sabato 28 aprile 2012

Senza titolo


Amsterdam. Non come era. Ma come la vedevo nei sogni. Una città onirica. E mi ero ritrovato fra i suoi vicoli, l’altra notte ed ero entrato dentro un coffe-shop ed avevo comprato un’erba che sembrava un’alga e l’avevo fumata ed era bello l’effetto, perché mentale e lucido senza quella pesantezza del corpo che ogni tanto l’erba ti procura, ed era bello, allo stesso modo, nel mondo reale, tornare a casa, in un giorno di primavera, caldo e luminoso, come oggi, quando le giornate sono ancora lunghe e l’attesa della notte mi ricorda un’antica magia, tornare a casa un po’ sbronzo, con l’alcool della birra in circolo e non dico una birretta del cazzo ma una birra seria da dieci gradi, bevuta sugli scalini della fontana di santamaria in trastevere, in una dorata solitudine, bere ed ascoltare un triste suonatore di basso eseguire i suoi ritmi sud americani accompagnato da una chitarra alla django reinhardt e da una fisarmonica gitana, non che fosse triste la musica ma il volto del bassista calvo con la testa lucida non mi dava esattamente l’idea della felicità e le persone, davanti a me, si muovevano, parlavano, scherzavano, accennavano passi di danza, venivano e scomparivano e la meraviglia era che non me ne fregava un cazzo di loro perché ero perfetto nella mia solitudine, perfetto e unico e mentre tornavo a casa i pensieri scorrevano via senza residui, senza formare grumi mentali nocivi, tutto passava e le parole le vedevo formarsi sul foglio bianco della mia mente, le vedevo nell’aria, le assaporavo, erano già pronte per essere scritte e pensavo che le cuffiette del mio ipod erano un’invenzione straordinaria perché mi permettevano di sentire la musica, mentre ero mezzo sbronzo e contento e non tutte quelle stronzissime parole che la gente pronunciava. 
Sono un uomo semplice, diceva il nigeriano, bevo e sono felice, non potevo dargli torto, ma quella era una stupida felicità passeggera, la luce che avevo dentro era una gioia diversa, era la cosa più preziosa che possedessi e continuava ad ardere ed era l’amore, era ogni sguardo nel quale potevo rispecchiarmi, negli occhi delle donne vedevo in maniera così chiara quella bellezza senza argini, la mia bellezza, tutto quello che anni di buio non erano riusciti ad oscurare, tutto quello che era reale, tutta la meraviglia che avevo dentro. Splendente. Riflessa in uno sguardo.
Riflessa in un paio di occhi che mi guardavano.
La notte, dolce e sensuale, stava arrivando.

giovedì 26 aprile 2012

cut up #2 (a simple kind of life)


I’m not happy… If I don’t drink… I’m not happy… I’m tired… My blood is different… When I drink... I don’t think… If I drink much I start to fight… Fight for nothing… I’m a simple man… My life is simple… I’m happy when I drink…

place: xxxxx xxxxx
speaker: un nigeriano

martedì 24 aprile 2012

industrial #5

L’acqua della pioggia veniva raccolta in alcune cisterne ancora funzionanti, la più grande, in alto, che a volte sembrava chiamarmi, rimaneva ancora irraggiungibile. Con delle taniche di plastica portavo l’acqua nella stanza del divano e del materasso di cartone, quando faceva freddo ne riscaldavo un po’ sulla stufa, dentro un contenitore di metallo. Il sapore dell’acqua era strano, leggermente dolce e alcune volte, se ne bevevo troppa, potevo vedere le cose liquefarsi, perdere la loro solidità, per alcuni minuti sembrava di muoversi in un mondo acquatico, i contorni delle cose diventavano informi, suscettibili a regole che non erano quelle della fisica normale. 
Mi ero lavato e mi ero messo dei vestiti puliti, avevo bevuto una tazza di tè, ce ne era una grande scorta nel magazzino dei viveri ed ero entrato dentro di me, respirando lentamente, cercando di ricordare, di fare una mappa mentale dei mondi che avevo visitato, delle varie entrate e soprattutto delle uscite. 
Camminai per i sentieri e guardai gli edifici sventrati, avevano una loro bellezza, un loro fascino. Ricordavano la futilità della nostra esistenza, di come ogni cosa costruita dall’uomo fosse destinata a crollare e disfarsi, la natura riprendeva di nuovo il sopravvento, le radici degli alberi spaccavano il cemento, le piante rampicanti assalivano i fianchi degli edifici e li conquistavano poco a poco, il cielo cambiava colore, ora dopo ora, salii al quinto piano di un edificio, facendo molta attenzione, a piccoli passi, con la paura che il pavimento potesse crollare da un momento all’altro. Guardai oltre i resti della Fabbrica e intorno non c’era nulla, distese di cenere bianca e un vento freddo. Almeno in questo mondo. Mi chiesi se ero in un sogno o in uno di quei mondi paralleli. Per un momento ebbi la tentazione di provare l’esperienza del volo. Sentii una voce chiamarmi e dalle distese di cenere si eressero colline, la terra divenne ondulata, le colline si mossero come enormi onde. Feci un respiro e mi lanciai nel vuoto, precipitai e attraversai il mare di cenere. Riaprii gli occhi ed ero di nuovo al quinto piano dell’edificio, ora le colline avevano un colore rossastro, scuro, sanguigno, si muovevano ancora. Ridiscesi le scale, con la solita attenzione. 
Andai nella sala elettrica e mi spogliai completamente nudo, tenendo solo le scarpe. Presi una pillola rossa e dopo alcuni minuti alcuni dei cavi elettrici iniziarono a muoversi, quelli ancora coperti di materiale isolante si strinsero intorno alle mie caviglie e ai mei polsi, quelli con i fili visibili girarono più volte intorno al mio cazzo. Altri fili scendevano dall’alto e iniziai a sentire piccole scosse sui capezzoli e sulla schiena, sul petto. Poi intorno al cazzo. L’intensità aumentava e diminuiva. Un misto di piacere e dolore. Il mio corpo era verde. Non potevo liberarmi e una voce suadente cantava nella mia mente. Le scariche continuarono. Intermittenti, rituali, avvolgenti. Venni in filamenti verdi. Come alghe marine fluttuanti nell’acqua. Lo sperma rimase nell’aria, formando figure in movimento. Sembravano i disegni delle macchine. La comprensione avvenne in maniera intuitiva, non razionale. Venni una seconda volta. Poi i fili e i cavi si sciolsero e il mio corpo fu di nuovo libero, mi rivestii e uscii dalla sala elettrica. 

Mi sedetti su una parte di muro crollato, vicino ad uno degli edifici sventrati. L’aria aveva il profumo del mare. 

domenica 22 aprile 2012

...

Lungi dal desiderare che quella ragazza lo aiutasse a fuggire dall'isola, se ne stava servendo per una ragione mai accettata prima, cioè la necessità di liberarsi del proprio passato, della propria infanzia, di sua moglie e dei suoi amici, con tutti i loro sentimenti e le loro pretese, per poi vagare all'infinito nella vuota città della sua mente.

j.g. ballard
l'isola di cemento

venerdì 20 aprile 2012

senza titolo


una leggera ebbrezza


l'odore delle mimose


l'ultima proiezione


il film dei ricordi


chiudere gli occhi


le palpebre pesanti


il silenzio di luce


il riflesso nel vetro


attendi l'amore


come la gemma di un albero


la primavera

venerdì 13 aprile 2012

Ricciolidoro



Ricciolidoro parla ai due compari davanti a tre boccali di birra, rispettivamente una weiss, una stout e una pilsner. Ricciolidoro parla di una ragazza e dice che le ha dato un passaggio in macchina e sai com’è quando stai con una ragazza in macchina è più facile parlarci e stare così un po’ da soli e ti conosci meglio e poi dice a uno dei compari che una sera la ragazza in questione stava ubriaca e non si sa come è finito che lei gli ha fatto un ciuccio, davvero esclamano i due compari, non ci credo dice uno, mentre dà un sorso alla stout, sicuro dice Ricciolidoro che invece sorseggia la sua weiss, c’ho pure il video sul cellullare, ma che stai a dì, esclama il tipo della pilsner non ci credo manco se lo vedo, Ricciolidoro tira fuori il cellulare e sembra cercare un video, poi sorridendo ammette, il video non ce l’ho, però il ciuccio me l’ha fatto, poi la mattina dopo s’è messa a piangere, quando s’è ricordata di quello che aveva fatto, rimane un po’ in silenzio Ricciolidoro e guarda i due compari. Anche loro stanno in silenzio, poi finiscono le loro birre e pagano quella di Ricciolidoro che è ancora a metà, allora questa me la pagate voi, dice, gli altri annuiscono ed escono lasciandolo da solo, me sembrava pure grande, dice al tipo dietro al bancone e invece è una piccola, se vede che già sto ubriaco, monologa con se stesso Ricciolidoro, visto che il tipo dietro al bancone è andato a caricare un paio di fusti. Poi prende il cellulare e controlla qualcosa. Sorride.

Bevo tranquillamente la mia viola sofia, una smoked imperial stout da 10.3 gradi e leggo qualche notizia su uno dei giornaletti che si trovano nel pub. La parola ciuccio continua a girarmi per la testa e cerco di ricordarmi quale delle persone che in un’altra vita conoscevo la ripetesse spesso, Ricciolidoro sembra il personaggio di un libro di Welsh, Gas Terry per l’esattezza, che aveva lo stesso tipo di capelli e anche la stessa dialettica.

Do un’altra sorsata alla birra e leggo di una mostra di un artista giapponese che fa copulare le sue modelle con animali del mondo marino, si parla di una foto di una modella con un’anguilla che le esce dal culo.

Ricciolidoro lascia il pub, tiro un respiro di sollievo, mi ricordo il nome di quella persona che conoscevo in un’altra vita, mangio una nocciolina, qualcuno ordina una pisscat, le cose seguono ordini caotici e improbabili, chiudo il giornale e attendo.

sabato 7 aprile 2012

Sotto la cenere



Non poteva più dirsi che il tempo non fosse passato, che le cose non fossero cambiate. Nella sua memoria le vetrine del quartiere a luci rosse di Amsterdam conservavano impossibili prospettive, l’eco della voce di una donna, che aveva visto allargarsi nell’aria in piccole onde concentriche e quell’eco si era espansa ed era diventata un’immagine mentale, come quella di alcuni ragazzi in una vallata, dove lo sguardo poteva muoversi in ogni direzione e gli effetti della psilocibina che aumentavano le percezioni, le macchie di colore viola arancione rosso che danzavano negli spazi vuoti della realtà ed erano come il movimento di una musica classica, di una dolcezza crepuscolare e piena. Avresti voluto essere una di quelle macchie di colore e allargarti e restringerti e poi più nulla, lo stesso respiro degli alberi, lo stesso scorrere di un fiume, lo stesso odore della terra.

La lontananza e il distacco e le persone che vivevano ancora nella città, che si affollavano il venerdì sera dentro un locale o al di fuori, con le loro birre, i cocktail, le chiacchiere idiote, gli schemi di conoscenza da ripetere a memoria e applicare alla prossima persona alla quale ti saresti avvicinato e le sigarette, centinaia di sigarette, che era quasi impossibile trovare qualcuno che non fumasse o bevesse e pensavi ai paesi del deserto e a un rapido cambio di prospettiva e di significato e alle piantagioni di marijuana dell’Afghanistan, del Marocco e quando camminavi per la tua città c’era una bottiglia di vino o di liquore in qualsiasi negozio, la nostra società trovava la sua sostanza dovunque, era in vendita in ogni strada, era il paradiso di qualsiasi persona avesse trovato nell’alcol la sua cura, il suo spirito guida, il suo demone, la sua condanna.

Lo spirito di Dioniso era fatto di urla e danze e musica ed esaltazione sessuale. I satiri correvano dietro le donne, che scappavano e ridevano e le loro voci erano musica e oro e i capelli che volavano nel vento e adesso sembra che i pagani scolino le loro bottiglie solo per un semplice e stupido contatto fisico, senza gloria e magia e domani saranno i postumi e un letto vuoto o forse qualcuno al tuo fianco di cui non conoscerai neanche il nome. Di cui non saprai il colore degli occhi. Di cui non ricorderai l’odore degli abbracci dell’estate.

-       Ti è piaciuto?
-       Cosa?
-       Quello che abbiamo fatto stanotte.
-       Perché? Cosa abbiamo fatto?

Andava a bere qualcosa verso l’ora di pranzo, un bicchiere di tè alla menta, qualcuno gli offriva una canna di hashish, faceva qualche tiro, il sole era già caldo e lui non ricordava cosa fosse successo, come fosse arrivato in quella città, lo chiamavano … e quel nome gli piaceva, aveva un bel suono e poi c’era il mare e la stanza che gli avevano trovato alcune persone in una casa proprio sulla spiaggia e c’erano i tramonti e la musica che i pescatori suonavano con strumenti artigianali nelle piccole ore che separavano il giorno dalla notte e in quei momenti si sentiva felice, si sentiva felice quando era in silenzio e vuoto e le cose passavano, venivano, andavano e lui era lì, in  silenzio, seduto e le notti cariche di stelle, la pelle scura di una ragazza che gli raccontava i suoi amori, gli occhi chiari di una  fanciulla dai capelli biondi che lo veniva a trovare nei sogni, le bambine che danzavano seminude davanti ai fuochi dei pescatori, le loro madri che parlavano e a volte lo indicavano sorridendo, non capiva nulla della loro lingua ma anche lui sorrideva a quelle donne, che poi gli portavano cibo e vestiti e a volte pulivano la sua stanza.

E c’era stata Amsterdam, un periodo, un tempo remoto, le droghe erano state un rifugio e una scoperta. Le ragnatele della mente e i bisogni di un insetto. Pensare come un ragno. Fili d’argento esplosi in una stanza.

Il fuoco crepitava. La sabbia sotto i piedi.

Possano i tuoi occhi amarmi ancora.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...