giovedì 7 gennaio 2016

i segni viola sulle braccia (2009)

I segni viola sulle braccia. Quelli sulla schiena. I lividi con i contorni delle tue labbra. La richiesta di un amore assoluto. Imparare a non essere di nessuno. A non possedere nessuno. Ancora una volta in disparte, a guardare le ragazze in tutta la loro bellezza. Imparare a farle entrare nel proprio cuore. A tenerle strette tra la luce dei ricordi e le promesse dei sogni. Sentire ancora quei brividi. Quante cazzo di cose avevo dimenticato. Quante cazzo di cose avevo creduto che non sarebbero più tornate.
Ed ora eccomi qui, steso sul letto, a guardare le tendine arancioni che vibrano nell’aria calda dell’estate. A pensarti. A scrivere. Ad attendere che la notte arrivi. Senza paure. In balia di una marea che monta dentro e ti trasporta in un oceano nel quale vorresti scivolare e perderti. un oceano che è tutta la vita che hai attraversato. Maledicendola, chiudendoti in silenzi e improvvisi mutismi, tutta la vita che ti ha sorpreso, che ti ha portato regali inaspettati, tutte le cose perdute, che sono cadute verso il nulla, che sono diventate polvere e ombre, i visi che la memoria lentamente cancella, le voci che hai ascoltato e che diventano echi e poi silenzi.
E ritorni al punto di partenza, giri su te stesso, fino a quando capisci che l’unica scelta che puoi fare è quella di rimanere fermo, immobile, come una stella nel vuoto dell’universo e attendere che passino i millenni, che gli uomini nascano e muoiano, che tu smetta di brillare, che la sera diventi notte e la notte uno scrigno pieno di gemme, che l’alba sia ancora il tuo corpo disteso accanto al mio, che la prima cosa che possa vedere siano i tuoi occhi chiusi, che il mio primo respiro sia pieno del tuo odore, che possa ancora amare, solo questo, che possa ancora amare. Ed essere amato.

E le persone continuano indifferenti le loro stanche esistenze, inconsapevoli di tutto. chiuse in vite confezionate, fatte su misura per un mondo che non aspetta altro che il momento giusto per divorarle, per sputare i loro resti nelle discariche del consumismo. Corpi e cuori di plastica che si sciolgono al sole. Che bruciano e bruciano, in pire funerarie tossiche e sterminate. E figli che prendono il posto dei padri e la grande illusione continua e nessuno sembra avere il coraggio di fermarsi a dire che ne ha abbastanza, che è stanco di vedere sempre lo stesso inutile spettacolo. Qualcuno che voglia scoprire, che voglia guardare dentro se stesso e raccontare gli abissi e le galassie che ha scoperto e che poi mi guardi negli occhi e riconosca dentro di me lo stesso abisso, lo stesso splendore. Qualcuno che mi prenda per mano e mi faccia tornare a casa. perché mi sento così lontano da un luogo speciale che con il tempo ero riuscito a scoprire. Quel luogo che erano le tue gambe e i baci e le carezze, quel luogo che erano momenti di quiete sotto l’azzurro del cielo. E poi rendersi conto che tutto questo un giorno è destinato a finire, a morire. Sapere che per quanto riuscirai di nuovo ad amare, la perdita e il dolore saranno sempre con te. E tu imparerai di nuovo tutto quanto, come se fosse la prima volta. E allora aspetto, con una meraviglia che mi inonda l’anima di grazia, aspetto il momento in cui mi afferrerai e poserai ancora le mani sui miei occhi e io sentirò il calore di quelle dita e poi mi girerò e vedrò il tuo volto e le labbra. Mi prenderai per mano e mi dirai dolci parole, mi racconterai i tuoi segreti E io ti seguirò e sarò parte di te. Fino a quando la vita mi toglierà di nuovo tutto. E saranno le lacrime e la disperazione e una notte che ricopre il mondo e la sua lenta deriva. Chino sulla terra a chiedermi ancora il senso di un fiore che nasce solo per essere calpestato.

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