Volevo continuare solo con la mia vita di scrittore sconosciuto, invisibile, nascosto, era meglio così, il mio era un atto creativo per me stesso e per quello che realmente ero, erano le parole che venivano a trovarmi, ancora e ancora, sin da quando ero un ragazzo e non potevo cacciarle via, finivo sempre per accoglierle, le lasciavo fare, loro sapevano dove condurmi e io le seguivo, la loro presenza, la loro amicizia erano qualcosa di meraviglioso, erano un dono inestimabile per la mia anima e per i giorni a venire e per quelli che non sarebbero mai stati.
C’era una voce al mio interno, nel silenzio di ogni cosa che non mi interessava e lasciavo svanire, nella mia essenza c’era una poesia continua, una melodia infinita, un’opera incompiuta che non voleva terminare ma solo andare avanti, nella sua costante imperfezione e nel mio coraggio di ascoltarla senza timori, paure, assolutamente senza condizioni, censure, distrazioni. Questa libertà era dentro di me e in nessun altro posto su questa terra la avrei potuta trovare.
C’erano i soliti ubriaconi mattutini al Viejo Molino mentre mi guardavo intorno, poi posavo gli occhi sul quaderno e mi mettevo a scrivere al solito tavolo, l’odore delle prime sigarette e il calore bianco che iniziava a farsi sentire, lo scrittore era sempre stato un tipo solitario e aveva bisogno di nuovi spunti e di nuove storie, prima o poi lui se ne sarebbe andato altrove, accettando il suo destino, i suoi scherzi, i suoi crudeli giochi, gli attimi di quiete prima che tutto crolli, in una risata o nelle ultime lacrime di un giorno perduto in cui tutte le nostre speranze hanno smesso di esistere.
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