martedì 29 dicembre 2020
Orgiva #19
martedì 15 dicembre 2020
Cigarrones #17
Il giorno dopo o quello dopo ancora avevo trovato Paul di nuovo ubriaco (o forse la sbronza non gli era mai passata), doveva essere mattina tardi e lui stava bevendo una birra, gli ho chiesto se ne avesse un’altra e lui ha indicato una borsa frigo vicino al divano viola, mi sono seduto, ci ho messo una mano dentro e ho pescato una lattina, l’ho stappata e ho dato un sorso. La cerveza era tiepida come piscio. Allora mi sono ricordato che avevo nascosto (previdentemente) una bottiglia di vodka dentro il bus con gli strumenti musicali di Tim, sono andato a prenderla e ho preparato un paio di vodka tonic (per fortuna c’erano ancora alcune bottigliette di schweppes in giro). Niente ghiaccio, ma l’essenziale ce l’avevamo.
Io e Paul abbiamo continuato a bere tutto il giorno, ogni tanto lui intonava una canzone e la sua voce era calda e impastata ma anche molto dolce, seguiva il flusso della propria ispirazione fino a quando non si è messo a interpretare il Mendicate di Granada e a farmi rimanere a bocca aperta, sorridendo, per la toccante sensibilità della sua performance.
Poi la sera è arrivata insieme ad altre persone, alcune di esse si sono messe a suonare, la musica vibrava nelle sfumature lisergiche del tramonto, una ragazza mi ha passato un quarto di acido, qualcosa di leggero, giusto per attraversare la notte e con essa ogni domani che non avrei mai vissuto se non nella mia immaginazione, perché è solo il presente il tempo dell’uomo, come qualcuno più saggio di me aveva scritto nei suoi diari di cangianti e sempre mutevoli illusioni.
domenica 6 dicembre 2020
dream #101
sabato 28 novembre 2020
Orgiva #18
giovedì 19 novembre 2020
Lanjaron #2
lunedì 16 novembre 2020
Cigarrones #16
Non mi ricordavo il motivo ma mi ero ritrovato a camminare con Vittorio, Clarabelle e Glenn e stavamo andando dove era la sorgente dalla quale arrivava l’acqua che finiva alla fonte di Cigarrones (un tubo che usciva fuori da una roccia, con una pressione che sembrava quella delle ultime gocce di piscio quando uno si sgrulla il cazzo) - C’era stato un problema e Vittorio aveva una pala con sé e mi aveva detto che bisognava scavare un pò di terra per liberare i tubi o trovare l’acqua o qualcosa del genere, non che mi interessassero i dettagli (né tantomeno l’idea di mettermi a lavorare) ma era una bella giornata e avevo voglia di vedere un posto nuovo. Abbiamo seguito un vecchio sentiero, quello che attraversava le colline fino a Tablones e ogni tanto Vittorio si fermava e dava un paio di tiri dalla sua pipa (fumava erba) e raccontava qualche storia. Sulla cima della montagna che avevamo di fronte, stando a quello che diceva Vittorio, qualcuno aveva costruito una sorta di tempio buddista, per meditare, ricercare il vuoto, recitare mantra o forse più semplicemente assumere acidi in totale tranquillità. Mi venivano in mente monaci zen, giorni di nebbia, il tè verde servito in piccole tazze di porcellana decorate con motivi stilizzati, la calma dei pensieri e del cuore. Ogni inizio e ogni fine. Quando siamo arrivati alla sorgente, ci siamo accorti che era quasi secca, Vittorio ha spalato un pò di terra ma la situazione è rimasta la stessa, brutto segno, ho pensato, addio acqua dalla fonte, ora bisognava muovere il culo e andare con le taniche altrove.
Poi siamo ridiscesi, camminavo dietro agli altri guardandomi intorno, dove sarei arrivato? Dove avrei trovato un posto in cui valesse veramente la pena fermarsi e vivere?
Vittorio aveva cominciato a raccontare un’altra storia, mi piaceva ascoltarlo, difficilmente si ripeteva, la luce del giorno era ancora forte e le nostre ombre si erano perdute chissà dove.
mercoledì 11 novembre 2020
Giorni di anarchia e masochismo (2010)
Pensa a quante famiglie dimmerda hai intorno, gli uomini castrati, una volta che si sono sposati, le donne che prendono il potere, i coglioni gonfi, le scopate che diminuiscono, questo è il vero controllo, la vera schiavitù, le donne hanno una maniera particolare di asservirti ai loro voleri, la vita diventa un inferno, se devo essere uno schiavo allora lo sono realmente, fino in fondo, mi inginocchio nudo e prostrato e obbedisco, per questo credo che i rapporti sadomaso siano molto più sinceri, c’è una donna dominante, c’è un uomo sottomesso, in quel momento non ci sono maschere o se ci sono, sono vere, grottesche e magnifiche, c’è uno scambio di potere e molte volte i ruoli si invertono, è una esperienza profonda e unica, con le persone giuste, quelle più difficili da trovare - Le vedi quelle famiglie, quei mostri che camminano nei centri commerciali, li vedi i padri che guardano i culi delle ragazzine adolescenti, mentre spingono il passeggino del figlio senza che gliene freghi un cazzo di niente, certo, certo, ci raccontano che c’è l’amore, che ci sono i buoni sentimenti, quante stronzate, quante stronzate che ci raccontano, li vedi gli uomini al guinzaglio delle proprie mogli, li hai tutti intorno, donne che usano i figli come mezzo di comando, che diminuiscono le scopate e i coglioni si gonfiano e la mente e il corpo aspettano solo di schizzare, di liberarsi da quel peso, li vedi i tradimenti, gli stupri, le violenze, li hai sotto gli occhi, pensaci, è un sistema sbagliato, l’energia non è libera di muoversi come vuole, non si è liberi di scopare come e quando si vuole, giocando, scherzando, amandosi, senza stronzate, senza interessi, senza nulla da ottenere che non sia estasi e gioia, li vedi quei padri che spingono le carrozzine e vanno a fare la spesa e la sera sono tristi e le mogli parlano di questo e di quello e poi al letto niente da fare, un'altra giornata è passata e le famiglie continuano a formarsi e nuove file di schiavi in catena, giorno dopo giorno, al lavoro, a casa, nella stanza da letto - Ispirazioni anarchiche e passioni masochistiche, davanti allo specchio, un idiota ghignante, i miei occhi puri, il dolore che vibra nel corpo, il piacere che esplode, le manette ai polsi, vadano a fare in culo le chiese e i matrimoni, sulla croce ci sono stato e non ho mai goduto di più.
lunedì 9 novembre 2020
Orgiva #17
lunedì 2 novembre 2020
dream #100
venerdì 30 ottobre 2020
madre e figlia (2010)
Quando la figlia usciva di casa, il sabato mattina, per andare a scuola, la madre entrava nella sua camera e si metteva a rovistare tra i vestiti, nelle borse, nei cassetti alla ricerca di qualcosa che potesse spiegare gli strani comportamenti della ragazza. Al telegiornale dicevano che gli adolescenti facevano abbondante uso di sostanze stupefacenti, canne, alcol, coca e una galassia multicolorata di pasticche. Ogni tanto la madre trovava una cartina e già questo le pareva un buon indizio per interrogare la figlia su quali sostanze usasse. Il mutismo di lei era la risposta più frequente.
La figlia faceva quello che voleva. Aveva diciassette anni. Tornava la domenica mattina alle cinque, quando si degnava di rientrare a casa e non rimaneva, come diceva lei, a dormire da qualche sua amica. La scuola era un passatempo settimanale. Era stata già bocciata una volta e per la seconda mancavano solo pochi mesi. La madre attribuiva le colpe al padre assente, alla società, ai professori, alle droghe. Mai una volta che si chiedesse se il suo modo di fare avesse avuto qualche effetto sul comportamento della ragazza. Se la sua incapacità di mantenere una decisione stabile avesse influito sulla confusione della figlia.
La donna riusciva ad arrabbiarsi con la ragazza perché spendeva troppi soldi e dopo tre giorni le regalava cento euro per un paio di scarpe. Poteva aggredire la figlia perché prendeva un Oki contro i dolori mestruali o il mal di testa e la sera per addormentarsi contava in un bicchiere le sue gocce di ansiolitico.
La donna aveva un cane a cui aveva trasmesso le sue stesse inquietudini, il suo stesso nervosismo. Per un periodo era diventato il suo confidente, la sua sola compagnia.
Questo, quando le era morto il pappagallo.
La donna continuava a programmare idealmente la sua vita, senza riuscire mai a metterla in pratica, si rinchiudeva in abitudini e azioni ripetitive, senza capire che finché non avesse fatto chiarezza dentro se stessa, nulla sarebbe cambiato.
Si potevano incolpare gli altri per il proprio malessere, ma era la soluzione più facile. Nessuna medicina e nessuno psicologo potevano aiutarla. La felicità è qualcosa che esiste nel cuore di ogni persona e non dipende dagli altri. Il problema è che quasi tutti la cercano fuori di loro. Nel mondo, negli uomini, nelle donne, nelle cose, negli animali. Per questo la gente è infelice. Perché cerca nei luoghi sbagliati.
La ragazza tornò da scuola ed entrando in camera vide le sue cose spostate, un cassetto aperto, una borsetta in un luogo diverso da quello in cui si ricordava di averla lasciata. Andò dalla madre e iniziarono a litigare. La donna disse che doveva smetterla di fare come voleva, che quella sera non sarebbe uscita, che lei non le avrebbe dato un soldo. La ragazza la mandò senza tanti complimenti a fare in culo. Poi si chiuse in camera. Passò il pomeriggio a dormire. Verso le sette iniziò a prepararsi. A truccarsi. A vestirsi. La madre le chiese dove credeva di andare, lei le rispose dove cazzo mi pare. Poi prese la sua borsetta e uscì. La madre le corse dietro, sulle scale. In un ultimo disperato tentativo di controllo le disse di non tornare tardi. Alle cinque al massimo a casa.
Alle cinque di mattina.
La ragazza neanche la ascoltò, in cortile si accese una sigaretta, sentendosi sicura di sé, mentre fuori dal portone qualcuno la aspettava, per portarla lontana da lì, in qualsiasi luogo, che non fossero le strette pareti della sua stanza.
lunedì 26 ottobre 2020
freewheelin' #54
Campi aridi asfissiati dal sole, minuscoli contadini in lontananza con una sacca di semi a tracolla, i servi del terzo millennio erano uguali a tutti quelli che li avevano preceduti, poi le sagome anonime dei centri commerciali e i parcheggi con gli eserciti di macchine schierate in attesa dei propri stanchi padroni - C’era chi comprava, chi possedeva denaro, conti bancari, contatti, stipendi, salari, eredità eucaristiche che qualche povero cristo avrebbe abbandonato davanti alle bocche spalancate e sdentate dei martiri della misoginia militante - Tutti a cazzo duro! Ora e sempre astinenza! - Le bottiglie di assenzio e le riunioni di maschi e scimmie arrapate - Fra la distrazione e l’anestesia io posso sopravvivere, diceva Susana, prima di togliersi i vestiti e scomparire in una stanza proibita - Le streghe volavano ancora nel cielo che si oscurava a occidente e qualcuno accendeva grandi falò nella notte che sarebbe giunta, poi racconti anoressici e distillati di erbe psicotrope - File di enormi edifici in spazi urbani che nessuno aveva avuto il coraggio di progettare, un paio di birre in un patio nascosto fra sorrisi sintetici e cenni d’intesa, una donna accavalla le gambe, non ha le mutandine e me lo fa venire duro - Profughi, migranti, reduci, esiliati dalle zone erogene di un sesso indecente - I nomi di ogni deriva, le poesie mai scritte di ogni gesto di resa.
giovedì 22 ottobre 2020
Orgiva #16
martedì 13 ottobre 2020
Orgiva #15
Il Semaforo aveva riaperto o forse non aveva mai chiuso ed ero stato solo io a non uscire di casa per giorni, le fotografie da controllare che neanche ricordavo di aver scattato, gli appunti da rileggere, quelli scritti da un’altra mano, un’altra ombra schiacciata dal calore bianco sui muri di case abbandonate - Le bottiglie di vino a formare composizioni primitive in un angolo della cucina, la prima luce del giorno che sfiorava le tende tirate della sala da pranzo (l’appartamento non era moderno e ancora possedeva nomi per le diverse stanze), poi le immagini in movimento di abitazioni in cui non avrei mai più vissuto se non nei pomeriggi che volgevano alla sera dei miei ricordi, volti perduti nella memoria, i pensieri di un bambino solitario e la loro colorata meraviglia - Paul mi aveva cercato e ci eravamo incontrati al Semaforo, lui era seduto su uno sgabello a parlare con Bob e Stephen, io mi ero messo al bancone e avevo ordinato un tubo - Paul mi ha fatto cenno di avvicinarmi quando mi ha riconosciuto, gli ho sorriso e ho spostato il mio sgabello vicino al suo - Il documentario sul Dragon Festival era rimasto fermo per un paio di mesi, non avevamo fatto altre interviste e il montaggio si era bloccato nelle nostre menti, la storia non proseguiva, si era essiccata come il rio Guadalfeo durante l’estate, c’era ancora una Big Picture da qualche parte di quello che volevamo realizzare ma nessuno dei due sapeva dove fosse e forse era meglio così, ci saremmo lasciati trasportare dal flusso di una narrazione invisibile, che voci e volti in stati di alterazione avrebbero raccontato al ciclopico occhio della videocamera e poi la musica sarebbe arrivata quando le parole fossero finite e forse anche danze estatiche sotto la luna, i ricordi di esaltazioni elettroniche e chimiche, i vuoti che le droghe lasciavano nella memoria e che nessuno dei presenti in sala aveva intenzione di colmare - Poi le improvvise aperture emotive di un melodramma alcolico con amanti e prigioni di sentimenti e lacrime e sofferenza, quella del cuore, quella che faceva più male - Le forme di autotortura erano innumerevoli e ognuno di noi sapeva essere il migliore carnefice di se stesso, per tormentare il proprio corpo e la propria anima - Mandiamo a fare in culo tutto l’apparato produttivo, economico e commerciale di fare film, avevo suggerito, ordinando un altro tubo e iniziando a sentire la testa più leggera, vediamo come le sequenze si uniranno e distruggeranno da sole, come le vendette finiranno per essere atti d’amore clandestino - Ci sono stanze d’ombra che dovremmo arredare con le forme oscure dei nostri piaceri proibiti, sussurravo in un orecchio a Sara, mentre le legavo i polsi alla spalliera del letto - Stavo camminando lungo la strada che dal ponte portava a Orgiva, l’avevo fatto decine di volte, prima del Grande Caldo, prima che esso diventasse uno stato mentale ed esistenziale, sembra di essere sempre sul punto di sciogliersi mi aveva detto una volta Maeve, prima di svanire in un tramonto etilico - Marce forzate di autocoscienza metafisica, io e l’altro a passo spedito lungo salite e pendii di psicosi altrui, dissertazioni filosofiche in codice, rappresentazioni teatrali incompiute, discariche pubbliche di pensieri nocivi e tossici in totale collasso degenerativo - I piedi nudi di Sara che attiravano la mia attenzione mentre sentivo di nuovo i coglioni gonfiarsi - Respira, respira, respira - Antichi suggerimenti di vecchi monaci di cerimonie zen - Una capriola, un salto, un applauso - Una rissa fuori da un bar - Sara mi raccontava la sua vita, giorno dopo giorno, le piccole cose da fare appuntate sulla sua agenda, la vedevo alzarsi, tentare di entrare nei ritmi della vita quotidiana, poi spogliarsi di tutto e sprofondare nei suoi istinti, nelle sue paure, nei suoi misteri - La prendevo a schiaffi, la legavo, la masturbavo, poi la osservavo di nuovo, seduta a leggere, a dipingere, a smarrirsi nel mondo al di fuori di questa casa - Ero seduto in disparte, in un fotogramma muto di una pellicola ormai sbiadita e dimenticata, ho guardato oltre i bagliori di un giorno in rovina, i primi fuochi venivano accesi, le ultime sensazioni svanivano accarezzando il profilo del tuo volto, ci penseranno i tuoi occhi a guidarmi al di là di questo lento cadere, i tuoi occhi come lo specchio di un cielo striato di lividi e angosce e infinito candore.
sabato 3 ottobre 2020
senza titolo
venerdì 2 ottobre 2020
freewheelin' #53
lunedì 28 settembre 2020
dream #99
giovedì 24 settembre 2020
Cigarrones #15
Sebastian era un artista, un pittore e anche un uomo molto dolce e sensibile, delicato e gentile, un giorno mi aveva giustamente domandato che cazzo ci stessi a fare a cucinare per Wibbs e consorte, visto la sua evidente rudezza, gli avevo detto che questo era il punto e che così, a volte, va la vita.
Lui ha preso un pezzo di cartone dalla polvere della terra scura e da una borsa ha tirato fuori dei pennelli e un tubetto di vernice nera, lo ha aperto e ha spremuto fuori un pò di colore, poi ha iniziato a dipingere, quasi in maniera frenetica, impulsiva, mi guardava, dipingeva, poi mi guardava di nuovo, io cercavo di rimanere fermo senza ciondolare, nel frattempo alcune gocce di vernice hanno iniziato a cadere sulla terra scura ed è come se Sebastian stesse avendo un orgasmo e stesse eiaculando la sua arte ovunque e dopo aver finito e avermi dato il mio ritratto, mi ha ringraziato, dicendomi di averlo liberato e io gli ho sorriso in silenzio.
Poi ho dato una lunga sorsata dalla mia bottiglia di vino rosso, le stelle vibravano nel cielo, senza nomi che potessero creare nuovi inganni e nuove illusioni, to the next dream - ha detto Sebastian, prima di svanire nel buio e nei misteri della notte e in tutto quello che nessuno di noi avrebbe mai conosciuto di essa e dio ciò che alla sua fine sarebbe successo.
giovedì 17 settembre 2020
...
"He remembered Alejandra and the sadness he’d first seen in the slope of her shoulders which he’d presumed to understand and of which he knew nothing and he felt a loneliness he’d not known since he was a child and he felt wholly alien to the world although he loved it still. He thought that in the beauty of the world were hid a secret. He thought the world’s heart beat a some terrible cost and that the world’s pain and its beauty moved in a relationship of diverging equity and that in this headlong deficit the blood of multitude s might ultimately be exacted for the vision of a single flower."
cormac mccarthy
all te pretty horses
lunedì 14 settembre 2020
Orgiva #14
giovedì 3 settembre 2020
Cigarrones #14
Era quasi il tramonto e mi sentivo il corpo leggero e stavo tornando da dove ero venuto, non ne sapevo il motivo, perché ogni decisione che prendiamo non è altro che un trucco della nostra mente e allora mi sono fermato nello splendore improvviso di un istante e mi sono guardato intorno e i pendii delle montagne respiravano, i colori si muovevano lenti, meravigliosi, in un riverbero costante di luce divina, perché stavo camminando? Dove stavo andando? Dove stava andando ognuno di noi? Non c’erano risposte e mai ce ne sarebbero state, oltre a quelle che la morte ci avrebbe dato, le onde del tempo ci trascinavano con loro attraverso i misteri di questa vita e di quelle che sarebbero venute dopo.
Mi sono seduto a osservare la natura che mi circondava e a cui appartenevo, non c’erano direzioni da seguire al di fuori di quelle che mi avevano portato in questo istante di assoluta perfezione, c’era una canzone che il vento e la terra mi stavano insegnando, la sentivo nel cuore e in ciò che in esso si nascondeva, poi il silenzio e la quiete del cielo hanno avvolto con la loro bellezza ogni cosa e di tutto quello che ho sempre creduto essere reale non è rimasto altro che polvere di stelle, quella di una sensuale notte, ammantata di sogni sempre più fuggevoli, ho camminato lungo la frattura dei mondi, nulla mi sembrava vero e nulla era mai stato così nitido e vivo nel manifestarsi davanti al mio sguardo, ho vagato in questo vuoto danzante come fosse un atto d’amore, per arrivare in quel luogo dove origine e fine si perdono in un respiro di eternità.
martedì 1 settembre 2020
Orgiva #13
domenica 30 agosto 2020
...
"Sometimes I would awaken and find him working in the dime light of votive candles. Adding touches to a drawing, turning the work this way and that, he would examine it from every angle. Pensive, preoccupied, he’d look up and see me watching him and he’d smile. That smile broke trough anything else he was feeling or experiencing - even later, when he was dying, in mortal pain.
In the war of magic and religion, is magic ultimately the victor? Perhaps priest and magician were once one, but the priest, learning humility in the face of God, discarded the spell for prayer.
Robert trusted in the law of empathy, by which he could, by his will, transfer himself into an object or a work of art, and thus influence the outer world. He did not feel redeemed by the work he did. He did not seek redemption. He sought to see what others did not, the projection of his imagination."
patti smith
just kids
giovedì 27 agosto 2020
Orgiva #12
Il caldo mi stordiva durante il giorno e così me ne stavo chiuso in casa, nudo, con il cazzo duro, a volte, a guardarmi allo specchio - disteso sul letto, gli anelli di metallo, le tue scarpe rosse con il tacco, le tue mutandine nere, le mollette per i capezzoli, elastici vari, un piccolo vibratore, i miei feticci erano sparsi un pò ovunque, li usavo, li nascondevo, li ritrovavo, lasciavo la mia immaginazione libera di esprimersi, giorni di anarchia e masochismo li aveva chiamati lo scrittore, giorni di follia controllata, di danze senza regole sui confini della normalità, sempre ammesso che ce ne fosse una - ghignava il mio riflesso da qualche parte e poi me ne andavo sul terrazzo a fumarmi un porrito, le palle legate sotto al pareo che iniziavano a gonfiarsi, a farmi pensare a te, a quando saresti tornata, non avrei eiaculato fino a quel momento, giochi mentali, fantasie erotiche ricoperte di pelle, latex, cuoio - frustini, manette, bende, corde - c’era tutta un’alchimia erotica fatta di vestiti, oggetti e parti del corpo che mi mandava in estasi, un personale teatro di esaltazione dei sensi, di piaceri e proibizioni, con ombre maschere e luci sulle assi polverose di un palco itinerante, il buio in una sala inventata dai sogni, il mio corpo in languide posizioni oniriche, mentre la tua voce mi diceva cosa fare e io la ascoltavo rapito, fuggendo lontano, oltre me stesso e tutto quello che non ho mai osato essere.
mercoledì 26 agosto 2020
senza titolo
martedì 25 agosto 2020
Orgiva #11
Le colazioni alla terraza Castillo, con il fumo delle sigarette che creava figure astratte nell’aria, fra le dita di donne annoiate, il loro parlare interminabile, già a quell’ora, quando le loro bocche avrebbero dovuto essere ancora chiuse o al limite desiderose di succhiare un cazzo in erezione, suoni marini, scivolose sensazioni di ebbrezza erotica e sullo schermo della televisione passavano le immagini di pandemie mediatiche e lo scrittore si era alzato alle cinque di mattina per rileggere i suoi romanzi con occhi onirici, seconde stesure, laboratori di personale rielaborazione catartica, seguendo il ritmo delle sue visioni notturne e non c’era nessuno per strada, a quell’ora, nella piazza, non c’erano voci, né grida di bambini in stato di avanzata fibrillazione ludica, non c’erano cani, madri e vagabondi in giro e in questi momenti di silenzio ringraziavo la vita per la sua quiete, sapendo bene che non era questa la vita, ma solo il suo lato nascosto, timido e pacato, come me, al riparo in una casa vuota, con i libri e le foto e le tue scarpe con il tacco da baciare e leccare nei momenti di esaltazione masochistica (senza il bisogno di aggiungere la presenza di un laccio intorno ai miei coglioni gonfi) - O Dei della masturbazione, innalzerò altari di feticci in vostro onore e davanti ad essi mi inginocchierò a cazzo duro, vi adorerò nelle mie preghiere onanistiche, madre del cielo apri la tua fica d’aria e nuvole e lascia che gli uragani della passione ti turbino dentro - E nulla restava, lo sapevi bene e le divinità rissose con te, di questi orgasmi senza gioia, mai raggiunti e spinti lontano, nessuna bianca sostanza, nessun figlio perduto, nulla rimaneva del teatro del fottere&gridare, se non illusioni di un’intesa perversa e sfuggente e ferite e lividi viola e la tua pelle come una terra di misteri irrisolti, un campo di una guerra che mai conoscerà una fine, bandiere di resa bruciate nel fianchi, fra le gambe, nelle viscere - Bevevamo liquori in locali persi nel tempo, il tintinnare dei brindisi, il contatto dei tuoi piedi sui miei, sotto il tavolo, di nuovo a cazzo duro, ogni movimento, ogni penetrazione, come se fossimo gli ultimi amanti di una città dimenticata, in questa notte di stupende ossessioni vestite di cuoio e sospiri.
sabato 22 agosto 2020
Lanjaron #1
Viali alberati e vecchi alberghi, le ombre degli alberi a comporre mosaici vibranti sui marciapiedi e sull’asfalto delle strade, dove scivolano automobili degli anni cinquanta e battono il tempo i tacchi di donne disinvolte e sorridenti, il fotografo seduto a un tavolino, a bere birra e prendere appunti sul taccuino dello scrittore, i bagni termali e le stanze con folti tappeti orientali, le superfici cromate di bolidi futuristici, biplani in fase di decollo lisergico, quando i colori diventano stati emotivi, un’estetica cromatica di sensazioni visive, che poi qualche professore dell’Università Balinese avrebbe trasformato in immagini e teorie pittoriche, all’interno dei libri di testo di guerriglia architettonica - La corrispondenza psichica con lei, le parole che ci lasciavamo scivolare dentro, le scopate che occupavano gran parte delle nostre notti, fino all’alba di un nuovo giorno e di una nuova erezione, le sue urla di piacere e dolore che colpivano i muri della stanza mentre le schiaffeggiavo le natiche con naturale disinvoltura, i suoi occhi in cui mi immergevo e nei quali scoprivo una meraviglia dopo l’altra - Le mattine sul divano, appena svegli, che già ci scambiavamo la pelle e i suoi brividi, il cazzo duro a ogni ora, le risate e i silenzi, i film visti nel nostro cinema mentale e di nuovo la luce, fuori dalla casa, che mi indicava dove dirigermi per scattare foto e catturarla in esse, le pagine di un diario nascosto, le frasi di Anais Nin e i deliri erotici di H. Miller e poi Parigi, svanita in un giorno di pioggia, nei riflessi in movimento sul vetro di una bottiglia di assenzio, un’alba fredda e omicida e le insegne degli hotel per miserabili, le puttane sui boulevard di un romanzo strappato da mani in stato di ebbrezza animale, non avrei mai finito di scoparti, di sprofondare nell’abisso dell’anima e in quello che la carne delle tue cosce aperte creava e distruggeva, ti afferravo per i capelli, con violenza e splendore, mentre ti cibavi del mio cazzo e ti spingevo la cappella fra le labbra fino a toccarti la gola - Danzavamo ubriachi in una lenta deriva dei sensi, era una vita che avevo perduto e poi ritrovato e non me ne fregava un cazzo di cosa sarebbe successo dopo, bevevamo ogni notte e poi scopavamo, le stelle bruciavano, i segni viola, gli attimi di estasi sospesa che precedono ogni liberazione, vengo come una marea di sogni oppiacei fra le tue labbra e a esse dedicherò poesie di selvaggia passione, cuore che gridi, indomito e pulsante, fra queste lenzuola sporche di sperma e sudore, dita nel culo e momenti d’amore, epidermidi violate, colpi di frusta come carezze proibite.
lunedì 17 agosto 2020
domenica 16 agosto 2020
Motril #2
Stazioni degli autobus, come si ci trovassimo in un sogno, l’attesa della partenza, le destinazioni che appaiono improvvise su uno schermo ad alta definizione, negozi di bisogni inutili, alle 15.00 sarebbe arrivato il mio contatto da Orgiva, fittizio o reale, non aveva nessuna importanza - In quanti orifizi devo amarti, diceva lo scrittore, disteso sul letto, il cazzo in erezione, la pelle ricettiva ad ogni minima sollecitazione erotica, sono i tuoi capelli, il tuo culo, i tuoi piedi, i tuoi occhi attraverso cui posso vedere la tua anima a farmelo venire duro, ad ogni ora del giorno e della notte, la violenza di ogni gesto di passione, la sconfitta, la gioia sublime e transitoria di ogni orgasmo, sospiri disciolti negli anfiteatri della mente, composizioni orgiastiche ed estasi dionisiache - Qualcuno parlava in arabo nelle strade, perché le coste del Marocco non erano così lontane, poi il particolare di un palazzo che ha iniziato a risplendere in una onirica e luminosa consapevolezza di trovarmi dall’altra parte dello specchio, dove le tue unghie hanno lasciato segni indelebili sulla pelle e i tuoi denti marchi inconfondibili e lo sguardo di una donna anziana nel quale sprofondano tutte le nostre paure, case in penombra in cui sono stato bambino e poi le parole che non ci siamo più detti, le risate, le lacrime, Leonard Cohen che canta i suoi versi e una Marianne svanita nel tempo che lo ascolta distratta, le nostre muse, i nostri demoni, le colazioni sull’erba, i tuoi disegni, le tue lettere, le mattine a guardare i colori dell’alba da una terrazza vuota, i tuoi amanti, le tue bugie, ogni sorriso che hai tentato di proteggere in un frammento di felicità, ogni illusione cha ha danzato nell’infiammarsi di un tramonto, ogni pellicola che non abbiamo visto, ogni poesia che abbiamo dimenticato di scrivere, il lento rollio di quanto ci resta da vivere, qui, altrove, in nessun luogo - Ho accarezzato il tuo volto, ho visto la mia sborra colare dagli angoli della tua bocca, quello che non sono, quello che non sarò mai, quello che ho sognato di essere, quello che neanche le tue labbra hanno saputo chiamare con un nome che non fosse il mio.
giovedì 13 agosto 2020
Motril #1
Minuscole molecole d’acqua che evaporano in secondi sospesi, odore di sporcizia e strade in putrefazione estiva, le strutture di cemento tremolanti nella luce accecante del giorno, la mia camicia floreale, la macchina fotografica appesa al collo, gli occhi che seguono riflessi e intuizioni visive - Si formavano così mappe mentali che nessuno avrebbe mai conosciuto perché inventate e disegnate dalla mia immaginazione, gli artisti del furto si muovevano veloci nei vicoli di memorie liquefatte, sussurravano il tuo nome negli angoli e davanti a porte abbandonate e André era seduto a un tavolino di un bar di tossici&flaneur, a pensare al prossimo festino per cocainomani depravati e travestiti teutonici, i suoi amici in attitudini frocesche e costumi di colorata e bizzarra allegria etilica, mi ero fermato a bere una birra con lui, mentre mi raccontava i suoi sogni e i prossimi progetti musicali con il suo accento francese e i capelli lunghi da bohémien sfatto e gaudente - Ho preso un pullman per Motril e una volta arrivato ho vagato lungo vie in avaria, ho scattato foto e ho avuto un bianco orgasmo nella mattina silenziosa di una stanza segreta e tutto è tornato a brillare, fuori e dentro di me e durante la notte il mio doppio aveva girato per i vicoli vuoti del Barrio Alto e un’ombra si era avvicinata e mi aveva offerto i suoi servizi e poi ero sul piccolo terrazzo di casa a fumarmi un porrito e dopo disteso sul letto, scivolando verso un confortevole e inaspettato oblio, senza voci, pensieri, volti e corpi, senza ossessioni feticistiche a farmelo venire duro - Lungo le strade le persone indossavano mascherine che nascondevano la loro bocca, non era mai troppo tardi per chiudere quella fogna e rimanere senza nulla da dire, finalmente, sospirava lo scrittore e dava un altro sorso dalla bottiglia di rosso, un rioja niente male - i film di Buster Keaton e la quiete delle prime ore della mattina, il momento migliore per mettersi a scrivere, quando Orgiva riemergeva dalla tregua onirica (o dalle battaglie nei campi dell’inconscio) e io ero ancora qui e altrove e in ogni luogo e in nessuna parte, c’era un margine di costante incertezza nel quale mi ero ritrovato a nascondermi, dopo ogni fuga, senza indirizzi, recapiti telefonici, identità prestabilite, la valigetta con le sostanze era dentro un armadio, al sicuro, insieme ai tuoi frustini e alle tue scarpe con il tacco alto, il cazzo mi si gonfiava al solo vederle, te le avrei fatte indossare solo per baciarle e leccarle, poi la tua testa fra le mie gambe, le mie mani che ti afferravano i capelli, con dolcezza e violenza, a dare ritmo ai colpi della tua gola sulla mia cappella, era un atto di resa e amore, quello che svelava e nascondeva la tua pelle, quello che ti farà piangere e godere quando i miei schiaffi cominceranno ad arrivare sul tuo culo fremente, a ricordarci tutto ciò che non abbiamo mai saputo come chiamare, perché nulla di quello che ci è stato insegnato è mai realmente esistito.
martedì 11 agosto 2020
El barranco del medio
Elettricità viola nel cielo a occidente, visioni delle coste d’Africa in sogni alcolici e marittimi, la bottiglia di gin poggiata per terra fra le storie smarrite di acrobati circensi e marinai e trafficanti d’oppio - Sulla linea dell’orizzonte qualcuno scriveva poesie con i resti della propria vita, perché rimanesse l’illusione di un movimento ondulato che solo altri occhi avrebbero potuto osservare per poi dimenticare e città costruite nelle albe di progetti architettonici di un futuro proibito, gli enormi palazzi distesi in verticale sulla spiaggia, i blocchi di vetro e cemento moltiplicati in aritmie distopiche, stanze e finestre e gli sguardi galvanizzati dietro lenti scure dei turisti pornografici, le camice floreali aperte sul petto, catene dorate e crocifissi sanguinanti, uomini nudi impiccati ai pali dell’alta tensione, a penzolare con erezioni capitali, gli imperi che i genocidi avevano innalzato sulle macabre maschere dei dormienti, volti contratti in agonie e orgasmi spasmodici e qualcuno mi aveva dato una chiave e una pasticca di ecstasy e mi aveva indicato una porta e io mi ero girato e allontanato da lui e avevo camminato lungo confortevoli corridoi di morbide moquette marroni, passi silenziosi in un labirinto di manicomi mescalinici, gli sciamani del quarto millennio preparavano la loro antica medicina, nei loro occhi risplendeva la luce di un caleidoscopio di fulmini lontani, sabbia nera, rocce disegnate dal vento, dall’acqua, dalla spuma di un’eiaculazione cosmica - Il faro del porto tremolava e si sdoppiava e le onde respiravano e il loro suono cantava la storia stessa del mondo per farmi addormentare, tempeste nella mente e le prime gocce di pioggia e le nuvole basse che oscuravano i contorni di metropoli abbandonate nei giorni che verranno, libri pieni di polvere, vecchie mappe nascoste nelle bottiglie d’assenzio del secolo scorso, una camera d’albergo in cui uno scrittore si era suicidato, poemi erotici ed etilici che le tue gambe aperte componevano nel calore di una mattina di gioia e violenza, le immagini sbiadite degli amanti abbracciati in composizioni di libido stilizzata, i ricordi che svaniscono e ci lasciano nudi e distesi su letti disfatti dal tempo, foto d’epoca e noi smarriti fra grida, amplessi e sudore.
sabato 8 agosto 2020
Orgiva #10
Questa è la mia Tangeri, pensava lo scrittore, mentre camminava in un’alba di speranze mai nate, non c’era nessuno per i vicoli, né tossici, né spacciatori, solo i loro riflessi su finestre impolverate e portemagiche ancora chiuse e numeri sopra di esse e formule alchemiche che aspettavano di essere scoperte e le prime luci della mattina che accarezzavano superfici mobili e taglienti - Ogni giorno era diverso e uguale a sé stesso, la poliziapsichica cercava gli uomini arabi, per arrestarli e portarli in qualche luogo in cui avrebbero dimenticato chi erano e chi avrebbero dovuto essere, le mani sul calcio della pistola come se sparare e uccidere fosse mai servito a qualcosa - Grafie illeggibili sui muri perché gli psicoagenti non scoprano i nostri segreti, reti di traffici illeciti, laboratori nascosti in cui distillare nuove bevande allucinogene, il succo di San Pedro fermentato e distribuito in bottiglie senza etichetta, strade secondarie, sentieri nelle montagne - La festa in piscina da Clarabelle, tutti ubriachi, gli strani personaggi, i bizzarri volti, i travestitismi, tutti nudi nell’acqua, le strisce invisibili di coca, i vestiti floreali, la musica che esplodeva dalle enormi casse che Vittorio aveva portato, punk, reggae, techno, ero costantemente con un drink in mano, poi non c’era più nessuno intorno e io galleggiavo disteso su un materassino rosa, il cazzo duro stagliato contro il sole - Poi discorsi notturni su una terrazza che non avrebbero portato da nessuna parte, figli abbandonati nei giardini del mondo, padri assenti, scomparsi, perduti, in questa giostra di illusioni sarà ancora la tua mano a svegliarmi dai sogni senza fare rumore.
mercoledì 5 agosto 2020
Orgiva #9
I colpi di una campana (e quelli di una frusta, che ancora stavo aspettando) nelle mattine di quiete e bianchi orgasmi nella mente, i volti delle case che prendevano forma, lucidi e brillanti, dai resti avvolgenti di notti calde e sinuose - Un appartamento in cui cercavo Maria senza trovarla, in un sogno, la sua stanza chiusa e un tentativo di chiamarla al telefono, alle quattro di mattina, un’antica sensazione di preoccupazione e ansia nello stomaco, di cosa potrebbe succedere a una persona amata quando è lontana da te, diventando un tuo doppio, una copia pulsante del tuo stesso cuore - Tutti i momenti in cui sono stati gli addii a dirci cosa fare, cosa dimenticare - Tutti gli anni trascorsi in abitudini in cui non esisteva più nessuna scelta, se non quella di lasciarsi andare una volta per sempre, fino a quando ogni viso familiare fosse sparito e con esso i ricordi e la dolcezza di un tuo sorriso e anche il peso imponderabile di ogni lacrima trattenuta, in modo che non fosse più il dolore a tenerci uniti ma solo il suo impronunciabile nome, l’eco del suo passaggio nelle vene, nel sangue, nei battiti del tempo che ogni ferita necessita per trasformarsi in una cicatrice di perduta bellezza - Le mie passeggiate solitarie, i personaggi che comparivano e si dissolvevano nello sguardo dello scrittore, proiezioni psichiche, mesmerizzazioni erotiche, quando i coglioni pulsavano e con essi le danze di gambe e piedi nudi, dorati, appartenenti ad esseri che non sapevo nemmeno come chiamare - Non avevo più interesse nell’amore, nel sesso, nei contatti fisici, negli sguardi, nei piccoli giochi di seduzione, era una commedia amara la storia dell’uomo accompagnata dalle dolci forme sempre in movimento delle donne, attimi sconosciuti in cui si univano corpi e destini e poi frammentazioni cosmiche e nuovi scenari galattici e tutto che finiva per ripetersi, decennio dopo decennio, senza che se ne capisse più il senso o la ragione - Un piccolo terrazzo da cui osservare il giorno diventare notte, non molto da fare se non rimanere in disparte, a osservare, a scrivere, a prendere appunti, a guardare i profili delle montagne oscillare nei colori del mondo alla sera, all’alba, ad essi appartiene la mia immaginazione, con loro finirò per fuggire di nuovo, in quel luogo dove il silenzio diventa voce e le parole suoni di luce.
lunedì 3 agosto 2020
Orgiva #8
Le luci e le ombre, gli angoli delle case, le facciate che risplendevano nel mezzogiorno, le proiezioni geometriche, le fotografie in bianco e nero, i tavolini dei bar, dove sedersi, ordinare birra e scrivere, i vicoli vuoti, dove l’immaginazione apriva porte senza bussare e popolava i vecchi quartieri con i fantasmi di tossici, spacciatori e puttane - gli incontri clandestini, le notti che ancora non avevo vissuto, le camere segrete che ancora non avevo scoperto - il vecchio Lee immobile davanti ad una parete di crepuscoli solitari, a battere le dita sui tasti di una macchina da scrivere invisibile e il vecchio Jack su una terrazza ondeggiante fra le stelle, a bere vino rosso e comporre haiku di stralunata bellezza - e i giorni che arriveranno senza fare rumore, senza dirti come riempirli - tutte le stanze in cui non sono mai nato, tutte quelle da cui per un atto d’amore non sono più uscito.
lunedì 27 luglio 2020
Orgiva #7
Rallentamenti temporali, durante il giorno, con le calde ore che si imprimevano nel bianco delle facciate delle case, ridisegnando le direzioni visive da seguire, in fotogrammi e istantanee, percorsi quotidiani che il fotografo ripeteva in diversi momenti di luce e ombra e gli strani personaggi che lo scrittore inventava, facendoli apparire e svanire, seduti sui gradini, gli occhi che invocavano un aiuto che non sarebbe mai arrivato, ci avrebbero pensato le sostanze a creare i loro tragitti, i bisogni a denudare l’anima, fino a quando solo l’essenziale fosse rimasto, dosi e iniezioni e poi la sera me ne andavo a bere al Viejo Molino e Pepe mi portava una cerveza e alcune volte i doppi dei personaggi diventavano reali e si sedevano accanto a me, raccontandomi le loro storie mentre rimanevo ad ascoltarle in silenzio - distrazioni erotiche ogni volta che le cosce di una donna si accavallavano, i piedi nudi sospesi nel vuoto di inibizioni e astinenze, erezioni permanenti, voci che sussurravano piaceri proibiti dalle porte socchiuse, quando camminavo di notte, fra i vicoli e c’erano figure dagli sguardi misteriosi che mi catturavano e sentivo il loro odore e ne seguivo la scia, dentro i corridoi, nelle stanze segrete, il rumore dei tacchi su un pavimento, una eco di tangibili pratiche rituali, movenze femminili, il bagliore della luna nell’azzurro costante del cielo, il segno di un antico linguaggio per sacerdotesse elettriche - le passeggiate fino al Barrio Alto, gli incontri con chi conosceva bene cosa darmi, le proiezioni della mente su una parete di amniotica quiete, lei seduta a gambe aperte, mentre si accarezza le mutandine con la punta di un vibratore in funzione, premonizioni astrali in assenza di orgasmi - i liquori sistemati in un armadio di legno, un barattolo pieno di olio di canapa, il vino custodito in un baule di zingari fuggiti chissà dove, le vecchie riviste che parlano di ferrovie e poeti morti e alte montagne e viaggi su rotaie che attraversavano paesaggi naturali in movimento di colori e stagioni sconosciute, gli scompartimenti di legno, i libri da leggere, un diario su cui appuntare le proprie emozioni - la temperatura oscillava nel corpo, statiche posizioni orizzontali, pellicole degli anni cinquanta da archivi di cineteche smembrate, gli artisti in piazza, a saltare e far capriole, donne con bambini urlanti intorno, chiudi le tue labbra sul mio cazzo e succhialo lentamente, mani legate dietro la schiena in un atto di resa e perdizione - qualcuno leggeva ad alta voce il tuo nome, senza che nessuno osasse dire nulla, Angelica era morta, le sue pagine lasciate a marcire in una stanza buia, l’odore della datura che qualche bruja aveva bruciato in cerimonie di oltraggio al pudore e alla decenza, una donna perduta e mai più tornata indietro, la bocca senza denti, le lunghe unghie incrostate di sporco, entrava silenziosa nel patio del Viejo Molino, fantasma errante di sé stessa, Paul le aveva dato un pò di hashish, un giorno, mentre stavamo parlando di cinema e lui sorrideva in quegli attimi che precedono ogni singola caduta e poi me ne ero andato e avevo vagato e c’era stato un momento in cui non avevo più saputo chi fossi, una leggera brezza che sospirava senza domande, senza risposte, fra le flebili aspettative che anche le stelle finiranno per oscurare.
domenica 19 luglio 2020
Cigarrones #13
Ombre e luci. Striature. Tigri e Zebre. Graffi visivi. Seduti ad un tavolino nel patio immobile di un cortijo ridente, Nick e Stephen provavano le loro rispettive parti, alternando improvvisazioni a dialoghi presi dal copione che lo scrittore teneva fra le mani, i tempi erano quelli giusti, le pause, le voci, i ronzanti monologhi interiori di Stephen, flussi di coscienza lisergici e rallentati dall’olio di hashish che stava fumando, lo scrittore ne aveva avuto giusto un assaggio durante la mattina e sentiva il suo effetto espandersi e trasformare la realtà in un cuscino malleabile e surrealista di percezioni morbide e ondeggianti - Capitano! Mi addormenterei su questi dolci mari di sogni d’arabeschi e minareti perduti, in attesa delle danze e delle pietre preziosi, delle stoffe, dei piedi nudi di qualche donna coperta di veli e segreti - e qualcuno continuava a portare birre e bicchieri di sol y sombra con hielo e poi le riprese da dentro il furgone di Nick, i passaggi visivi - il buio frammentato - le linee di bianco vibrante - i paesaggi in movimento del deserto e dei suoi ricordi di guerre civili mai combattute - c’era Sam Peckinpah in qualche casa diroccata a sbronzasi con Sergio Leone mentre Quentin Tarantino preparava cocktail a base di agave e succo di San Pedro, giusto per proiettare in Technicolor il film di questi scenari selvaggi e atavici e ancora il documentario sul Dragon Festival che qualcuno avrebbe dovuto portare a termine, con interviste e soprattutto con la pazienza di sedersi nell’oscurità di una camera silenziosa e iniziare a montare le sequenze girate le settimane precedenti in stati di alterazione psichica progressiva - ci penseranno le divinità del suono e della visione a darti questo spazio e a lasciarti libero di vivere nel flusso della creatività per qualche mese, la Natura sarà sempre pronta ad aspettarti con le sue canzoni di quiete e malinconia dorata e potrai scrivere e riposarti e bere birra ghiacciata o cuba libre sul terrazzo affacciato sulla piazza della Commedia Umana, afferra i sogni di questa estate che sta trasformandosi in vento e polvere e musica, scendi dal palco e siediti sulla nuda terra, ascolta la voce del mondo, quella che parla direttamente al tuo cuore e a tutto quello che in esso si cela.
venerdì 17 luglio 2020
Cigarrones #12
Il vento spazzava via i pensieri o li faceva turbinare in amplessi aerostatici, le nuvole scivolavano sulle cime delle montagne come enormi e lenti e striscianti lumache - profili medievali di animali alchemici - macchine in ogni direzione, le prove del gruppo rock psichedelico di Alfie nel truck di Tim, attrezzato per improvvisazioni lisergiche ed esibizioni di creatività sonore spontanee, Maeve preparava i suoi costumi di scena, copricapi con tubi che oscillavano nel vuoto della notte, antenne cilindriche capaci di trasmettere e ricevere messaggi e codici di divinità aliene e dimenticate - la tenda volteggiava nel buio in una folle danza di spazi flessibili e pieghevoli - avevo iniziato a stancarmi di tutta questa instabilità percettiva, mi ero alzato e mi ero andato a stendere sul divano viola nell’area in cui una volta alla settimana allestivamo il nostro mercatino di allucinazioni e sogni infranti, le lamiere battevano le mani, applaudivano oscene all’arrivo della mia figura onirica, le cosce nude di Emma che me lo facevano venire duro, quando le accavallava o si piegava in avanti e le vedevo il culo e le mutandine nere infilate nel mezzo, occhi azzurri invitanti, erezioni sotto gli alberi, lungo il fiume, fra le rocce - le passeggiate fino a Orgiva, gli incontri con i bizzarri personaggi che si muovevano fra le sue vie, le mattinate passate a scrivere o a lavorare sulle mie fotografie all’interno del patio del Viejo Molino, le birre con Paul, il vino alla sera con Lolo e Alfie e chi capitava fra noi, le lucenti risate alcoliche, i giorni che svanivano nel tempo, racconti perduti fra le dita, i misteri di ogni direzione smarrita, il diario di un vagabondo, le memorie di un lunatico, i libri di fantasie proibite e lussuose astrazioni, un cinema abbandonato, un film da realizzare nella propria mente, gocce sotto la lingua di sostanze sperimentali a base di psilocibina, il silenzio a correggere ogni parola infranta e dolente, spoglie verità su letti di significati assenti e fuggiti nell’oscurità di anime inquiete, di corpi mai esistiti e solamente indossati.
giovedì 16 luglio 2020
Cigarrones #11
La quiete dei pomeriggi dopopranzo in campeggio, insieme ai miei genitori, le mani sul viso di mio padre, in una piscina, quando mi insegnava a stare a galla, le dita di Zebedy sul mio volto in un identico momento e tutti gli anni andati, i profumi, i colori e le sensazioni, tutto quello che dobbiamo imparare a lasciar passare, perché nulla di questa vita ci appartiene e più ci aggrappiamo ad essa e più forte sarà il dolore per ogni separazione.
Lorenzo dormiva sulle sponde del fiume e accudiva vecchi cani malati e c’era una purezza celeste nei suoi occhi o forse era solo il trucco di un magnifico ingannatore e continuavo a ricercare la solitudine, le voci della natura, tessuti sonori invisibili fatti di cinguettii, fruscii, gorgoglii, crepitii - meditavo in stati di meraviglia trascendentale, vagavo, mi riposavo, era bello farlo in questa valle e non trovarmi fra palazzi e asfalto, anche se qualcosa di quella vita stava chiamandomi di nuovo, forse avrei solo dovuto oscillare fra scenari bucolici e altri bukowskiani, quinte campestri e poi architettoniche, poesie di vuoto e luce, tangibili o mentali, con le vecchie strutture di pensiero che sembravano così difficili da distruggere, assumevo microdosi di LSD per corrodere le sbarre psichiche che ancora mi imprigionavano in abitudini che non erano mai state le mie, anche se a esse avevo creduto e gli avevo dato peso e sostanza fino a renderle reali, attraverso comportamenti e azioni e la loro costante ripetizione.
Sasha arriva con la sua bicicletta, si ferma a parlarmi, non so quanto di questi dialoghi verrà trascritto o ricordato, sono le parti mancanti a rendere credibile ogni romanzo, suggeriva lo scrittore, quelle in cui è l’immaginazione del lettore a completare il lavoro di chi si è messo a battere le dita sui tasti - direzioni impreviste, quelle in cui sono i tuoi piedi ad andare avanti e dove il cuore impara a danzare seguendone il misterioso movimento.
domenica 12 luglio 2020
Cigarrones #10
Vagare nel deserto, riposarsi nelle oasi inventate dagli occhi, miraggi, cammini secolari fra le pietre, le promesse dorate delle dune - i tossici inglesi nascosti in camion arrugginiti, i resti proibiti di festival andati distrutti fra deviazioni lisergiche e bombardamenti militari - pianteremo degli alberi per dimostrare che l’anarchia è morta, sentenziavano gli uomini senzasorriso, i semi della rivolta li nasconderemo nelle istituzioni gitane, pensavano i sovversivi nei loro vestiti rosa, poi macchine rubate e abbandonate, furti esistenziali, di stile, scrittori come vagabondi tra le pagine della cultura beat - ogni cosa si mischiava, si illuminava, perdeva i suoi confini tattili, le linee dei disegni si facevano più confuse, come quelle dei corpi e poi le fotografie scattate in bianco e nero, la profondità improvvisa di una sessualità animalesca, le giovani ragazze non possedevano nulla al loro interno se non il riflesso dello splendore delle loro apparenze - ero stanco di discussioni, di dipendenze, della ruota, della scimmia che saliva sulla schiena e ti diceva cosa fare - i pezzi di un documentario incompiuto giacevano confusi sul pavimento della sala montaggio cerebrale, mascherine sul volto, banditi&briganti, alcuni di loro sepolti nella valle, i depositi delle armi, le bombe, i fucili in spalla, iniziava a fare caldo e l’atteggiamento imperialista dei figli di puttana britannici aveva cominciato a scassarmi il cazzo - luoghi di quiete per scrivere, per osservare il silenzio, per sedersi e respirare senza troppe voci intorno - progettavo la prossima fuga, senza paura, senza preoccupazioni, i giorni che si susseguivano avevano un peso di ore che evaporava fra sogni e ricordi e una bellezza il cui riverbero mi accarezzava il cuore - pochi orgasmi, nessun contatto sessuale, le fantasie danzavano ancora oltre le mie stesse distrutte abitudini - salutavo l’alba, mi sbronzavo se l’estasi dionisiaca lo voleva, guardavo oltre le montagne, i profili di un mondo di cui avevo dimenticato l’esistenza, le moschee del passato, i fulgidi minareti di una fede perduta.
lunedì 6 luglio 2020
La resa (2008)
Lo sai che bisogna riuscire ad ammetterla.
La resa, una parola giusta per l’occasione.
Un’immagine. Un corpo orizzontale.
Uno scenario. Una discarica, un corteo di topi.
La musica.
Un pianosequenza. Niente tagli. Avvicinarsi lentamente a quel corpo.
La calda voce di Elvis. Una canzone. I can’t help falling in love with you.
La resa.
La mandria di uomini oltre il recinto, a testa bassa per le strade, con il sudore che impregna l’aria di un tanfo nauseabondo.
I loro occhi bianchi, i vestiti firmati, le teste ciondolanti.
E’ troppo anche per me, rimanere seduto in questa stanza, senza riuscire ad esprimermi.
Le giornate di sole, il mare e la musica. La sabbia dorata, il riflesso delle onde e una pistola in una tasca. I vestiti degli anni venti, le donne erano bellissime e la notte mettevano scarpe con i tacchi alti. Le vedevo danzare all’interno di caffè pieni di fumo, sulle note del tango argentino, fra bicchieri di anice e assenzio. La notte era magica, come le tue gambe e i tuoi capelli, i tuoi piedi volteggiavano su un pavimento di disegni azzurri, seduto in un angolo ti guardavo ballare, mentre una fiamma bruciava una zolletta di zucchero su un cucchiaino d’argento. Si fumavano sigari cubani e sigarette dai nomi orientali.
Più tardi si usciva dai locali, si saliva su vecchie automobili e si andava verso il mare. La sabbia era fredda, l’aria aveva un buon profumo. Sentivi il sudore che si asciugava sulla pelle, tu avevi lo stesso odore della notte e le tue labbra erano giochi che non riuscivo a smettere di fare.
Poi le dita che risalivano fra le gambe.
La resa, una parola giusta per l’occasione.
E le ombre che ci abbandonano e le stelle e il loro ardere e lenzuola fresche e una stanza con un balcone da dove vedere la luna.
Un’immagine. Due figure orizzontali.
Uno scenario. Le dune e l’argento.
La musica. Miles Davis.
Il montaggio. Una serie di stacchi, i particolari del corpo.
La resa.
Di nuovo ad un tavolo a bere chardonnay ghiacciato. Occhiali da sole e cappello di panama. Qualcuno in un bagno con una siringa e una fiala di morfina. Torni da me con i tuoi occhi a spillo. Magra e impenetrabile. Mi soffi da vicino il tuo amore. Da dietro le lenti oscurate ti guardo. Finisco lo chardonnay ed esco dalla stanza.
Il tempo passato è una serie di sogni in bianco e nero. E dolci labbra senza più calore.
Poi uno spazio asettico e nessun abbraccio. Una voce mi assicura che non soffrirai. Non posso dire nulla, una sigaretta incollata al labbro. Guardarti da dietro quella porta è una dolore che non so fare mio. Guardarti come uno scheletro, con i tuoi piccoli scatti d’ira, i tuoi occhi lontani. La voce mi rassicura e dice che devo andare e dice che non ci sarà sofferenza. Come posso credere a queste bugie, quando la sofferenza è tutto quello che adesso conosco.
I brividi nella pelle.
Un ago che vorrebbe accarezzarla.
Un amore che non troverò più da nessuna altra parte.
Ti guardo per l’ultima volta e sento un vortice nello stomaco che risucchia tutto. Mi giro e gli occhi sono vuoti e lucidi. Entrando in macchina non so bene dove andare.
La musica è finita.
Le danze e la luna.
Le labbra e l’argento.
Tutto scivola e muore.
Questo il senso ultimo del nostro essere.
La resa.
ZetaElle #28
Tornato in città Zito Luvumbo si era ritrovato pieno di cose da fare e organizzare. Simulazioni di guerriglia urbane per le strade dei qua...
-
I dolori iniziano lunedì mattina, al lavoro. Durante la lezione mi tocco il lato destro della bocca e sento crescere una...
-
Ce l’hai una sigaretta? - chiede il tossico. Non fumo, mi dispiace – rispondo. Allora che me la vai a cercare? No, non ho quest...
-
Per capire il significato di quella perdita dovresti passare almeno cinque o sei anni con una stessa persona e vederla tutti i giorn...