sabato 25 febbraio 2012

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In città, ti costruisci un linguaggio pieno di circospezione e di tatto, di mille piccole implicazioni, di sfumature che hanno il baluginio del bronzo lucidato. Poi vai nel deserto e dimentichi tutto, ricadi in un balbettio confuso, mangi cappelle di fungo che implodono nel cervello, che ti danno una coscienza e un timore soprannaturali, trasformandoti in un uccello azteco.

don de lillo
underworld



giovedì 23 febbraio 2012

Abuja


Bevevamo liquori scadenti dentro la stanza di un centro di accoglienza, perché soldi non ce ne erano, come non c’era niente da fare durante il giorno, nell’attesa che qualcuno venisse e ci dicesse se potevamo restare o no, se i nostri documenti erano pronti o no. E passavamo le giornate stesi sul letto, la finestra aperta, il caldo afoso che stampava il corpo sulle lenzuola. Giornate passate con una bottiglia che girava tra le nostre mani, i ricordi di una terra lontana, le nostre madri, donne, mogli, amanti, figlie camminavano sul suolo di città e paesi che forse non avremmo mai più rivisto.

Il cazzo duro nelle mutande e nessuna donna da accarezzare. Il cibo scadente, l’alcol nello stomaco. La mattina, gli occhi acquosi nello specchio mentre ti fissavano, quasi a dirti, che cazzo combini?

Dovevamo imparare la loro lingua, ma per chiedere cosa? Nessuna delle nostre richieste sarebbe stata soddisfatta, tanto valeva sentire il dolce suono delle nostre parole e i profumi e gli odori che da esse si sprigionavano. Il cielo e il sole e la terra arsa e le notti illuminate dai fuochi degli accampamenti.

Ancora la bottiglia in mano. Qualcuno nella stanza aveva messo del reggae, pulsazioni nel basso ventre, respiri lenti, tra le ombre, mentre le tende si muovevano come vele di navi nella brezza della sera.

Mi affaccio alla finestra e accendo una canna d’erba. Gli altri si erano dati da fare e dopo tre mesi avevano già messo su un giro niente male.

Il dolce corpo sudato di una donna amata stesa sulla spiaggia. Fumare alle dieci di mattina sotto i raggi già caldi del sole.

Lei portava vestiti fatti con stoffe lunghe e colorate, le mani e i piedi dipinti. Gli occhi profondi e scuri. 

La musica e le danze. Rimanevo a guardarla muoversi, le oscillazioni del bacino, i movimenti delle dita.

Qualcuno bussò alla porta. Una nuova bottiglia iniziò a girare. Qualcuno rise, qualcuno rimase in silenzio.

Diedi un sorso e attesi.

sabato 18 febbraio 2012

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Quante volte - mi chiedo - quante volte ho seguito una fica per strada. come un cane che annusa una cagna. Senza una probabilità su mille che quella ti dia retta. Il culo che cammina avanti a me oscilla come un pendolo, segnando i secondi della mia disperazione. Ecco un'altra fica che non chiaverò mai. Milioni di altri coglioni sbaveranno desolati come me in questo momento... e quel pendolo continua a oscillare... e la morte si avvicina ad ogni istante.

henry miller
opus pistorium

giovedì 16 febbraio 2012

industrial #2


In lontananza, l’alba si mostrava ai limiti degli edifici industriali. Salivano verso il cielo pallido e rosa colonne bianche di fumo e lampeggiavano le luci rossastre dei cavi dell’alta tensione. Ragnatele elettriche tracciavano nello spazio le loro geometrie, gli esseri umani erano assenti, regnava il respiro di un mondo silenzioso e autonomo, meccanico e freddo. Il fumo bianco si disperdeva tra gli ultimi resti della notte. 
Guardavo la cisterna dell’acqua da sotto, tra detriti e mattoni, cavi lacerati, assi di legno spaccate, pensavo ad un modo per salire e a volte, durante i percorsi notturni, sotto l’effetto della pillola rossa, sembrava che dei bagliori uscissero da una botola sul fondo della cisterna, era impossibile arrivarci, dovevo provare nel sogno, cercando di volare e di raggiungerla. La realtà aveva diversi modi di manifestarsi e di essere percepita, lo stavo scoprendo lentamente. Avevo diversi mondi in cui muovermi e i passaggi erano nascosti. C’era il mondo che avevo definito primario, c’era quello dei sogni e quelli che si mostravano ogni volta che assumevo una pillola di colore diverso. La pillola azzurra rendeva reali i ricordi e il mondo interiore e potevo muovermi in quella dimensione. La pillola rossa aumentava le mie percezioni e intuizioni, era un mondo fatto di arcane presenze e sortilegi, in cui le cose e la natura assumevano significati misteriosi e irrazionali. Un uccello volò tra i muri crollati di un edificio alla mia sinistra mentre continuavo a guardare la botola. Per un attimo mi sembrò che qualcosa si illuminasse al suo interno. 
Andai verso il magazzino dei farmaci, c’erano enormi quantità di casse ancora imballate. Era in questo luogo che avevo scoperto le pillole, ce ne erano di diversi colori. Sulle scatole non c’erano indicazioni o nomi. 
Nella stanza con il divano, a sfogliare i vecchi contenitori con le pagine ingiallite, alla ricerca di informazioni. L’odore di quelle pagine era un mondo remoto e scomparso. Dovevo entrarci, passeggiare tra le rovine della Fabbrica e percepirne il passato, i ricordi. Le persone che ci avevano lavorato e che forse vi erano morte. Le loro vite, le loro speranze. In questo momento il silenzio era assoluto. Presi una pillola azzurra. E attesi. 

sabato 11 febbraio 2012

industrial #1


Prese dei cartoni nel grande magazzino dei medicinali, dove erano ancora impilate e imballate grandi quantità di farmaci, oltre ad oggetti vari, di vetro, che servivano al loro confezionamento. Li trascinò fuori dal magazzino, lungo un sentiero di terra e erba, tra gli edifici con le finestre rotte e le porte abbattute, entrò in uno di essi e salì delle scale e arrivò al primo piano e davanti a lui si estendeva uno spazio enorme, pieno di detriti, fili tagliati, plastica bruciata, tubi caduti dal soffitto, sedie capovolte. Attraversò questo spazio, trascinandosi dietro i cartoni e alcuni piccioni, sentendo il rumore dei suoi passi, si mossero nell’aria, sbattendo le loro ali. Arrivò nella zona degli uffici, aveva ripulito una stanza dove ancora c’era un divano utilizzabile e aveva messo dei cartoni alle finestre, per impedire che entrasse il freddo. Quelli che si era portato dietro gli servivano per fare una sorta di materasso, sopra ci avrebbe messo delle coperte e sarebbe stato un buon posto per dormire. 
Si sedette sul divano e prese uno degli elenchi che aveva trovato all’interno degli armadi rovesciati nelle altre stanze. C’erano serie di nomi e serie di numeri. In altri poteva vedere lo schema di funzionamento di strane macchine, con le istruzioni per usarle. L’unico problema è che non comprendeva la lingua in cui queste istruzioni erano scritte. Passò alcune ore immerso in quelle figure. 
Arrivò la notte e il silenzio si fece più doloroso, mise dei pezzi di legna in una piccola stufa che aveva trovato in uno degli edifici, la canna passava per un buco circolare che aveva ritagliato nei cartoni che coprivano le finestre. I pezzi di legno erano ovunque all’interno della Fabbrica, la mattina ne raccoglieva quanti bastavano per passare la notte senza avere troppo freddo. Mangiò del cibo in scatola, riscaldato sopra la stufa. Ce ne era un intero magazzino ancora pieno. La scadenza di quei barattoli era lontana. Anche se il futuro era un concetto che la sua mente aveva smesso di elaborare. Bevve un sorso di acqua. 

Steso sul letto, la legna crepitava dentro la stufa, lui respirava lentamente e scendeva in profondità. Si mise in bocca una pasticca azzurra e chiuse gli occhi. La realtà apparve. 

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...