Il cielo si traveste,
manti grigi e maschere di pioggia, basso e pesante, i colpi metallici, lamiere
percosse, il movimento primordiale di un animale estatico, il costume bianco,
gli strati di veli che nascondono forme aberranti, le urla di sofferenza, la
gioia macabra di un idiota che batte i piedi su assi di legno marroni, polverose e sporche – il rumore degli
stivali, il battito ritmico dei tacchi, nudo nel mezzo della stanza,
ispezionato da una donna in uniforme, il solo odore del suo corpo, quando si
avvicina, in silenzio, mi fa gonfiare la punta rossa del cazzo, che spinge verso
l’alto, mentre lei mi fa cenno di inginocchiarmi, poi di prostrarmi, la punta nera dei suoi stivali davanti alla bocca, la mia lingua che, senza controllo, inizia
a leccarli – proiezioni di ombre, la musica sembra precipitare
dagli alti soffitti, colpire il suolo ed esplodere in frammenti sferici che
rimbalzano da una parete ad un’altra, fasci obliqui e potenti di luce futura
che tagliano la notte in prismi di oscurità al fosforo, ogni sezione, ogni faccia
riflette punti di vista opposti e complementari, in impossibili geometrie di
pensiero – le pareti dai colori confusi, il fascino della decadenza, gli uomini
in uniforme nera, ubriachi, che inneggiano al nulla, un vecchio giradischi
immobile, immagini ripetute, un angolo del soffitto con tubi e fili elettrici
scoperti, una serie di lampadine colorate che non riesco a capire come
accendere, l’alba ha un profumo di foglie cadute e bagnate, svela le danze dei
rami proiettate durante la notte, sospiro tra le lenzuola, mi giro e tu non
ci sei.
mercoledì 27 gennaio 2016
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