I segni viola
sulle braccia. Quelli sulla schiena. I lividi con i contorni delle tue labbra.
La richiesta di un amore assoluto. Imparare a non essere di nessuno. A non
possedere nessuno. Ancora una volta in disparte, a guardare le
ragazze in tutta la loro bellezza. Imparare a farle entrare nel
proprio cuore. A tenerle strette tra la luce dei ricordi e le promesse dei
sogni. Sentire ancora quei brividi. Quante cazzo di cose avevo
dimenticato. Quante cazzo di cose avevo creduto che non sarebbero più tornate.
Ed ora eccomi qui,
steso sul letto, a guardare le tendine arancioni che vibrano
nell’aria calda dell’estate. A pensarti. A scrivere. Ad attendere che la notte
arrivi. Senza paure. In balia di una marea che monta dentro e ti trasporta
in un oceano nel quale vorresti scivolare e perderti. un oceano che
è tutta la vita che hai attraversato. Maledicendola, chiudendoti in
silenzi e improvvisi mutismi, tutta la vita che ti ha sorpreso, che
ti ha portato regali inaspettati, tutte le cose perdute, che sono cadute verso
il nulla, che sono diventate polvere e ombre, i visi che la memoria lentamente
cancella, le voci che hai ascoltato e che diventano echi e poi silenzi.
E ritorni al punto di
partenza, giri su te stesso, fino a quando capisci che l’unica scelta che puoi
fare è quella di rimanere fermo, immobile, come una stella
nel vuoto dell’universo e attendere che passino i millenni, che gli
uomini nascano e muoiano, che tu smetta di brillare, che la sera
diventi notte e la notte uno scrigno pieno di gemme, che l’alba sia ancora il
tuo corpo disteso accanto al mio, che la prima cosa che possa vedere
siano i tuoi occhi chiusi, che il mio primo respiro sia pieno del tuo
odore, che possa ancora amare, solo questo, che possa ancora amare. Ed essere
amato.
E le
persone continuano indifferenti le loro stanche esistenze,
inconsapevoli di tutto. chiuse in vite confezionate, fatte su misura
per un mondo che non aspetta altro che il momento giusto per
divorarle, per sputare i loro resti nelle discariche del consumismo. Corpi e
cuori di plastica che si sciolgono al sole. Che bruciano e bruciano, in pire
funerarie tossiche e sterminate. E figli che prendono il posto dei
padri e la grande illusione continua e nessuno sembra avere il coraggio di
fermarsi a dire che ne ha abbastanza, che è stanco di vedere sempre
lo stesso inutile spettacolo. Qualcuno che voglia scoprire, che voglia guardare
dentro se stesso e raccontare gli abissi e le galassie che ha
scoperto e che poi mi guardi negli occhi e riconosca dentro di me lo
stesso abisso, lo stesso splendore. Qualcuno che mi prenda per mano
e mi faccia tornare a casa. perché mi sento così lontano da un luogo
speciale che con il tempo ero riuscito a scoprire. Quel luogo che erano le tue
gambe e i baci e le carezze, quel luogo che erano momenti di quiete sotto
l’azzurro del cielo. E poi rendersi conto che tutto questo un giorno è
destinato a finire, a morire. Sapere che per quanto riuscirai
di nuovo ad amare, la perdita e il dolore saranno sempre con
te. E tu imparerai di nuovo tutto quanto, come se fosse la prima
volta. E allora aspetto, con una meraviglia che mi inonda l’anima di
grazia, aspetto il momento in cui mi afferrerai e poserai ancora le
mani sui miei occhi e io sentirò il calore di quelle dita e poi mi girerò e
vedrò il tuo volto e le labbra. Mi prenderai per mano e mi dirai dolci parole,
mi racconterai i tuoi segreti E io ti seguirò e sarò parte di te.
Fino a quando la vita mi toglierà di nuovo tutto. E saranno le lacrime e la
disperazione e una notte che ricopre il mondo e la sua lenta deriva. Chino
sulla terra a chiedermi ancora il senso di un fiore che nasce solo per essere
calpestato.
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