Il
venerdì sera la merda era la stessa, forse con più alcol in corpo, le cosce
delle ragazze velate dalle calze, i maschi che pensavano alla fica e al modo
per averla. Fuori dai locali gli uomini neri facevano la loro parte, mentre i
bianchi si divertivano, gli stranieri con i soldi, i giovani che venivano a
studiare, c’erano bancomat ogni venti metri, a momenti pure dentro i cessi dei
pub potevi prelevare, sta schifezza me la sarei ritrovata ovunque. Le cose
cambiavano nei parchi, negli spazi verdi, lì era veramente diverso, potevo
sedermi sotto un albero e stare bene, senza rotture di coglioni di alcun tipo,
c’era il vento e la voce delle foglie e la luce e le nuvole e l’aria fredda e
gli scoiattoli e l’erba che fremeva nel vento e rimanevo in silenzio, con gli
occhi chiusi, respirando lentamente e il pensiero svaniva ed io ero qualcosa
che non mi apparteneva più, come avevo potuto resistere dentro le stanze di un
ufficio, dentro classi senza finestre? Chi era quell’uomo che aveva vissuto la
mia vita? Chi l’aveva messo nel mio corpo? C’erano persone sedute dentro una
sala e ritmi tribali e due donne che danzavano, i movimenti fluidi della pelle,
ho scambiato sguardi con una di loro e quando mi è passata vicino me lo ha
fatto venire duro, mi piacevano le donne più grandi e anche quelle più piccole,
ancora non riuscivo ad esprimermi bene nella loro lingua, non che fosse
importante, in realtà non ero mai stato in grado di farlo in nessun modo.
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