L’ombra
si staccava. Da sola. Prendeva vita. E vagava. Incollata ai muri. Colava nel
caldo e nel sole, si allungava, al tramonto, a toccare orizzonti di pietra,
vetrine rosse, oscuri desideri. Era identica alla notte, densa di buio,
profonda e antica, la disegnavano candele, luci nascoste, l’ombra scivolava,
passava accanto alle persone, rubava odori, frammenti di frasi, sguardi
improvvisi, attirava con l’inganno uomini e donne, li spiava, si allontanava,
fuggiva, si appiattiva per terra, strisciava, tremava nei riverberi di agosto,
l’ombra conosceva il quartiere e le sue entrate, conosceva le stanze segrete,
l’ombra conosceva Sofia e le sue pratiche, l’ombra conosceva il dolore, gli
schiaffi, i colpi, la frusta e i lividi. L’ombra si staccava, la vedevo
allontanarsi silenziosa, inquieta, filtrare dalle fessure della porte, fluiva
nel tempo e nello spazio, senza leggi e senza regole, non mi parlava, non mi
diceva mai niente, aspettava il suo momento. Alcune volte, quando ero sotto
l’effetto delle sostanze, la volontà dell’ombra diventava più forte, sapeva
cosa fare, come soddisfare il suo bisogno, la sua dipendenza. L’ombra e Sofia
si conoscevano bene, non si parlavano, agivano e tramite le azioni
comunicavano. L’ombra era sé stessa e me, era il momento del crepuscolo, la
frattura dei mondi, l’ombra inghiottiva luce, la cancellava e se ne nutriva.
Le
strade sono pece e fiamme. Le bandiere verdi sventolano nell’aria. Sofia attende
nella sua stanza segreta. Accendendo candele.
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