo il pendio di una verde collina c’erano dei tronchi enormi, alcuni intagliati in figure totemiche e lo scrittore ci si era avvicinato, fino ad averne una visuale dal basso e da qualche parte ci doveva essere una festa e gente in vena di fare scherzi e divertirsi e lo scrittore ha pensato ad una casa isolata fra i boschi e a come ci sarebbe potuto arrivare, poi in lontananza è apparso il mare e la voce di chi gli stava intorno si è persa nell’aria e nel cielo e lui ha ripreso la bicicletta, andandosene da lì, pedalando su strade invisibili di ricordi svaniti.
lunedì 7 aprile 2025
ZetaElle #28
Zito Luvumbo incontrava persone, dava suggerimenti e mai ordini, perché quel tipo di comunicazione e attitudine non rientrava nella sua natura, organizzava, creava trame alternative, inventava gli intrecci, poi spariva così come era venuto.
Non aveva sempre lo stesso aspetto, ma gli altri quando lo incontravano, sapevano che era lui e seguivano, alla lettera, come ipnotizzati, le sue parole. Aveva diversi appartamenti, nella città, in cui abitare, denaro a disposizione, macchine per gli spostamenti. Eppure c’era sempre un territorio psichico, un luogo neutrale al suo interno, che Zito Luvumbo lasciava libero e nel quale trovava l’energia per ricaricarsi o per allontanarsi dalle sue azioni. Uno spazio sicuro dal quale osservarsi senza mai nessun giudizio, perché oltre i limiti delle nostre presunte protezioni era la vita stessa a condurci e ciò che facevamo perdeva importanza perché era il semplice susseguirsi dei nostri gesti a riempire il tempo e così non c’era più molta differenza fra un percorso e un altro, un modo di condotta e il suo opposto - Dal di fuori, dagli occhi di un testimone idealisticamente neutrale, tutto non era altro che un’allucinazione, una messinscena psicotica. Un subbuglio di avvenimenti caotici. Era compito dello scrittore, poi, dare forma e possibilmente stile a questo materiale.
Zito Luvumbo a volte faceva anche il suo lavoro, altre, invece, si immergeva nei personaggi, sconfiggendo paura e noia, asservendosi alle esigenze di scena, al denaro e alle ricompense, uccidendo il pensiero per sublimare se stesso nella bellezza del gesto, dell’atto di rivolta o punizione.
La città era in subbuglio e le nuove strategie stavano per essere sperimentate, insieme al perfezionamento delle vecchie. Migliaia di stranieri, di immigrati, di poveri, di miserabili erano pronti per essere arruolati e usati. Poi il silenzio delle strade livide all’alba quando Zito Luvumbo camminava solitario fra le prime luci del giorno, fuori dagli obblighi della finzione, scrutando il mondo che avrebbe voluto e che poi, per amore del caos, avrebbe senza ragione distrutto.
sabato 22 marzo 2025
ZetaElle #27
Freddy aveva portato la valigetta con i contanti per i finanziamenti illeciti e per l’acquisto di droghe e armi e Zito Luvumbo lo aveva incontrato in un bar vicino alla stazione, aveva preso la valigetta con i soldi e poi era svanito nel bel mezzo di una strada per riapparire poco dopo nelle vesti sporche di uno straccione addormentato fuori da una baracca, sotto i piloni anneriti della tangenziale, accanto alla stazione Nomentana, una baracca che si era costruito da solo, con i residui delle svanite speranze di ogni miserabile - Accendeva un fuoco fra alcune pietre, dove cucinava le sue povere cene e questo vagabondo sognava di Zito Luvumbo e dei suoi affari, dei viaggi e delle sue molte vite e al risveglio si dimenticava di tutto e solo così Zito Luvumbo sarebbe riapparso all’interno di una stanza arredata con cura e avrebbe parlato con i presenti dei suoi prossimi piani, delle tecniche di guerriglia psichica, dell’arte del non fare e di quella del sognare.
Lo scrittore immaginava pause e ne cambiava le prospettive, i tunnel onirici si aggrovigliavano e non c’erano risvegli improvvisi e sorprese, solo l’attesa silenziosa dell’alba e la tua pelle addormentata al mio fianco e i tuoi occhi al mattino, quando si aprivano e guardavano il mondo come se lo vedessero per la prima volta.
mercoledì 19 marzo 2025
ZetaElle #26
lunedì 17 marzo 2025
ZetaElle #25
Arrivavano immagini dall’isola di Madeira, con feste notturne ed escursioni nella nebbia che avvolgeva verdi vallate piene di enormi piantagioni di banane. E lo scrittore si vedeva nascosto in un fattoria, in una di quelle valli, ad assumere allucinogeni locali, piante, semi, cactus, funghi (sempre ammesso che ce ne fossero) e a immedesimarsi nella vita di un possibile rifugiato psichico, un lunatico avventuroso approdato su quell’isola nella remota illusione che nessuno lo avrebbe trovato e gli avrebbe rotto i coglioni con i suoi problemi e le sue persecuzioni emotive. E in un certo momento letterario Zito Luvumbo lo avrebbe raggiunto, senza però riconoscerlo, i due si sarebbero seduti ad uno dei tavolini di un bar del porto, guardandosi e rimanendo in silenzio, in improvviso contatto telepatico, per poi svanire all’interno dei rispettivi destini.
Aveva piovuto e l’aria odorava di pioggia e di terra e di alberi e lo scrittore avrebbe voluto trovarsi in qualche bosco, magari nel Galles centrale, all’interno di un rifugio fatto di tronchi e pietre con solo l’essenziale e avrebbe voluto vivere lì per un po’, con le azioni quotidiane che avrebbero riempito il tempo e poi quello rimanente si sarebbe disciolto nei sogni, nella scrittura, nei ricordi.
Lo scrittore si era riempito un bel bicchiere di vino rosso e aveva osservato il cielo, gli piacevano i suoi colori plumbei, acquosi, striati di sfumature rosa e arancioni: una sutura di dolce incandescenza. La notte si era addormentato con il rumore della pioggia e aveva sorriso a sé stesso, sentendosi bene, da solo, nel letto, nel silenzio di momenti sospesi. Alla vita lui apparteneva e da essa fuggiva per finire nello spazio vuoto oltre i ricordi, le speranze e le nostre iridescenti disfatte.
lunedì 10 marzo 2025
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lunedì 24 febbraio 2025
ZetaElle #24
Le notizie delle guerre, degli omicidi estivi, del cambiamento climatico, queste notti tropicali che avrebbe avuto più senso passare in qualche giungla peruviana, in un villaggio, assumendo ayahuasca all’interno di cerimonie sciamaniche e concentrandosi poi sullo studio delle civiltà precolombiane, queste notti di un cielo violaceo e ricordi di fuochi e smarrimento nell’oblio che l’etere del subconscio creava, questi giorni dedicati all’ozio, al tempo per sognare in uno stato di semi incoscienza, arrivavano i ricordi, come sempre, quelli dell’infanzia, dell’adolescenza, di una casa in campagna ormai perduta nel tempo e per questo ancora più preziosa e suggestiva.
Qualcuno immaginava complotti planetari, come se ci fosse una narrazione segreta e invisibile che ci coinvolgesse tutti quanti, a volte composta da misteriosi fili che collegavano segmenti di eventi segreti, altre con il maniacale lavoro sui dettagli, affinché le storie fossero credibili, in molti ripetevano versioni differenti, fino a quando si strutturasse una trama plausibile, affidabile, da esibire in parole e foto attraverso i più svariati mezzi di comunicazione, il rincoglionimento globale continuava a pieno ritmo, lo scrittore pensava di nuovo a luoghi isolati nei quali smarrirsi dentro se stesso e lasciare alla propria fantasia il compito di pensare al resto.
Tra pochi giorni la città avrebbe cominciato di nuovo a muoversi: frenetica e paranoica. Sciami di persone verso la scuola o il lavoro. I soliti percorsi, le stesse direzioni di sempre. Lo scrittore apprezzava la quiete della stasi. Lo scrittore rimaneva ore a guardare le nuvole passare. Le loro forme, la loro sinuosa e mutevole bellezza. Altre identità verrano a cercarti e tu sarai loro e loro saranno te. E un improbabile intreccio nascerà da tutto quello che rimarrà al di fuori delle tue azioni.
lunedì 17 febbraio 2025
ZetaElle #23
La città era ancora calda e vuota e potevo camminare per i parchi senza che ci fosse nessuno intorno e riconoscevo gli alberi, la loro presenza, la voce delle foglie che si muovevano nell’aria - Camminavo, la testa senza pensieri, poi mi sedevo su una panchina a guardare la luce, il cielo, le ombre, la quiete dorata del mondo in un solitario pomeriggio estivo - Le pause, i momenti in cui il lavoro era scomparso di nuovo e potevo rimanere libero di sognare, leggere, ricordare, il tempo che si sdraiava insieme a me sul divano, curvandosi fino a diventare liquido e amniotico, quasi inesistente - Cambiavano i colori, le emozioni della memoria, il lento approssimarsi della sera e c’era da chiedersi perché fossi tornato qui e quanto sarebbe durata questa ennesima farsa, perché non avessi scelto di interpretare un nuovo personaggio e mi fossi calato in una vecchia parte, migliorata di certo, ma sempre ripetuta e poi gli avessi dato spazio e vita, forse solo per sentirmi sicuro al suo interno, forse per non dover cedere ai rischi e alle incognite di una costante improvvisazione alcolica, anche se sentivo di intensificare le sfumature interiori di ogni performance che mettevo in scena e così questa decisione era risultata la migliore fra quelle a disposizione, senza trasformazioni lisergiche e fughe cognitive, continuavo, comunque, a cercare piccole parentesi di anarchia, grottesche e bizzarre situazioni in cui ciò che mi era richiesto di fare e per cui venivo pagato finiva e così tornavo a vagare, ad essere l’altro, l’ombra sui muri e sulle strade, quello che con un sorriso avrebbe rapidamente abbandonato tutto, solo per rimanersene in silenzio, a passeggiare in un bosco.
Tra una settimana o poco più la gente sarebbe tornata dalle ferie e lo scrittore avrebbe cominciato a riprendere le sue oscene attività solipsistiche e avrebbe cercato tabacco e hashish e invocato spacciatori invisibili, per aprire poi gli occhi di notte, la luna alta e tonda nel cielo scuro, senza idee per le sue storie, senza personaggi, al culmine della sua follia, nell’attesa di un equilibrio, di una illusoria panacea che durava quanto un ciclo lunare, quando le forze di creazione e distruzione si fossero annullate a vicenda e lui sarebbe tornato a distendersi sul letto, a respirare con gli occhi chiusi.
Nei sogni assumevo volti diversi e sostanze psichedeliche misteriose e vedevo le mie sembianze attraversare lo specchio e sciogliersi oltre di esso, per poi uscire e smarrirmi fra queste strade che il sole inchioda a destini di sporcizia e catrame.
sabato 1 febbraio 2025
ZetaElle #22
Lo scrittore aveva deciso di passare l’estate fra le dune dalle parti di Torvajanica, si era portato dietro una piccola tenda e lo stretto necessario per sopravvivere alcune settimane. C’erano altri ragazzi intorno a lui che avevano avuto la sua stessa idea, solo che loro lo facevano per necessità. Per lo scrittore, invece, era solo un modo per inventarsi e inscenare un’altra vita. L’hashish non era un problema trovarlo, qualche sera giravano le pasticche, un paio di volte gli si erano sciolti sotto la lingua degli acidi. Mangiava quasi esclusivamente frutta, che andava a comprare da un arabo poco distante dal luogo in cui si trovava. Usava i cessi dei piccoli stabilimenti sulla spiaggia, una birra ogni tanto o un cocktail alla sera, le docce erano libere, il quaderno per gli appunti e gli scritti, qualche vestito, la maggior parte del tempo era in costume, sotto l’ombrellone e la notte su una stuoia. I ragazzi accendevano falò e facevano feste, la musica, le risate, le droghe. I finesettimana la spiaggia si riempiva di persone e cani. Gli altri giorni era più tranquillo starsene per i fatti propri o scambiare due chiacchiere con chi passava e veniva, rimaneva un po’ e poi scompariva. I profili dorati delle dolci e giovani ragazze, abbronzate e sorridenti, quando se ne stava seduto all’ombra di un chiosco e le vedeva passargli davanti, mentre lui osservava con calma cosa succedeva intorno, sorseggiando una birra, disegnando mentalmente personaggi che le poi le parole avrebbero delineato e lasciato sfumare nello scorrere delle pagine e del tempo.
Loop anulari lungo il Grande Raccordo Mentale, giri psichici ad alta velocità ed alta definizione, ogni uscita la possibilità di un quartiere in cui le suggestioni metropolitane diventassero spunti narrativi. I riflessi sui palazzi, le vetrate degli uffici, quelle dei negozi di lampadari. L’ultima luce del sole in un mosaico di riverberi incandescenti, Gli sarebbe piaciuto vivere per qualche settimana dentro uno di quei negozi, giusto per vedere fino a che punto la realtà si potesse scindere nelle scintille del subconscio. Seduto su una poltrona. A chiacchierare con clienti invisibili.
sabato 25 gennaio 2025
ZetaElle #21
C’erano manifesti anarchici che Zito Luvumbo aveva letto, attaccati sui muri dei quartieri periferici, manifesti che incitavano alla rivolta e alla fine dello sfruttamento e di ogni guerra. Zito Luvumbo si guardava le mani e a volte erano del colore dell’ebano e si ricordava della sua razza e di quanto misteriosa fosse la propria natura e del suo mutevole aspetto e anche dei suoi simili che lavoravano per ore, come schiavi, in immensi campi sotto al sole, a raccogliere verdura e ortaggi senza che ci fosse nessuno a proteggerli o a spiegargli i propri diritti o a inventare storie nelle quali l’umanità prendesse forme diverse da quelle dell’abuso e della violenza.
Erano crollate ali di enormi palazzi e ponti sopra la città e l’estate continuava torrida e implacabile e Zito Luvumbo proseguiva con le sue passeggiate, a piedi o in bicicletta, le sue serate sulla terrazza ad ascoltare il mare e le stelle, prendeva appunti su un quaderno, si addormentava in silenzio, respirava e sognava.
E poi il ridestarsi di un ricordo e le sue immagini e una vecchia inquietudine che lo spingeva a muoversi di nuovo e Zito Luvumbo correggeva i testi che qualcuno gli mandava e sostituiva vocaboli e nomi e così la narrazione prendeva svolte inaspettate e una volta che il grande calore fosse passato anche le direzioni da prendere sarebbero diventate più nitide, giusto per un attimo, prima di sfocare nell’amniotica quiete di una decisione, dello spazio al suo interno, grandi vetrate e aria condizionata e luce calma e la vaga sensazione di essere come in un acquario, ad osservare il paesaggio all’esterno, quell’isola, il suo profilo lontano.
Lo scrittore e il suo vecchio amico parlavano, discutendo se rimettersi in mare su una barca o meno. Poi si erano separati, si erano allontanati, perché lasciarsi giustificava la propria solitudine. Lo scrittore si insinuava nella psiche del suo passato, lo osservava e sapeva che quell’insieme di racconti andava distrutto, ci sarebbe stata un’esplosione, al largo, il battello sarebbe andato in fiamme e non ci sarebbero stati soccorsi e superstiti.
Lo scrittore tendeva l’orecchio nell’attesa che qualcuno chiamasse il suo nome ben sapendo che erano in pochi, ormai, a ricordarselo.
domenica 12 gennaio 2025
ZetaElle #20
ZetaElle #32
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