sabato 16 gennaio 2016

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Stabilizzazione. La torrida frenesia cede a una pacata affezione fisica. E' così che preferisco definire quel che sta accadendo alla nostra passione nel corso di questa estate beata. Dovrei pensarla altrimenti - dovrei credere che invece di adagiarmi su un temperato altopiano di dolce, confortevole intimità, sto svicolando a precipizio giù da una scarpata e prima o poi precipiterò in una fredda e solitaria caverna? certo, l'elemento vagamente brutale si è volatilizzato; si è persa la miscela di tenerezza e ferocia, i lividi bluastri segno di un completo soggiogamento, l'elettrizzante licenziosità delle parole volgari alitate al picco del piacere. Non soccombiamo più al desiderio, e neppure ci tocchiamo dappertutto palpandoci e impastandoci e manipolandoci con quella folle insaziabilità così aliena da quel che altrimenti siamo. E' vero non c'è più in me quel po' di bruto, non c'è più in lei quel po' di sgualdrina, né l'uno né l'altra siamo più il pazzo smanioso, la bambina depravata, l'implacabile stupratore, l'inerme impalata. I denti, che una volta erano lame e tenaglie, denti di gattini e cagnolini pronti a infliggere dolore, sono di nuovo solamente denti, e le lingue sono lingue, e le membra membra. Ed è, come tutti sappiamo, così che dev'essere.
E questa volta non ho intenzione di litigare o deprimermi o struggermi o disperarmi. Non farò una religione di ciò che sta svanendo - del mio ardore per quella coppa in cui affondo il viso come per suggere l'ultima stilla di uno sciroppo da ingurgitare a più non posso... della cruda eccitazione di quella stretta, quel pompare così forte, così rapido, così inflessibile che se io non gemessi per avvertirla che sono prosciugato, disfatto, intorpidito, lei continuerebbe, in quello sfrenato stato di fervore che rasenta l'efferatezza, fino a mungermi la vita stessa dal corpo. Non farò una religione della meravigliosa visione di lei mezza svestita. No, non voglio farmi illusioni sull'eventualità di una replica in grande stile del dramma che a quanto pare abbiamo smesso di recitare, quel teatro clandestino, sotterraneo, incensurato, di quattro identità furtive - i due che ansimano nella performance e le due che guardano ansimanti - quando qualsivoglia preoccupazione per l'igiene, il clima, l'ora del giorno e della notte era una ridicola insulsaggine. Affermo di essere un uomo nuovo - cioè di non essere più un uomo nuovo - e risapere quando la mia ora è giunta: adesso mi basta carezzarle i capelli, morbidi capelli, mi basta restarle coricato accanto la mattina nel nostro letto, svegliarmi abbracciato a lei, accoppiato, innamorato. Si, ho deciso di accontentare di questo. Mi basta. Niente più di più.

philip roth
il professore di desiderio

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