Se ci penso, il mio capo, che adesso neanche vedevo più tanto, era stato il primo a darmi fiducia. Non lo vedevo perché c’erano stati dei problemi, a livello nazionale, erano usciti articoli su tutti i giornali, sembrava che il capo stesse in contatto con altri capi che gli piaceva fare le cose seguendo un ordine diverso, che apparentemente non era quello giusto, un ordine nascosto, segreto, fatto di altre leggi, ci si divertiva il capo con gli altri capi, quando si riunivano e li sentivo parlare, volgari, grevi, risate che scoppiavano viscerali, che cazzo si ridevano mi chiedevo sempre, l’ho capito dopo il motivo di tutta quella allegria, erano i soldi in gioco e quanto ognuno di loro aveva vinto. E insomma il capo non l’ho mica più visto dopo questa storia che lo riguardava che era uscita su tutti i giornali, c’erano state intercettazioni telefoniche e il capo parlava con un capo più grande e se la ridevano i due, parlavano di soldi e di come spartirseli, ci sapevano fare con la matematica i capi, forse perché i calcoli erano semplici e il cinquanta e cinquanta era una divisione che pure i bambini sapevano fare, però lui non era proprio il mio capo, era quello che mi aveva dato il lavoro, cioè uno che il posto me l’ha dato così su due piedi, uno che la fiducia me l’ha concessa, il perché era chiaro o forse no, c’erano regole che non erano regole, ci si capiva, tra chi conosceva quell’altro codice, qualcuno gli aveva parlato di me, qualcosa si era mosso, l’occasione era venuta, non nella maniera che mi aspettavo, ma che importava, la volontà e l’impegno ce li avrei messi e se non fossi stato io sarebbe stato un altro e in quel periodo non è che si poteva andare tanto per il sottile, le questioni morali me le ponevo ancora ma c’era la vita da affrontare e non potevo più rimandare la sfida e allora mi sono detto proviamoci, vediamo come va, se ti sporchi troppo le mani te ne puoi sempre andare, se l’odore di merda diventa troppo forte non è detto che debba respirarlo per tutta la vita.
Avevo aspettato un paio di ore, quando ero andato a fare il colloquio per l’assunzione, prima di parlare con lui e già mi dovevano essere chiare quelle che sarebbero state le dinamiche di potere e i piccoli giochi, ma ero inesperto, pieno di speranze, il mondo mica lo volevo vedere come era, mi aggrappavo all’immagine che me ne ero creato, troppo ottimista, troppo sognatore, così è iniziato, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, un lento apprendistato, capire cosa significava quella vita e quale era il suo funzionamento. Me le sono imparate le lezioni, poi qualcosa si è rotto, io ho voluto che si rompesse, l’esercizio della mia volontà era cominciato di nuovo e le cose intorno a me hanno preso a muoversi in una direzione nuova e inaspettata. La mia. Ci sono stati scontri e discussioni e il cuore che batte a mille nel petto e parole pure come non mai, le mie, che non so se hanno avuto effetto, ma penso proprio di si. Così il capo e gli altri mi hanno lasciato in pace, non so quanto sarebbe durata, ma qualcosa adesso non c’era più. L’obbedienza. Il silenzio di chi acconsente senza dire nulla. Avevo dovuto sconfiggere la paura, un nemico antico, che si nasconde nel cuore di tutti, la paura, il capo non mi faceva più paura, ci eravamo presi a parolacce e così avevo ottenuto il suo rispetto. Lui ebbe la mia compassione. E come scambio non c’era nulla di male, per pochi attimi eravamo state persone migliori, solo per pochi attimi, in una infinitesima scintilla di luce, ci eravamo guardati dentro, forse per questo, poi, non è più tornato a parlarmi.
Nessun commento:
Posta un commento