domenica 22 dicembre 2024

ZetaElle #19

 C’erano tronchi di alberi piantati nella sabbia, ormai sbiancati dal sole, sui quali, la sera, venivano legate delle bandiere con il simbolo dei pirati e alcune barche si avvicinavano dal mare e scaricavano delle casse piene di oppio, alcolici e panetti di hashish e poi sarebbero stati accesi i fuochi, la festa sarebbe cominciata, con le danze, la musica e le orge sotto i riflessi della luce lunare.

I profili di altre isole all’orizzonte, linee azzurrine frastagliate fra cielo e mare e un piccolo porto disegnato su un promontorio, con i suoi locali fumosi e le sagome delle case colorate e le vecchie stanze da affittare durante l’estate, fino a quando fosse arrivato l’autunno e sulle colline sarebbe iniziata la vendemmia.

Zito Luvumbo, senza neanche sapere come esserci arrivato, sedeva nell’ombra di arbusti cresciuti sul limitare della sabbia, guardava il mare e provava a chiedersi cosa ne fosse stato del tempo vissuto, di quello rimasto intrappolato nei percorsi ripetuti delle abitudini, di quello improvvisamente liberato da una crisi, da un terremoto emotivo, da un’errore commesso, dalle rivelazioni di un sogno dimenticato.

C’era una densità di parole poetiche nelle pagine dello scrittore a cui sembrava mancare una controparte logica e razionale, i dialoghi erano inesistenti perché non c’erano più personaggi che avessero voglia di parlare, si formavano così estenuanti monologhi interiori, forsennate descrizioni di scenari psichici, a volte alterati dall’uso di sostanze, altre così struggenti da fare male.

Il lento rollio delle onde e i corpi in movimento, poi quelli che Zito Luvumbo aveva visto venire a galla dopo un naufragio, dopo un’ennesima tragedia nel mare, qualcuno aveva lasciato una corona di fiori sulla sabbia, qualcuno aveva recitato una preghiera nella propria lingua, Zito Luvumbo sapeva che la morte conosceva il nome di tutti noi e che i giorni che continuavano ad arrivare non erano altro che un’illusione di suoni e colori sconosciuti, di vaghe forme cantate, di baci e carezze assopite, nel caldo di una stanza piena di polvere e ricordi, una stanza nella quale riposava e le tende alle finestre diventavano, in alcuni momenti, vele trascinate dal vento verso un orizzonte lontano, un’altra linea che il destino tracciava al di fuori di noi, delle nostri mani, nel fugace desiderio di essere raggiunto o di scomparire fra i sospiri di un oppiaceo oblio.


martedì 17 dicembre 2024

ZetaElle #18

 Costruivamo capanne sulla spiaggia con tronchi e rami e con quello che il mare portava con sé da terre lontane. Eravamo giovani e ridevamo e non avevamo bisogno di molto per vivere. E l’estate era un periodo facile per tirare avanti e amare e divertirsi. E avevamo hashish e tabacco e acidi a sufficienza affinché i giorni divenissero luoghi in movimento e la nostra mente li potesse attraversare nello splendore del sole e in quello delle stelle. La notte accendevamo dei fuochi e parlavamo e suonavamo e cantavamo e gli obblighi del lavoro e di ogni responsabilità non ci avevano ancora fatto prigionieri e ci guardavamo e ci riconoscevamo, senza sapere che è proprio il presente il tempo della giovinezza, perché dopo sarà l’accumularsi dei ricordi a crescere come una presenza nel cuore, a cui guardare nel crepuscolo degli anni, quando il nostro scorrere diventa ormai inarrestabile e la morte appare come il profilo di un’isola misteriosa all’orizzonte, sulla quale, un giorno, approderemo.

Era una vita da pirati e da vagabondi, raccattavamo cibo nei piccoli paesi lungo la costa o lo rubavamo, non che avesse realmente importanza, fumavamo e scopavamo, alcuni di noi vivevano in piccole grotte, le ragazze danzavano e ridevano e i loro corpi magici fluttuavano fra i colori di fragranti nudità e sognavamo e inventavamo storie, la preferita era quella di una società diversa, ugualitaria, libera, sorridente. Guardavamo il mare, guardavamo il cielo, guardavamo il sole, guardavamo le stelle.

Zito Luvumbo era di nuovo un ragazzo e come gli altri faceva esperienze e scopriva parti di sé stesso. E i libri dalle pagine strappate e l’ombra dei teli tirati fra i tronchi dei pini marittimi e quegli attimi interminabili come le scintille sulle onde. E l’amore e poi quello che sarà solo il suo ricordo. Quando le tue cicatrici si saranno chiuse e la malinconia di quello che è stato e non potrà più essere ti accompagnerà ovunque, come un’amante silenziosa, come un’ombra di quieta  solitudine, mentre osservi in disparte le onde arrivare e il mondo che ti accoglie prima di voltarti per osservare il profilo di un’isola nel vuoto che si apre al di là dell’abisso.


sabato 14 dicembre 2024

ZetaElle #17

 Pezzi di specchi appoggiati alle rovine di un muro in cui guardare i propri volti affamati e sporchi e radersi in una mattina di apparente normalità, dopo un ennesimo bombardamento notturno che non aveva lasciato vittime ma solo altre macerie. E macerie di macerie. Una frantumazione costante di quanto costruito, un sentiero fantasma che si snodava fra edifici sventrati, non c’era più niente di riconoscibile intorno, una nuova città famelica e mostruosa era sorta fra i miraggi di un’architettura apocalittica, file di uomini e donne davanti alle poche fonti di acqua rimasta, il tanfo della morte era ovunque, quello dei corpi decomposti, il sole era alto nel cielo, splendidamente azzurro.

Al risveglio Zito Luvumbo guardava il mare, poi le sue mani color ebano, poi camminava sulla spiaggia, la Feniglia si allungava per chilometri (come ci era arrivato? Si domandava lo scrittore mentre rileggeva questo paragrafo), poi si riposava all’ombra dei pini marittimi, circondato dal suono vibrante e continuo delle cicale accaldate, osservava la vita e quando era stanco chiudeva gli occhi e osserva la vita dentro di sé.

Le spiagge, le vacanze, gli esodi di turisti e profughi, le migrazioni, le piste nel deserto, le carovane, gli accampamenti.

Zito Luvumbo intravedeva oasi lungo i tremolanti bordi di pomeriggi lontani, attraverso il riverbero del calore della sabbia, infuocata dal sole. Poi miraggi di antiche città nelle quali avrebbe voluto vivere. Un sorso d’acqua, un piccolo bicchiere di vetro riempito di tè alla menta, la quiete solitaria all’interno di una tenda, di una capanna costruita con rami spezzati di alberi venuti dall’oceano.

Lo scrittore era calmo e guardava il piatto orizzonte. E forse oltre di esso. L’alba assaporata da una terrazza di una casa sul mare (la stessa in cui abitava Zito Luvumbo? Si chiedeva una voce nella sua testa). I cicli del tempo. Creazione e distruzione. Le maree dei ricordi. Altri giorni in cui ti lasciavi andare senza troppi pensieri. Ancore mentali che venivano sollevate. Gocciolanti di intuizioni, di perle lucide sul riflesso del mare. Le scie bianche e le isole inesplorate che affioravano dall’abisso tumultuoso della psiche. Fili di candida incoscienza, un innocuo sorriso, ogni domanda travestita d’innocenza e le foglie sugli alberi che danzano in un mattino d’estate, quando tutto sembra ancora possibile, in attesa che la rugiada diventi il fugace riflesso del nostro risveglio.


sabato 7 dicembre 2024

ZetaElle #16

 Appartamenti notturni di cui possediamo la chiave per entrare, stanze vuote e ingombre di ricordi infantili, simboli fallici che vengono spezzati e poi silenzio e telefonate che speravo non sarebbero più arrivate. Lo scrittore aspettava di rimettersi in cammino, senza meta e soprattutto senza più nessuna malsana idea di voler ritornare. Ci pensava sempre la notte a creare quello che esisteva al suo interno e oltre di esso. I sogni rimodellavano in un ordine diverso e casuale le nostre esistenze e l’energia fluiva e si disperdeva e le fantasie erotiche apparivano solo come stupide e inutili rappresentazioni adolescenziali, te la ricordi ancora quella fremente trepidazione giovanile di farsi una sega? Chiedeva lo scrittore a sé stesso. Eppure in quel teatro panico e sensuale avevano preso forma vizi e perversioni e del puro atto sessuale poco era rimasto, travolto e trasfigurato dal pandemonio pornografico fino a quando ogni possibilità della libido fosse stata omologata in un canale di  fruizione onanistica e per questo ripetitiva e ossessiva, diventando consumo e dipendenza  e nulla più.

Zito Luvumbo leggeva libri di poesia in riva al mare o su una sdraio sotto un ulivo, in un’oasi mentale nella quale era fuggito, con i contorni di isole allungate sull’orizzonte, profili azzurrini d’aria che la terra con i suoi limiti sembrava solo profanare e piccoli giardini con alberi di arance e limoni e cespugli di rosmarino lungo pendii sorretti da grossi massi lunari. E poi le passeggiate e la voce del mare e gli echi delle estati passate e di quando anche lui era stato un ragazzo e poi il dolore di ogni amore finito, di ogni separazione e con esso un’intima necessità di essere altro da sé. Tutte le nuove identità che gli avevano dato o che lui stesso aveva costruito, perché la fuga divenisse un modo per difendersi e svanire, oltre l’apparenza di decisioni sempre mutevoli e forse neanche mai prese. Zito Luvumbo e le sue storie ancora da raccontare, i presagi di un destino differente, le ombre di qualcuno che si allontana da te, toccando con le sue dita lidi lontani, una luce che tremola nel buio, perché anche noi siamo tenuti a passare e a svanire, così come ogni onda che vediamo arrivare e che ogni orma lasciata un giorno cancellerà.  


mercoledì 4 dicembre 2024

ZetaElle #15

 Lo spirito di Zito Luvumbo, alzato e trasportato in aria, nel cielo - Visioni del mare e di isole, di derive e approdi, un mare calmo, non come quello attraverso il quale era arrivato in Italia, un mare tranquillo, come fosse quello interiore, durante i periodi di meditazione - Una luce tenue, quella dell’alba o del tramonto, un tempo sospeso dove le uniche voci ancora presenti erano quelle della memoria e i suoni apparivano e scomparivano in una amniotica attesa, il divenire era il fluire e non c’era distinzione fra l’oggi e il domani, perché il passato era il presente e noi vivi e poi svaniti in un luogo che nell’attimo successivo non sarebbe più esistito.

E Zito Luvumbo aveva ancora negli occhi i cadaveri dei naufragati, dei barconi rovesciati, dei corpi che riaffioravano senza vita e poi al loro posto arrivavano immagini bibliche di migliaia e migliaia di pesci morti, uccisi dal caldo e dalla presenza di alghe assassine, argentee e poi putride presenze sulla superficie dell’acqua e così di quegli uomini e di quelle donne affogate non c’era più traccia e le spiagge erano diventate deserte e le orme di chi ci era passato erano state cancellate dai riflussi delle maree. 

E Zito Luvumbo si sentiva come senza peso, senza pensieri, senza forma e sostanza e pensava in sequenze incomplete, lontane dal linguaggio e forse aveva  trovato la libertà, quella che nessuna parola ci ha mai saputo spiegare.

martedì 26 novembre 2024

ZetaElle #14

 Le stelle nel cielo e le linee delle montagne che sfumavano nel nero, confondendosi nei misteri della notte e l’odore delle piante della macchia mediterranea e poi le luci delle case in lontananza che punteggiavano campi di buio e una voce nella testa dello scrittore che si chiedeva quanto ci avrebbe messo a scordarsi un’altra volta di tutto, a fare piazza pulita di ciò che era stato nei mesi passati e sembrava non avere lasciato nessuna traccia, perché la vita fluiva e non c’era più nessun attrito o bisogno di opporle resistenza con progetti e ambizioni.

Sarebbe stato bello allontanarsi di nuovo, rifugiarsi in una piccola casa in qualche sperduta isola greca, a fumare hashish e a scrivere, a inventarsi un’improbabile quanto fallimentare futuro, a sorridere a impudici e sognanti amori, a svanire dietro ogni angolo, proprio come la sua giovinezza che se ne stava silenziosamente andando via e poi all’improvviso ricomparire inafferrabile nei giovani corpi delle ragazze ventenni, distese sulla sabbia ad abbronzarsi e a ridere. Quante poesie lo scrittore aveva scritto per loro, da ragazzo, nella perfida illusione di saper cogliere e trattenere i palpiti del cuore, il battere delle ciglia, il fremito delle labbra. La cocente delusione per ogni parola d'amore non pronunciata, per un bacio non dato ma solo immaginato, desiderato e sperato e infine dimenticato.

Rumori di treni lontani e amici fuggiti chissà dove, gli echi di chiacchiere su una scogliera, i riflessi della luna, le leggere creste fosforescenti delle onde, lo scrittore non attribuiva più nessuna importanza ai moti invisibili dei suoi ricordi, bastava che arrivassero, eccitati dall’alcol e poi se ne andassero.

Cambi della sceneggiatura e dei set in cui far progredire l’azione, l’intreccio rimaneva confuso e senza coerenza logica, i frammenti determinavano la struttura, creandola e distruggendola allo stesso tempo.

Odore di pesci morti e putrefatti, poi la brezza marina a scacciare i fantasmi in decomposizione del passato, le ombre schiacciate nel mezzogiorno cocente, brevi passeggiate in borghi marinari, una camera in un albergo di secondo ordine, il caldo nella stanza mentre l’hashish fumato faceva il suo effetto, amplificando e seducendo la realtà, l’immaginazione, alimentando il fuoco sacro di ogni demone che ci si nasconde dentro, non sarebbero bastati i sortilegi della ragione a scacciare le nostre debolezze, lenzuola sudate, un ventilatore sul soffitto che girava lento e svogliato, una musica araba che arriva dai vicoli della casbah, incontri mai avvenuti, possibilità che nemmeno il caos sapeva più come chiamare.


sabato 16 novembre 2024

ZetaElle #13

 Hector Mosca aveva passato un nuovo contatto a Zito Luvumbo. Il contatto era quello di Ricardo, che lavorava come consulente informatico all’ambasciata americana di Roma. Avevano parlato una volta per telefono, rimanendo sul vago, scambiandosi alcune parole in codice con cui avevano fissato il loro primo incontro. Ricardo aveva accesso ai database dell’ambasciata e al suo sistema di sicurezza. Erano informazioni importanti e Zito Luvumbo sperava che, prima o poi, gli sarebbero tornate utili. Si incontrarono sulla spiaggia di Torvajaniva, dalle parti dello Zion, Zito Luvumbo ci era andato di mattina presto, come piaceva a lui, si era portato dietro un ombrellone e una piccola sedia a sdraio pieghevole, un libro e una bottiglia d’acqua. Si era sistemato alla destra di un pescatore, a qualche metro di distanza, la spiaggia era ancora quasi vuota e così si poteva sentire il rumore del mare e delle onde. 

Ricardo lo raggiunse verso metà mattinata, vestito in maniera semplice, con un paio di pantaloni corti e una maglietta di cotone, doveva avere una sessantina d’anni, i capelli grigi radi, parlarono in inglese e spagnolo, lingue che Zito Luvumbo conosceva bene e che usava quando le sue identità glielo permettevano. Zito Luvumbo offrì a Ricardo di sedersi sulla sua sedia a sdraio pieghevole e lui si mise a gambe incrociate sul nuovo telo da mare che aveva comprato poco prima da un uomo marocchino, Abdullà. Avevano anche parlato qualche minuto e Zito Luvumbo si chiedeva se quell’incontro avesse dei significati nascosti o fosse una pura coincidenza del caso. Se avesse rivisto Abdullà in altre situazioni e lui gli avesse detto le parole che Zito Luvumbo si aspettava che dicesse, il caso sarebbe diventato qualcosa di differente, forse delle linee su una sceneggiatura o righe sul nuovo libro a cui lo scrittore stava lavorando.

Arrivato a un punto morto con la sua immaginazione e stanco di ascoltare la voce che in testa gli diceva cosa scrivere, lo scrittore decise di andare a comprare un pò di fumo a San Lorenzo, non che ne avesse veramente bisogno, ormai fumava solo di rado, era il fatto di compiere una piccola missione, di avere qualche scarica di adrenalina, era solo un motivo per uscire di casa, staccare la testa da quello che stava facendo e immergersi in una situazione reale dai contorni letterari. Una situazione in cui si era ritrovato innumerevoli volte e che era  ormai diventata uno scenario narrativo. La stessa piazzetta di San Lorenzo offriva molti spunti teatrali con i suoi vicoli laterali dove si consumavano gli scambi soldi/sostanze e i ragazzi arabi e magrebini che spacciavano erano attori  febbrili di uno spettacolo notturno a cui lo scrittore aveva assistito un’infinità di sere e di cui aveva fatto parte negli anni della sua giovinezza. Il quartiere non era cambiato molto, solo più sporco, più degradato e lo scrittore provava anche una certa tristezza nel cuore perché sapeva che il tempo della sua vita che aveva trascorso in quella zona era bello che finito e non sarebbe più tornato. Non che gli mancasse, era solo la consapevolezza che come tutti, anche lui, stava invecchiando. Era ritornato a casa con una piccola pallina di hashish, si era fatto un canna e invece di mettersi a scrivere, aveva finito per perdersi, come al solito, nelle sue labirintiche e perverse fantasie erotiche.

martedì 12 novembre 2024

ZetaElle #12

 Hector Mosca telefonava a Zito Luvumbo, di sera, ronzando le sue impressioni sulla città, il caldo, la sporcizia, gli odori nauseanti che provenivano dai cassonetti, i miserabili con le loro tende e gli accampamenti abusivi, insomma il circo dell’orrore che qualsiasi insetto deviato avrebbe apprezzato e acclamato come suo sudicio paradiso in terra. Finita la telefonata Zito Luvumbo si andava a sedere sulla terrazza e pensava al mare e a quello che si trovava dall’altra parte e alle distanze, ai sussurri delle sue onde, ai campi profughi e alle morti a cui aveva assistito e alla memoria, alla sua memoria e a tuti ricordi che aveva chiesto che fossero riscritti o cancellati o proiettati in nuove sequenze. 

A volte con una bicicletta che gli aveva regalato John Bosco se ne andava per il litorale, di mattina, quando ancora non era troppo caldo, da Torvajanica a Ostia, passava per i cancelli, gli piacevano le forme delle dune e il loro odore, prima che arrivassero i bagnanti, con macchine e gas di scarico, chissà come sarebbe stato vivere lì durante l’inverno, quel tipo di solitudine sembrava più adatta allo scrittore che a lui e poi finiti i cancelli iniziavano chiazze di vegetazione spontanea, con la solita sporcizia lungo i bordi delle strade e le sedie di plastica delle puttane africane, che ogni tanto erano già sedute e lo salutavano con una lunga occhiata pensando che fosse un potenziale cliente o un potenziale guardone e Zito Luvumbo sorrideva e continuava a pedalare. 

E poi Ostia, fino alla rotonda e ancora più avanti dove qualcuno gli aveva detto che fra i palazzi rosi dalla salsedine vivevano malavitosi e delinquenti vari e che tra quelle vie i giovani ragazzi del luogo erano dediti allo spaccio di droghe e pensò che la razza umana era la più squallida, l’unica capace di scoprire la propria miseria e fare di tutto per non abbandonarla. 

Tristi pensieri nella testa di Zito Luvumbo. Mentre si fermava, ormai stanco, indeciso se arrivare fino al luogo dove era stato ucciso Pasolini, di cui gli avevano consigliato di leggere i libri e vedere i film e Zito Luvumbo decise che era meglio tornare indietro, che per quel giorno lo scorrere delle ruote e quello della mente era stato sufficiente e che bisognava riavvolgere il nastro e ricominciare da capo  e dire allo scrittore di cominciare a battere le dita sui tasti della macchina da scrivere.

Il Signor McKenzie era seduto davanti alla moglie, a gambe aperte sul divano dell’appartamento che avevano affittato in una località di mare poco distante da dove viveva Zito Luvumbo e la Signora McKenzie si stava toccando con le dita già umide e un dildo di discrete dimensioni era accanto a lei pronto per essere usato e mentre si masturbava raccontava al Signor McKenzie degli uomini che si era scopata quando erano stati lontani, insultandolo ogni tanto per la sua inutilità come marito e amante. Il Signor McKenzie ascoltava e forse, se fosse stato più giovane, si sarebbe tirato fuori il pene e si sarebbe fatto una sega davanti alla moglie o l’avrebbe presa per i capelli, messa a pecora e sbattuta con violenza da dietro e invece rimaneva in silenzio a guardarla, a sentire le sue parole e nel cuore risplendeva quello che poteva essere affetto per quella strana creatura che si era ritrovato accanto e ricordava le notti in cui perdeva coscienza di se stessa, diventando un’altra persona, a volte disperata, altre violenta, una persona con cui il signor Mckenzie si ritrovava vicino, cercando modi e soluzioni per calmarla, per guidarla in quel labirinto psicotico di cui nessuno dei due conosceva l’uscita. E c’erano stati dei rari momenti di calma e anche di amore da parte della signora McKenzie, quando guardavano film o parlavano d’arte e lei gli prendeva la mano e poggiava la testa nell’incavo della sua spalla. Il tempo non era mai stato un nostro alleato, pensò il signor McKenzie, poi prese la macchina fotografica e iniziò a scattare foto alla moglie. Mentre lei cambiava posizione, offrendogli tra un’umiliazione verbale e l’altra, il suo invitante posteriore.


giovedì 7 novembre 2024

ZetaElle #11

 Portami via, portami via da qui, ancora una volta, ripeteva lo scrittore ad una stella nel cielo. come fosse una preghiera affinché la vita tornasse a scorrere in un’altra direzione, inaspettata e umana, lontana da qualsiasi lavoro, perché erano tutte trappole, marce messinscene del capitale, rapimenti di tempo, furti di  energia. 

Zito Luvumbo avrebbe voluto, invece, fermarsi da qualche parte, creare una pausa nel suo costante errare, eppure sapeva che andare avanti era l’unico modo per rimanere immobili, nel proprio silenzio interiore, lasciarsi trasportare dalla vita ed avere così la sensazione del movimento. Girare in cerchio o seguire una linea. Oppure vedere il cammino curvare e chiedersi cosa ne fosse stato della geometria e della fisica e rispondersi che solo la poesia aveva senso e tutto quello che non era in grado di spiegare ma solo esprimere.

La signora McKenzie aveva voluto fare un pompino al signor McKenzie all’interno di un locale gay, davanti ad alcuni curiosi. Mr McKenzie non aveva avuto nessuna erezione e così il suo pene flaccido era rimasto inerme nella calda bocca della moglie. Lui non capiva molto bene cosa stesse succedendo, ma aveva voluto esaudire i capricci della bizzarra consorte, negandosi solo alla proposta di un omosessuale di succhiargli il cazzo insieme alla cara signora McKenzie. Qualcosa nella libido dello scrittore stava svanendo e le sue fantasie sembravano ombre distorte. E l’alcol e la musica e le droghe. E tutti gli scherzi che ci siamo fatti fino a quando nessuno aveva più la voglia di ridere.

I signori McKenzie avevano poi fatto una passeggiata notturna dalle parti di via dei Tribunali, tenendosi per mano, tornandosene mezzi sbronzi nel loro appartamento. La signora McKenzie parlava e sorrideva e sembrava felice. E raccontava i suoi sogni al signor McKenzie che li ascoltava e si domandava cosa passasse nella mente della moglie e nel suo cuore e fra le sue gambe. Misteri che non era mai stato in grado di risolvere ma nei quali si era rifugiato e perduto. Così, durante la notte, in uno dei suoi momenti di sonnambulismo, la signora McKenzie si era messa a passeggiare per l’appartamento, salendo su sedie e mobili, sussurrando consigli a sé stessa, in un dialogo interiore a fior di labbra. 

Il signor Mckenzie, la osservava dal letto, senza intervenire, a meno che non cominciasse a picchiarsi o a fare cose pericolose, come uscire da una finestra e buttarsi di fuori. Il Signor McKenzie ricordava una volta in cui la moglie se ne era andata in giro nuda, di notte, nel cortile di un altro palazzo, in cui avevano sempre affittato un appartamento per pochi giorni, compiendo piccoli passi di danza e parlando con le piante presenti per poi continuare la sua lunatica coreografia all’interno dell’appartamento, gentilmente accompagnata dal marito, preoccupato che qualcuno potesse osservare le stranezze notturne della moglie e chiamare la polizia. Poi si erano messi al letto e lei si era addormentata, lui l’aveva abbracciata, inspirando l’odore della sua pelle leggermente sudata.


martedì 5 novembre 2024

ZetaElle #10

I pensieri dello scrittore e quelli di Zito Luvumbo sembravano essere simili. A volte erano affollati da strane presenze, quelle che la solitudine sussurrava a entrambi e che il tempo aveva finito per lasciare libere di muoversi nel loro cuore. 

Lo scrittore poteva rivedere il suo doppio allontanarsi dalla giovinezza, pronosticando una perdita del desiderio sessuale che accentuava la sua tipica malinconia, la mancanza di erezioni in situazioni che prima lo eccitavano gli dava il senso di una vita che si trasformava e forse di una inaspettata liberazione. 

Gli echi delle bugie delle sue amanti erano, in alcune sere, ancora nell’aria, come i gemiti di una di loro, arrivata attraverso le pagine e i mesi a ridestare le sue sopite perversioni, mentre scopava con un ragazzo argentino nella medesima stanza in cui lo scrittore la osservava disteso sul letto, non sapendo bene che fare e finendo per prenderla a cinghiate sul culo e la schiena, in un impeto di incontrollata violenza. 

Zito Luvumbo passava sempre più tempo sulla spiaggia e si era accorto che alcune persone, di provenienza africana, dormivano dentro delle tende dietro le dune, probabilmente svolgendo piccoli traffici illeciti e passando gran parte della giornata distesi sulla sabbia, protetti da un grande ombrellone. 

La sera qualcuno accendeva un fuoco e Zito Luvumbo si univa a quelle persone e ne ascoltava i raconti e i ricordi e i viaggi e le fughe. E tutte le illusioni che ogni nuova vita portava con sé. Zito Luvumbo ascoltava e osservava e non aveva mai troppe domande da fare. Gli altri non sembravano essere sorpresi dalla sua presenza, era calda, amichevole e accogliente. Se qualcuno gli offriva da fumare o da bere Zito Luvumbo rifiutava gentilmente e sorrideva, ogni tanto si alzava, si allontanava dal fuoco, si avvicinava al bagnasciuga, ascoltava il mare, guardava le stelle e il riverbero della luna sulle creste fluorescenti delle piccole onde.

E il sesso? Si chiedeva lo scrittore, tutte quelle scopate, le fantasie, le ripetitive ossessioni con le quali hai marcato una bella parte della tua esistenza, che fine hanno fatto? Quel cumulo di fantasie che ritenevi proibite solo perché non avevi il coraggio o il gusto di confessarle e tantomeno condividerle, per la paura di ricevere un ennesimo rifiuto o una dolente incomprensione. Per poi finire in quelle stanze dove erano i soldi a dare forma e sostanza alle tue messinscene erotiche. Non che rimanesse poi tanto fra i fatti e la loro rielaborazione, era qualcosa di mentale, nascosto, che passasse poi nella pelle stava perdendo definitivamente importanza.

I coniugi McKenzie erano stati visti camminare per le stradine di Napoli, quelle vicino alla stazione per poi arrivare a Via Toledo e i Quartieri Spagnoli, proseguendo per piazza Dante, fino a giungere a un piccolo appartamento nel quale furono visti entrare e poi uscire qualche ora più tardi. La signora McKenzie pregustava le sue stranezze sessuali, sicura che il signor McKenzie non avrebbe obiettato alle sue richieste, qualunque esse fossero.

C’era il cuore a battere ancora, pensava lo scrittore, restio ad abbandonarsi ai ricordi, perché sapeva che le ferite inferte non si sarebbero rimarginate mai del tutto. Una stilla di sangue sarà come un palpito d’amore e una lacrima l’ombra liquida di un sorriso. Questa dolce tristezza che conosceva così bene. Zito Luvumbo, intanto, tornava verso il fuoco, sedendosi a gambe incrociate, le immagini dei volti amati che scivolavano sulla sabbia e poi un respiro e quello successivo, perché non siamo altro che brevi onde in un mare di misteri e sconfitte.

 

domenica 3 novembre 2024

ZetaElle #9

 Le serate sulla terrazza a guardare il mare, a sentirne gli odori e con essi i ricordi e una certa tristezza, una sua eco, a volte leggera, altre sinuosa come le onde, che si impossessava del cuore di Zito Luvumbo, mentre ripercorreva segmenti della sua vita, quelli che pensava suoi o quelli inventati da un altro o forse quelli che lo scrittore infilava nelle pieghe sbiadite delle pagine e dei fogli lasciati su scrivanie polverose. 

La tristezza per il tempo inafferrabile, per le immagini che sfuocavano, per le parole pronunciate e mai più ripetute, per la stanchezza che sentiva crescergli dentro e che poi sarebbe diventata la vecchiaia e una stanza nella quale attendere, in solitudine, il ripetersi infinito delle proprie malinconie. 

Ancora scenari onirici dove Zito Luvumbo o il suo doppio avevano fatto strani incontri, compresa una sequenza ricca di dettagli di un rapporto sessuale con un cadavere e la presenza minacciosa di un paio di uomini per strada, che lo stavano cercando e dai quali, quasi sicuramente, doveva scappare. 

Le incomprensioni di una vita sarebbero potute bastare anche per la successiva, così come le ossessioni non risolte e il loro incessante susseguirsi fino a quando ci si vedeva dal di fuori a compiere sempre gli stessi gesti, una voce nella testa a dire, che cazzo combini? Che cazzo stai facendo? E poi il silenzio, quando la notte si avvolgeva su sé stessa e il mare rollava placidamente e piccole luci sulla spiaggia, alcuni falò e ragazzi e ragazze intenti a conoscersi e scoprirsi, perché quella è l’età della magia e della speranza.

Gruppi di uomini armati irrompevano in case e compivano atti di violenza e malvagità e il Mediterraneo non era altro che un vasto manto per ricoprire la morte di migranti e profughi e il centro dell’Europa riscopriva le fascinazioni delle destre e del fascismo mentre le guerre mediatiche si succedevano e la fatalità di ogni conflitto divorava ogni coscienza superstite. 

Ci voleva una lucidità mentale costante per non lasciarsi stravolgere dalle maree dei media, tossiche e compulsive e per difendersi da esse ZIto Luvumbo si prendeva lunghi momenti nei quali non fare nulla, se non respirare e meditare e tenere la mente sgombra da attacchi psichici improvvisi. 

I personaggi andavano e venivano, si presentavano e scomparivano, mentre la mano dello scrittore si muoveva veloce, fra la bottiglia di gin e quella di Campari e un numero imprecisato di cubetti di ghiaccio che lo attendevano nel frigo.


martedì 29 ottobre 2024

ZetaElle #8

 C’era stato un incontro informale tra Zito Luvumbo, Hector Mosca, John Bosco e lo scrittore, in cui i primi tre avevano chiesto all’ultimo, senza troppi giri di parole, che cosa cazzo stesse combinando con la propria vita. C’era bisogno della pianificazione di una nuova fuga, di una infrazione all’apparente stabilità economica e sociale adottata dallo scrittore, che si stava miseramente imborghesendo, intrappolato di nuovo in una serie di problematiche del tutto prive di senso e romanticismo. Il doppio dello scrittore era finito un’altra volta a insegnare italiano agli stranieri in una scuola, un’altra identità che gli aveva permesso di rimanere in un contesto urbano e di connettersi con nuovi personaggi, ma adesso, secondo Zito Luvumbo, era tornato il momento dell’azione, di rimettersi in viaggio, di lasciare il tempo libero di riconfigurarsi in nuovi scenari apocalittici e alcolici (come se lo scrittore non bevesse già abbastanza). C’erano ennesime e molteplici identità da poter assumere: informatore, spacciatore, infiltrato, correttore di comunicati e opuscoli sovversivi, sabotatore, uomofantasma capace di osservare e riportare e trasformare e distruggere. Hector Mosca sembrava d’accordo, mentre ronzava i suoi suggerimenti e lo scrittore scivolava in un limbo psichico in cui rifletteva e immaginava, mentre serie di dati e contatti e parentesi di silenzio e malinconia ondeggiavano nella sua scatola cranica. C’era sempre la tristezza in qualche luogo del suo cuore a cui tornare ed echi di avvenimenti lontani che si stavano affievolendo ma liberarsi dal passato era e rimaneva la cosa più difficile di tutte. Eppure le parole di Zito Luvumbo non erano un rimprovero o una minaccia, erano un’esortazione, un incitamento, un modo non tradizionale, intuitivo e sensuale, di dire allo scrittore di riappropriarsi del proprio corpo, delle sue emozioni, delle sue parole e di scrollarsi di dosso le sembianze professionali che stava assumendo. Una metamorfosi di cui non hai bisogno, diceva Hector Mosca, con un sibilo a ultrasuoni, mentre alcuni cani cominciavano ad abbaiare in lontananza. John Bosco era rimasto in silenzio, sorridendo pacatamente, poi iniziò a mormorare un’antica litania e ci fu una vibrazione nell’aria e il luogo dove erano, nient’altro che una proiezione mentale, cominciò a trasformarsi e lo scrittore sorrise e comprese e il tempo svanì e con esso ogni sua svogliata e  stupida indecisione.

domenica 27 ottobre 2024

ZetaElle #7

 Le serate al circolo anarchico sembravano sempre degli happening surrealisti, con diversi personaggi che si alternavano e altri che erano sempre gli stessi, c’era un nucleo emotivo e narrativo che si era formato e lo scrittore lo osservava e lo assimilava, raccoglieva tratti distintivi di ognuno e poi li frammentava in possibili descrizioni e storie. 

Lorenzo appariva quasi sempre impassibile e in alcuni momenti prendevano voce i suoi pensieri e vagavano per la stanza venendo da chissà dove per poi disperdersi in ironiche frasi che sempre mi facevano ridere, c’erano state esperienze psichedeliche condivise da qualche parte, anche se non le avevamo fatte insieme e lunghe poesie scritte sotto l’influsso del mezcal e altre sotto quello dei funghi magici e sequenze oniriche trasformate in scatti fotografici analogici e copioni di spettacoli mai recitati, i cui fogli, sparsi sul pavimento dell’appartamento dove viveva, si raccoglievano, di propria iniziativa e si trasformavano in atti psichici che Lorenzo osservava seduto su una poltrona mezza sfondata, con un bicchiere ricolmo di qualche cocktail da poco preparato in mano.

Zito Luvumbo non sapeva nulla di questo circolo e forse qualcuno avrebbe dovuto invitarlo a una delle serate cinemotgrafiche o a quelle in cui si discuteva di alcuni dei problemi che affliggevano il nostro mondo: la guerra, il lavoro, la repressione, l’intolleranza. Eppure era come se Zito Luvumbo fosse là, con le sue storie del terzomondo, di resistenza e rivoluzione, di scritti politici, di tecniche di guerriglia, di sabotaggio dell’informazione. E l’ombra di Zito Luvumbo sedeva con gli altri, quando si prendevano decisioni, quando si pianificava l’azione, quando si scherzava, quando si afferrava la vita e la si trattava come era giusto fare.

Il caldo era arrivato e Zito Luvumbo, seduto sulla terrazza della casa sul mare, pensava e sentiva il flusso dei pensieri sciogliersi in un bianco e amniotico silenzio, in modo che fossero le immagini a scorrere e quello che si celava dietro di esse. E Lorenzo mandava messaggi segreti attraverso le porte della percezione cigolanti di contatti telepatici o lisergici, formule chimiche e connessioni provenienti dalla giungla, Zito Luvumbo riceveva i codici e li configurava in nuovi segmenti semantici. Seduto sulla terrazza, interiorizzava quello che Lorenzo, dalla sua poltrona sfondata gli trasmetteva. Gli altri compagni stavano stappando birre e ridendo e mischiando lo stridore dell’intelligenza con il fracasso delle risate di pancia, qualcuno parlava a ruota libera, Francesco teneva banco con il suo ininterrotto flusso verbale, lo scrittore era quasi sempre silenzioso, il passare dei giorni continuava a stordirlo, un film stava per iniziare e un’altra storia a prendere forma nella sua mente alterata.


lunedì 21 ottobre 2024

ZetaElle #6

 Hector Mosca propose a Zito Luvumbo di lasciare la stanza dell’albergo nella quale viveva e di andare in una piccola casa sul mare, dalle parte di Torvajanica, sul litorale laziale. Era una località anonima, carica di suggestioni letterarie che oscillavano fra trame malavitose e solitudini decadenti e Zito Luvumbo sarebbe stato libero di creare i personaggi della propria vita e impersonali oppure di darli ad altri uomini, quelli che, in un determinato momento, avrebbero preso il suo posto e avrebbero continuato il suo lavoro. 

Era quasi estate e così a Zito Luvumbo sembrò una buona idea quella di abbandonare la città e il quartiere e scomparire e riapparire in una casa sul mare, con un accesso diretto sulla spiaggia. E così Zito Luvumbo si ritrovò a vivere e pensare con il rumore delle onde che lo accompagnava fra le pareti della sua abitazione. Sul terrazzo, la mattina presto, prima che uscisse per una delle sua passeggiate. O la sera, mentre osservava il tramonto e lasciava la mente libera di vagare e i respiri si susseguivano in un ritmico movimento. Il sabato e la domenica la spiaggia si riempiva di persone che fuggivano dalla città. Zito Luvumbo le osservava, per il semplice gusto di un narratore che cerchi le sue storie fra i corpi e i volti di sconosciuti. E a volte, seduto nella penombra di un chiosco, Zito Luvumbo perdeva le sue sembianze e assumeva quelle dello scrittore, uomo silenzioso e taciturno, che beveva limpide sorsate da una Tennent’s e scriveva sul suo taccuino nero. E lo scrittore vedeva trame segrete di traffici clandestini, furti e rapine, di uomini che si trovavano sul bordo della legalità, sempre pronti ad oltrepassarlo ogni volta che si manifestava l’esigenza e il bisogno dei soldi e dell’azione criminale.

Lo scrittore immaginava storie di spaccio e violenza, prostituzione e gioco d’azzardo. C’era anche una distanza fra lo scrittore e quel mondo, perché sapeva bene di non  farne parte, se non nel continuo lavoro della sua fantasia e di quello che sarebbe successo al suo interno. 

Poi Zito Luvumbo tornava a casa e aspettava. A volte riceveva telefonate, altre trascriveva su un quaderno le sue impressioni, altre ancora guardava vecchi film o leggeva un libro. Le notti cucinava cene leggere, con spezie orientali e odori del Mediterraneo e poi si sdraiava su un divano sul terrazzo a guardare le stelle. E da qualche parte, nella sua giovinezza, c’erano state amanti e la gioia e il mistero del sesso e l’inquietudine di scoprire cosa si celasse fra le gambe delle donne e nel loro cuore. 


domenica 6 ottobre 2024

ZetaElle #5

 Bolle di tempo nelle quali rimanere sospesi a raccogliere dati, a registrarli, a inserirli in possibili combinazioni psichiche e mnemoniche. Ogni volta che si cambiava ordine alle informazioni in nostro possesso diveniva evidente la possibilità di nuove configurazioni della realtà. Alcuni seguivano un approccio meno razionale e si affidavano a competenze sciamaniche, altri ancora preferivano il misticismo orientale, la meditazione e il controllo della respirazione e dell’energia sessuale. Bolle di tempo nelle quali osservarsi in un determinato punto del presente, prima che esso diventi passato o futuro e si perda nel flusso dell’esistenza. Riflessi negli specchi che rimandano un’immagine invecchiata. Altri in cui il riverbero dorato della luce dava una parvenza di gioventù a quello che eravamo diventati. E poi il ripetersi e il sapere di fare parte di questa ripetizione fino a quando ci avrebbero chiamato da un’atra parte. Zito Luvumbo aveva imparato a seguire questi richiami e a modellare la sua vita sulla presenza di questi voci, alcune inventate da suoi doppi, altre da chi gli diceva cosa fare e lo pagava per questo.

L’incontro con Hector Mosca avvenne all’interno di una stanza dell’ambasciata messicana, la giornata era calda, eravamo verso la metà di giugno e Zito Luvumbo si diresse verso Villa Torlonia, accanto alla quale c’era il palazzo dove avrebbe incontrato Hector Mosca. Le sostanze stupefacenti, in questo caso cocaina e eroina, seguivano i loro tragitti, misteriosi e sconosciuti alla maggior parte delle persone. C’era sempre il bisogno di tracciare nuove mappe e nuovi percorsi, in una continua trasformazione del mondo geografico in una serie di passaggi attraverso i quali far arrivare i carichi. Coperture diplomatiche e collaborazioni internazionali. Anche John Bosco partecipò all’incontro, perché una figura religiosa era sempre incline ad offrire un ottimo diversivo, un orizzonte sacro contro il quale la morale si appiattiva fino a diventare una linea di demarcazione lontana e irraggiungibile e quindi i loro atti sarebbe stati protetti e il significato delle loro azioni al sicuro da qualsiasi giudizio. 

L’aria condizionata era in funzione nella stanza in cui si incontrarono e una donna portò del caffè e attraverso i vetri la luce del giorno filtrava mentre erano seduti su comode poltrone di pelle e Zito Luvumbo pensò a tutti gli uffici in cui si era dovuto sedere ad ascoltare e pensò che le parole non erano altro che virus letali in azione, capaci di distruggere vite umane e di moltiplicarsi all’infinito. Victor Mosca bisbigliava, in una strana cantilena da insetto indifferente e le sue sembianze avevano qualcosa di febbrile reticenza verso il prossimo, come se si stesse trasformando nella sua prossima forma, quella di uomo devoto al silenzio e all’abisso di significati che esso racchiudeva. 

Furono presi accordi, anche se nessun documento venne firmato.  Si alternavano nella mente di Zito Luvumbo le pulsanti linee di un disegno molto dettagliato, una cartografia tridimensionale di paesi ancora sconosciuti, di una nuova ridistribuzioni di confini e frontiere, tanto che si chiese se non avessero aggiunto qualche sostanza al caffè che aveva bevuto. Nella stanza, ad un punto imprecisato della giornata, entrò anche il dottor Woyzcek, quasi un’apparizione trascendentale chiamata da forze invisibili, rimase per pochi minuti, raccontando una sua esperienza avuta con l’ayahuasca e ricordando ai presenti la necessità di compiere un periodo di ritiro , di almeno un paio di settimane, in qualche centro cerimoniale della foresta peruviana, per alleggerire il corpo e la mente dai carichi superflui delle ossessioni lavorative, consumistiche e capitalistiche - Un ritorno all’origine di noi stessi, uno spogliarsi degli strati di comportamenti compulsivi che non ci appartengono, un risollevarsi verso la purezza dimenticata all’essere, nella notte, nelle visioni, nei canti di un passato indecifrabile eppure così vicino alla comprensione del cuore di ognuno di noi. È quando inaridiamo dentro, disse il dottor Woyzcek, che dobbiamo domandarci cosa stiamo facendo e dove sia finita la sorgente della nostra energia interiore.


sabato 14 settembre 2024

ZetaElle #4

 Nelle mattine di quiete e luce Zito Luvumbo usciva dalla stanza del suo albergo e  passeggiava per le strade del quartiere, ancora silenziose e poi, dopo le sette, se ne andava ai giardini di Piazza Vittorio, si sedeva su una panchina e ripassava mentalmente le parti che avrebbe dovuto interpretare e i dialoghi che avrebbe dovuto recitare quando i giusti interlocutori si fossero presentati. Ogni intervallo di tempo racchiudeva una serie di passaggi, a volte sconosciuti, che lo avrebbero portato a quello successivo. Sarebbero così cambiati i luoghi d’azione e le finalità dei propri gesti. Nuovi contatti e nuovi schemi. 

Zito Luvumbo e John Bosco si incontrarono all’interno del mercato dell’Esquilino, rispettivamente nelle vesti di un rifugiato politico e di un religioso, parlavano mentre camminavano, fermandosi ogni tanto davanti a una bancarella, come se fossero interessati all’acquisto di qualcosa. C’erano messaggi che venivano comunicati tra le parole e i codici che Zito Luvumbo registrava da qualche parte nella sua mente. Codici che sarebbero poi diventati sequenze di gesti in situazioni successive o all’interno di scene oniriche. John Bosco era sorridente e proveniva da qualche paese africano. Le tecniche di guerriglia militare che in un periodo della sua vita aveva imparato venivano decodificate e assorbite dalle orecchie di Zito Luvumbo, mentre le paragonava con le sue e le sistemava in zone mentali, in cui l’azione era sempre accompagnata dalle armi e la violenza diventava un linguaggio che oscillava tra reazione e rivoluzione. C’era una storia mondiale che uomini avidi avevano inventato e che altri, meno legati a soddisfare il proprio ego, avevano cercato di cambiare e riscrivere, fino a quando il potere e le sue perverse logiche li avevano ingabbiati tutti quanti. Le prigioni fiorivano nelle menti e si trasformavano in ideologie e gli uomini, intrappolati in allucinazioni collettive, si abbandonavano all’inganno del momento, fino a quando quello successivo sarebbe arrivato.


domenica 1 settembre 2024

ZetaElle #3

 Alcune mattine Zito Luvumbo si alzava molto presto e vedeva la luce del giorno arrivare piano nella sua stanza e lentamente illuminarla. E rimaneva come in uno spazio mentale sospeso, che si riempiva di ricordi perché le aspettative e i progetti appartenevano ad un altro ordine del tempo e delle cose. Ricordava i giorni della sua infanzia e quelli della giovinezza e la distanza da essi e anche le storie che qualcuno aveva scritto per lui e le identità che lo avevano sedotto e quelle da cui era rimasto disgustato e i vari passaggi da una all’atra, come i cambi scenici nei sogni e gli incontri e i luoghi in cui si ritrovava a vagare prima del risveglio.

Zito Luvumbo era all’interno degli scantinati di un grande palazzo d’epoca in rovina, tra i calcinacci e i resti dei lavori di ristrutturazione che operai invisibili stavano portando avanti. Operai che sarebbero apparsi solo dopo, quando Zito Luvumbo sarebbe stato sul punto di uscire da quel palazzo, seduti in fila su un muro, a parlare o fumare sigarette, in attesa di qualcosa o di qualcuno. Negli scantinati Zito Luvumbo aveva incontrato un uomo cinese e con lui aveva conversato in italiano, una lingua che al momento il suo personaggio sapeva parlare correttamente. L’uomo, che sembrava occuparsi di affari, lo aveva accompagnato attraverso un grande cortile dall’assetto decadente in un’altra serie di stanze che si aprivano nel sottosuolo e lì lo aveva fatto sdraiare su un letto. Dopo pochi minuti era stato raggiunto da alcune ragazze orientali che quasi immediatamente gli avevo mostrato le loro grazie e sussurrato nelle orecchie le loro proposte. Lo avevano accarezzato ed eccitato, sfiorandolo con le loro dita che sapevano sempre dove toccare. Zito Luvumbo le aveva lasciate fare, sentendo l’energia sessuale scorrergli dentro. Ebbe una erezione e si chiese a quale perversione avrebbe potuto cedere senza perdere il controllo di se stesso. Le ragazze ridevano e una di loro tornò con un cazzo di plastica attaccato ad una cintura e tentò di infilarglielo nel culo. Zito Luvumbo adesso era un altro e l’altro pensò che erano giorni che non aveva un orgasmo e ripassò nella mente la lista dei suoi piaceri proibiti. Poi le immagini sfumarono e ad un tavolo Zito Luvumbo era di nuovo con l’uomo cinese e stavano parlando di affari. L’uomo beveva champagne da una coppa di vetro, ne offrì una a Zito Luvumbo che rifiutò, rimanendo in silenzio ad ascoltarlo. Poi era fuori dal palazzo, lontano dagli operai in attesa, vagava per la città, cercando di raggiungere il luogo che l’uomo cinese gli aveva rivelato prima che si separassero.


mercoledì 14 agosto 2024

ZetaElle #2

 A volte Zito Luvumbo se ne stava seduto per ore su una delle panchine dei giardini di Piazza Vittorio, parlando con altri stranieri o rimanendose in silenzio a contemplare gli alberi e i palazzi e i cambiamenti della luce. E in quei momenti ricordava: volti, espressioni, corpi e addii. Le separazioni soprattutto sembravano quelle che la sua memoria rielaborava in sequenze mentali, alle quali Zito Luvumbo si abbandonava con gli occhi chiusi. Arrivavano anche odori lontani ed echi di discorsi a trovarlo e lui li lasciava passare e di rado si perdeva in un labirinto di malinconia perché il presente gli era intorno e il passato sarebbe svanito e con esso tutte le identità che aveva creduto di possedere o che qualcuno gli aveva narrato affinché le imparasse  e le facesse sue. 

C’era stato un tempo in cui era stato parte di una famiglia o nel quale aveva capito e provato cosa significasse quella parola. Poi quei legami si erano affievoliti, fino a sciogliersi. Poi erano arrivate catastrofi, guerre e carestie. Erano stati costruiti campi profughi e zone di interesse. I conflitti si ripetevano all’infinito. Zito Luvumbo aveva fatto parte di combattimenti, con divise militari o senza di esse, aveva avuto una moglie e dei figli e ancora adesso ripeteva mentalmente i loro nomi, come se accarezzarne il suono significasse averli vicini. Era stata una sfida superare il sordo muro di ogni dolore e trasformarlo in una storia diversa, estranea, che gli conferisse il potere di essere un altro, all’interno della quale fosse possibile superare lutti e disgrazie e ridefinire la parola amore senza che potesse più ferire il suo cuore. Ombre e luci. Come quelle che si inseguivano e vibravano e danzavano davanti ai suoi occhi. Il riverbero del deserto. Le stelle nelle notti di veglia e preghiera. Tutti quei corpi che non potrà toccare mai più.

Un uomo si sedette vicino a Zito Luvumbo e i due parlarono in arabo e poi l’uomo gli passò una cartellina con dei fogli e alcuni documenti. Dei bambini giocavano e dei ragazzi ridevano e scherzavano. La vita era un inganno. E ogni inganno una vita da inventare.


lunedì 29 luglio 2024

...

 "Se Bozena fosse stata bella e pura, e se lui, in quel periodo, fosse stato capace di amare, forse l'avrebbe morsa, rendendo a lei e a sé la voluttà intensa fino al dolore. Perché la prima passione che insorge in un adolescente non significa amore per una donna, ma odio per tutte. la consapevolezza di non essere compreso e di non comprendere il mondo, non è una caratteristica, fra tante, del primo amore, ma la causa unica di esso. E quell'amore è una fuga, in cui l'essere in due significa solo un raddoppio di solitudine.
La prima passione, di solito, non dura a lungo e lascia un gusto amaro. Essa è un errore, una delusione. Una volta superata, non comprendiamo noi stessi e non sappiamo a cosa darne la colpa. Questo, perché i personaggi del dramma, per lo più, si uniscono accidentalmente, sono compagni di fuga occasionali. Alla prima sosta, non si riconoscono più. Scorgono quello che li oppone, perché non vedono più quanto hanno in comune.
Con Törless andò altrimenti, soltanto perché era solo. Quella mondana attempata e decaduta non potè toccarlo nel profondo. Ma era abbastanza donna, tuttavia, per fare salire precocemente alla superficie del suo animo caratteri che attendevano il momento della fecondazione, come germi maturi.
E poi i prodotti della sua immaginazione, le tentazioni della sua fantasia. Ma a volte era tentato di buttarsi per terra e di gridare dalla disperazione."

Robert Musil
Il giovane Törless

lunedì 22 luglio 2024

ZetaElle #1

 Continuerai a scrivere perché qualcuno ha deciso che questo sarebbe stato il tuo destino - Alcune delle mie foto erano in una stanza di un albergo, appese alle pareti e non ricordavo perché mi trovassi lì insieme a loro ma sapevo che dovevo prendere un aereo e non avevo idea di come avrei fatto per riportarle indietro, forse avrei dovuto spedirle a quell’indirizzo che pensavo fosse quello della mia casa ed è arrivato Marco e mi ha detto di sbrigarmi e c’erano residui di discorsi notturni che galleggiavano innocui da qualche parte mentre aprivo la finestra per vedere in che città mi trovassi ma le linee architettoniche dei palazzi erano sconosciute e la luce opaca e forse avrebbe piovuto e bisogna muoversi, così ho fatto una doccia e mi sono vestito e ho preparato la mia borsa, sperando che le foto, in qualche misteriosa maniera, sarebbero di nuovo apparse sui muri del mio appartamento a Roma - Lorenzo era ancora perduto in qualche sogno acido, probabilmente andato a male e prima di vederlo ho riconosciuto la sua voce che mi è arrivata come un sussurro dell’adolescenza nelle orecchie e poi ho intravisto il suo profilo e sembrava stranamente uguale a quello di trenta anni fa, una sigaretta fra le labbra mentre stava parlando con un tipo non proprio raccomandabile pieno di tatuaggi che gli arrivavano fino alla testa rasata, droga, come al solito, ho pensato - Zito Luvumbo era arrivato in Italia su uno dei centinaia di barconi che ogni anno cercavano di sbarcare a Lampedusa, senza documenti, senza soldi, con una identità segreta che con il tempo avrebbe ricostruito e modificato a seconda delle esigenze. Aveva dovuto seguire la stessa trafila di tutti per ottenere un documento, dormire nei centri di accoglienza, vagare durante il giorno nelle città, imparare qualche parola della nostra lingua. Zito Luvumbo sapeva che apparire spaesato e innocuo, fragile e in fuga era la maniera migliore per mimetizzarsi con gli altri, aveva raccontato una storia davanti alla commissione per il riconoscimento dello stato di rifugiato politico che qualcuno aveva scritto per lui, che aveva imparato a memoria provandola e riprovandola nei momenti di solitudine, che erano stati molti e senza troppi problemi aveva fatto propria una narrazione che faceva del viaggio e della perdita i suoi temi principali. Insieme alla violenza, al dolore e alla speranza. 
Finito l’iter burocratico, ottenuto l’asilo politico, uscito dal centro di accoglienza, Zito Luvumbo venne contatto da un uomo, dal quale ricevette dei soldi e alcuni ordini. Prese una stanza in un albergo economico dalle parti di Piazza Vittorio, dove rimase per circa un mese, prima di far perdere le sue tracce. Passava le sue giornate nei giardini di Piazza Vittorio, dove parlava con altri stranieri, Zito Luvumbo si era così riappropriato di un’altra identità, quella in cui sapeva parlare diverse lingue, che gli permettevano di creare contatti, di scoprire, di controllare, di archiviare, di collegare. Quando tornava nelle sua stanza scriveva degli appunti, in codice, su alcuni quaderni che aveva comprato. Scriveva delle storie, dei racconti, in cui la finzione non era altro che una chiave di lettura segreta della realtà. Zito Luvumbo sapeva muoversi. E il quartiere stava cominciando ad imparare a farlo insieme a lui.

mercoledì 26 giugno 2024

dream #145

 Gli occhi chiari di un ragazzo arabo mentre mi sta parlando e non capisco nulla di ciò che sta dicendo e una spiaggia su cui altri ragazzi hanno catturato un gigante gabbiano e lo stanno uccidendo a colpi di remi, per poi legarlo a una tavola da surf e dargli fuoco, una scena violenta e raccapricciante, il gabbiano in agonia, le urla silenziose di chi sta partecipando e osservando e io sono nell’aula di una scuola e apro la finestra e mi sporgo e cerco di gridare, di fargli capire di smetterla ma la mia voce è senza suono e le mie labbra si muovono come in una pantomima muta - Seduto in una sala, di notte, davanti ad uno schermo, mentre altre persone scivolano intorno in quella che potrebbe essere l’area di un museo o di una villa e ci sono immagini di film che non sono molto interessato a vedere e arriva Lynn portandomi degli auricolari affinché possa ascoltare dialoghi inesistenti o forse perché i nostri lontani discorsi divengano di nuovo reali e scorrono nella mente alcune immagini dei nostri incontri per poi sfumare nell’intreccio di altre storie e sconosciute sequenze - Marco e Lorenzo vagavano all’interno delle stazioni metropolitane, nell’ipnotica intenzione di girare un film, aggrappandosi a frammenti di imprevisti e tentazioni lisergiche e Lorenzo portava un casco che ne nascondeva i lineamenti e incontri con sconosciuti che svanivano nell’oblio delle gallerie sotterranee - Nella stanza c’era una barocca struttura architettonica con tubi blu che si intrecciavano e qualcuno parlava di anarchia e giustizia e dei sogni perduti di un mondo migliore, quelli che appartengono alla giovinezza e non andrebbero mai dimenticati, prima che i colori delle passioni si sciolgano nel bianco e nero dei ricordi che ne catturano l’essenza e la rielaborano nel tessuto onirico di nuovi fotogrammi in arrivo, come i treni nel reticolo sotterraneo dell’inconscio, quando non esistono più mappe da tracciare e smarrirsi è l’unica maniera per proseguire, di passaggio in passaggio, risveglio dopo risveglio, una labirintica e infinita fuga e il tuo volto addormentato sulla superficie amniotica di un’istante svanito, i tuoi che si allontanano, perché sia presente e sconfinata la tua essenza nel centro scuro e palpitante del mio cuore.

sabato 8 giugno 2024

dream #144

 Vicoli di piccoli paesi in cui camminare e forse perdersi. Improvvise aperture su paesaggi campestri mentre le ore dell’alba e del tramonto si alternano con i respiri. Qualcuno mi aveva invitato a una festa, dove ero arrivato portando una busta con un paio di bottiglie di vino. Nelle stanze si parlava di politica, di anarchia, di musica, di cinema, di arte. Eppure le bocche, in alcuni momenti, rimanevano mute e i pensieri si affollavano nella mente in sequenze ipnotiche e divertenti, un senso di allegria sul fondo delle cose trasformante in immagini mentali, mentre lo stomaco metabollizava i resti dei funghi allucinogeni e le prospettive delle stanze lentamente si deformavano e le pareti diventavano luminose e palpitanti. E mi sono ritrovato su un letto e una ragazza era stesa sopra il mio petto, mi stava sussurrando qualcosa e io le accarezzavo i capelli. In un’altra stanza mi avevano fatto un pompino ed ero esploso in bocca alla troia di turno. Poi mi ero ritrovato da solo, mi sentivo stanco e le immagini sono sparite e il vuoto era silenzioso e amniotico. Ho sentito qualcuno chiamare il mio nome e ho aperto gli occhi ed era buio e nella casa non c’era nessuno, la porta della stanza era chiusa, ci sono passato attraverso e mi sono ritrovato per strada. Non sapevo che ora fosse e il tempo non sembrava avere importanza, le dimensioni continuavano a sciogliersi e poi i fotogrammi sono tornati nitidi, una musica arrivava da lontano e mi sono incamminato per raggiungerla.

venerdì 17 maggio 2024

dream #143

 Su una spiaggia, in una località balneare, lungo le coste del Galles, ero da solo e mi sono tuffato nell’acqua, c’erano delle correnti che hanno iniziato a trascinarmi con loro e riprese aeree del mio corpo nel mare e i miei respiri e la paura e poi mi sono ritrovato a terra, mentre camminavo in un paese totalmente sconosciuto, con indosso un costume e una maglietta e ancora il timore, il panico di non sapere dove essere, di non avere soldi, di non riuscire a tornare indietro - Ho incontrato alcune persone dentro un locale nel quale mi ero fermato e ho parlato con loro e mi hanno invitato nella loro case e gli ho chiesto dove eravamo e loro mi hanno mostrato una mappa sulla quale non riconoscevo nomi e geografie e chiedevo se fossimo in Galles anche se avevo dimenticato come si chiamavano i posti dove avevo vissuto e dai quali mi immaginavo di provenire - Ho raccontato la mia storia, la mareggiata, ma mancavano i particolari e la mia memoria sembrava malleabile e scivolosa, composta da una sostanza mutevole e oscura, non ricordavo, non riuscivo a ricordare chi fossi - Poi sono arrivate altre persone e ci siamo seduti a una tavola e c’erano cose da mangiare e una bambina che sgambettava fra di noi e poi ho chiesto ai presenti se volessero guardare le mie foto, che sono apparse all’improvviso sullo schermo di un televisore e anche queste immagini mi sembravano estranee, anche se in bianco e nero e simili ai miei scatti e alcuni erano dei nudi, quasi pornografici e poi mi sono alzato per andare a pisciare e nel bagno c’era un letto e altra gente che continuava a entrare e a parlarmi fino a quando qualcuno ha detto che era arrivata una donna, che aveva chiesto di me e che adesso stava venendo in casa e poi ti ho vista ed è stato innegabile il mio stupore, che fossi tu l’unica persona venuta a cercarmi e allora ti ho chiesto perché ero lì, che cosa era successo e tu mi hai raccontato una trama che non corrispondeva con quella della mia mente obnubilata ma ti ho seguo lo stesso, perché volevo andarmene e siamo saliti sulla tua vecchia auto e abbiamo attraversato strade e visto stazioni dei treni e un parcheggio in cui ci siamo fermati e tu sei diventata un’altra e allora un ricordo è sbocciato nel cuore e ho rivisto me stesso in tutte quelle occasioni in cui avrei voluto amare qualcuno senza riuscirci e la gabbia dei sentimenti silenziosi e quelli che anche la voce, con le sue bugie, non poteva esprimere ma solo gli occhi e gli sguardi, con la loro meraviglia e la loro luce, mentre la realtà svaniva e nuovi scenari confondevano i sensi.

venerdì 3 maggio 2024

freewheelin' #82

 Le notti diventavano più brevi e il sonno si popolava di sogni e fra le loro storie c’eri anche tu, il tuo volto e il tuo corpo ma non i tuoi occhi ed era un toccante mistero come a distanza di decenni alcuni dei miei sentimenti fossero rimasti intatti, quelli di quando ero un ragazzo e fra le macerie del tempo, dopo che ogni relazione era crollata, quel luogo emotivo, oscuro e pulsante, non era cambiato ed entrandovi le fotografie appese ai muri prendevano vita e con esse i ricordi e quello che era stato e mai sarebbe tornato. 

Eri venuta a sdraiarti vicino a me e ti stavo accarezzando la pelle, la schiena e il collo e quel punto magico dove iniziavano i capelli e forse è vero che le prime volte in cui l’amore viene a trovarci saranno quelle che gli daranno forma e se fra di esse abbiamo conosciuto il richiamo tenebroso del dolore allora sarà la sofferenza a modellare i palpiti del cuore e dei suoi desideri.

Eravamo in silenzio e sentivo la presenza del tuo corpo, continuando a sfiorarti con la punta delle mie dita e poi Valerio ci ha detto qualcosa e così ci siamo mossi e poi eravamo per strada, vicino ad una machina, c’era luce e mi stavi parlando e poi ti sei piegata e il tuo culo era molto invitante e poi non c’erano più certezze e il traffico del cuore ha cominciato il suo frenetico movimento e avrei solo voluto allontanarmi e svanire senza sapere, però, come fare.

In una stanza stavano proiettando un film in arabo, mi ero seduto e Iman era rimasta in piedi, leggermente piegata davanti al proiettore in modo che una parte del fascio di luce e di immagini ne ricoprisse un lato del volto e del corpo, colorandoli, dando a questa situazione una parvenza di meravigliosa psichedelica e poi la sua voce si è sovrapposta a quelle delle persone del film, che sembrava un documentario e io ascoltavo i suoi discorsi rivoluzionari e pensavo che avesse ragione e c’era una inaspettata forza nel modo in cui parlava, nei riflessi dei suoi occhi, nel fuoco delle sue parole.

Ero in macchina, fermo e stava piovendo leggermente e nei campi davanti al parabrezza avevano piantato dei giovani alberi, in file asimmetriche che si snodavano nell’erba, il cielo era grigio e il verde scuro e profondo, un mondo in uno sguardo, uno sguardo che diventa il mondo.


mercoledì 1 maggio 2024

freewheelin' #81

 Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve innumerevoli ospiti che entrano ed escono dalla sua casa - Qualcuno cerca di farmi entrare in una organizzazione illegale, non che ne abbia voglia anche se da un punto di vista economico risulterebbe una scelta vincente, dovrei solo stare attento ai miei vizi e non lasciarli dilagare e prendere potere - Il potere, lo Zeppelinfeld era un enorme spazio per raduni oceanici, in cui il carismatico leader metteva in scena grandiose cerimonie sciamaniche, culti delle ombre e del fuoco, all’interno di visionarie cattedrali di luce, galvanizzando e unendo il popolo, eccitandolo verso la propria gloria - L’anima diventava collettiva e trascendeva il presente nell’eroica prospettiva di un futuro immortale, di una grandezza eterna e anche se adesso sono solo le rovine a essere rimaste, quella maestosa energia e la sua eco sono ancora presenti - L’immagine di una enorme svastica nel sole, il bianco accecante delle colonne e dei gradini e delle scalinate, le celebrazioni dove forgiare lo spirito di un popolo in esperienze comunitarie di un ordine sacro e terreno, mistico e materiale, che avrebbe poi trovato nelle forme devastatrici della guerra la sua massima espressione, in un’orgia di violenza, sadismo e distruzione - Treni da prendere, persone da avvisare, tratti di strada che si stavano allagando mentre la marea arrivava e poi l’attesa davanti a un palazzo, prima di entrare in un bizzarro ascensore, un piccolo cubicolo di legno e vetro che una volta in movimento girava intorno al palazzo per poi penetrarvi e salire verso l’alto in spirali ellittiche - Uno sconosciuto avrebbe aperto la porta davanti alla quale stavo aspettando, l’apparizione di una donna in divisa e stivali, poi le solite domande di rito e l’inaspettato calore del suo sorriso - In piedi davanti a  delle grandi finestre, la sagoma di un castello in lontananza e la tua pelle come un giardino di tentazioni e delizie e poi il buio che sensuale ci avvolgeva, un attimo prima che le ombre arrivassero, marciando per le strade, nel cupo rimbombo del silenzio di un mondo che aveva cessato di esistere.

lunedì 29 aprile 2024

freewheelin' #80

 Litanie adolescenziali nel deserto, con echi di parole ingoiate dal vento, coni di luce sull’asfalto e una machina oscura in movimento - Il limitare della sera lungo i perimetri elettrificati dei campi di sterminio della notte, forme ataviche di violenza subliminale, di somministrazioni sublinguali, azioni paramilitari e sequestri lampo di persone invisibili, ostaggi psichici nascosti in suburre sotterranee, privati del sonno, coreografie di macabre danze nello stomaco, quando le emozioni marciavano per trasformarsi in spettacoli della carne crudeli e osceni, dettati dalla paura - File di spettatori vestiti di stracci, la distribuzione delle ultime dosi lisergiche, perché il mondo cambiasse e dal suo orrore strisciante arrivassero miriadi di arcobaleni ridenti - Scenografie sovversive, narcotrafficanti in giacca e cravatta seduti a discutere nella sala comandi dei gialli sottomarini del subconscio, strategie del ragno stratificate, in ogni posto, in ogni momento, gridava uno degli scimpanzé arrapati dell’Università balinese, lo spaccio di sostanze sarebbe stato capillare, la rete di contatti teoricamente infinita - Sul bordo del sentiero imparavo a scavare piccole buche per catturare rettili primitivi, sul cruscotto della macchina c’erano bizzarri questionari da compilare, mentre le prospettive cambiavano e dei discorsi fatti non rimanevano altro che vagiti distanti, ogni volta che alteravamo il nostro linguaggio si modificava anche il modo di pensare e quindi agire - Durante l’alba arrivavano più nitide le transizioni oniriche trasmesse da dreamland, i battiti cardiaci aumentavano, i messaggi di Sara, i frammenti delle sue storie che lo scrittore ricomponeva sulle righe del libro nero, non eravamo i soli a essere fuggiti da questa vita, nelle baracche e nelle tendopoli la pioggia acida iniziava a cadere, nella stanza di un albergo, come sconosciuti, ci siamo incontrati, mentre fuori la notte sensuale svaniva.

domenica 28 aprile 2024

dream #142

 Un paio di foto di Sara in cui le si vedevano i piedi, le piante dei piedi e che mi aveva mandato sul cellulare (che non riuscivo più a trovare) e quelle foto erano diventate immagini mentali mentre camminavo per un enorme albergo all’aperto, nella ricerca di una doccia libera in cui lavarmi - Ce ne era una su una pedana rialzata, in una complessa struttura a più livelli, con scale che portavano da uno all’altro, avevo lasciato i miei vestiti in un cabina e poi mi ero diretto verso la doccia, con un asciugamano legato ai fianchi, salendo alcuni gradini - Da lì si potevano vedere le camere degli edifici che si affacciavano sull’altro lato dell’albergo, alcune persone erano sedute nei piccoli terrazzi fuori dalle finestre scorrevoli, rilassandosi con un bicchiere in mano, mi stava venendo una erezione - Stavo camminando in un’altra area dell’albergo e avevo addosso solo un costume da bagno, la solita sensazione di smarrimento si era impossessata di me mentre gli scenari cambiavano e forse avrei solo dovuto accettare che quella realtà fosse così, in continuo mutamento, insolita e misteriosa, affascinante e irrazionale e che non esisteva nessuna paura perché non c’era nessun luogo nel quale arrivare, l’angoscia era solo un trucco della mia mente - Ero seduto fuori da un negozio di Via Veneto, chiuso per lavori di ristrutturazione, vedevo le altre persone che mi passavano davanti, avrei potuto essere un mendicante o un miserabile invece di un insegnante in attesa di salire dalla sua facoltosa cliente orientale e non ci sarebbe stata nessuna differenza, un altro me stesso continuava i suoi vagabondaggi, prima che lo raggiungessi per continuare il cammino insieme a lui.

ZetaElle #28

  Tornato in città Zito Luvumbo si era ritrovato pieno di cose da fare e organizzare. Simulazioni di guerriglia urbane per le strade dei qua...