domenica 13 febbraio 2022

senza titolo

 Fuggivamo da una prigione a un’altra o almeno tentavamo di farlo e poi quando la fuga terminava venivamo rinchiusi di nuovo e finivamo per accettare questa atrocità come uno stato dell’esistenza, immutabile, perpetua, oscena, indecente. E il carcere più duro di tutti eravamo noi stessi, con le abitudini, i bisogni, i desideri, le illusioni, le aspettative, le speranze. Filtrava luce, alcuni giorni, fra le sbarre e si udivano ancora, lontani, gli echi delle risate delle giovinezza e c’era quiete in questi momenti di irrisoria libertà, uno spazio vuoto fra i respiri e in quel luogo c’era la vita che mai avremmo avuto, un’oasi di calma in un deserto di città anonime, volti sconosciuti, parole e voci che mi frastornavano e che ero stanco di ascoltare, chiuso nella mia cella di isolamento emotivo, mi ero ingabbiato fra le mura delle mie ossessioni, un’ennesima volta e non sarebbero bastati i tuoi sguardi e i tuoi baci a dirmi chi ero e chi non ero mai stato, in attesa della prossima ora d’aria, nel perimetro di una felicità inesistente o smarrita, i tramonti dimenticati, il volo delle rondini alla sera, il sussurro di un istante frainteso, la tua schiena che si allontana e che non ho più il coraggio di sfiorare, affinché sia un ennesimo addio il motivo per il quale ti ho amata e infine perduta.


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