lunedì 19 febbraio 2018

dream #78


Barbara era vestita di bianco, seduta su uno sgabello, accanto a un bancone circolare, le bottiglie dei liquori scintillavano su una parete a specchio davanti a lei, la sala era piena di gente, qualcuno le si è avvicinato e l’ha invitata a ballare. Avevo trovato un portafogli, sotto a un tappeto, mentre stavo pulendo una stanza, era pieno di bustine di hashish e marijuana, di vecchie banconote italiane e di alcune sterline. Mi sono ritrovato davanti alla porta del centro massaggi di Sofia, sono entrato, mi ha accolto una ragazza, le ho chiesto se Sofia fosse lì, lei è andata a chiamarla, Sofia è arrivata, più giovane, mi ha sorriso, si è avvicinata, si è strusciata contro il mio corpo e con una mano le ho accarezzato il culo, poi le ho detto che dovevo andare a prendere dei soldi e sono uscito. Guardavo una foto appesa a un muro, era di mio nonno, con la vernice rossa avevo pitturato uno dei suoi occhi, lasciando che il colore colasse sul resto dell’immagine, spiegavo a mia madre l’importanza della creatività nella mia vita, quanto la mia mente cercasse sempre una soluzione artistica ai problemi, lei sembrava interessata alle mie parole. Cammino per dei vicoli, i rumori e gli odori dell’estate, i volti come maschere dimenticate dei personaggi che avevano attraversato la mia esistenza, gli ultimi ostaggi della memoria, i passi in lontananza, le strette di mano e i piani di fuga, ancora qui, a osservare i minuti, le linee verdi degli alberi fra le colline immobili, David che accende il registratore e racconta la sua storia, recitando frasi che qualcuno aveva scritto e inventato solo per lui.

venerdì 16 febbraio 2018

senza titolo


C’erano nuove divinità che gli occhi adoravano e avevano forme triangolari e occupavano lo spazio fisico come miraggi di piramidi di vetro e metallo e gli schiavi camminavano nelle strade e obbedivano alle scritte sui muri mentre le bocche aperte, affamate e voraci dei bancomat vomitavano soldi e carte di credito. C’erano serie di miserabili inginocchiati per terra, la fronte a toccare il cemento, i tunnel sotterranei come intestini che digerivano vagonate di persone dirette verso il loro lavoro per poi rigurgitarle nel grigio dei vapori, tra le gocce acide di pioggia e i neon che lampeggiavano in ipnosi elettroniche. Vagavamo alla ricerca di un senso che desse una possibile spiegazione a questo caotico disperdersi, avevamo osservato con attenzione gli sbagli che qualcuno aveva annotato nella nostra personale cartella clinica, prima di rinchiuderci in una stanza, per otto ore al giorno, seduti davanti ad uno schermo a battere le dita sui tasti, a rispondere al telefono, voci registrate che ci prendevano per il culo e rubavano il nostro tempo, firmavamo contratti per essere ingabbiati e dalle sbarre ci accontentavamo delle poche carezze di luce che venivano a trovarci e dimenticavamo, giorno dopo giorno, anno dopo anno, che c’era un altro mondo, pieno di colori e voci diverse, ognuna con la sua melodia di suoni e armonie, dimenticavamo perché ci era stato donato questo respiro, il perché delle stelle e degli sguardi dell’alba eppure era ancora tutto qui, qualcosa che potevamo toccare e sentire e osservare in ogni secondo, questa fluida e lucente meraviglia, questo infinito trasformarsi, c’era una libertà che nessuno aveva più il coraggio di accettare, perché significava ammettere che quello che possedevamo, tutte le auto, le case e i televisori, non erano altro che nulla, una prigione di false idee e bisogni, poi ci sono i miei occhi che osservano le nuvole nel cielo, i fiori sbocciare, il sole nascondersi tra le foglie di un albero, il mio cuore che si colma di gioia e tristezza, perché nulla di quanto è esistito è stato mai nostro eppure tutto questo ci è sempre appartenuto.

martedì 13 febbraio 2018

London #8

ON/OFF, giorni di lavoro, giorni di riposo, un ragazzo cinese seduto a un tavolo mentre tira strisce di ketamina da un cartoncino piegato, il biglietto da visita di uno spacciatore, io e Phil siamo usciti a comprare delle birre, ha iniziato a piovere e ci siamo riparati sotto una tettoia, un uomo di colore ci è passato accanto, aveva un anello d’oro a un dito, si è acceso una sigaretta e poi è scomparso nel nulla, io e Phil ci siamo scambiati un’occhiata e senza parlare siamo entrati in un off license.

Non c’erano più facce da cazzo a farmi arrabbiare o a infastidirmi, i corpi che vedevo intorno, nelle strade o davanti ai negozi erano pure simulazioni mentali, proiettavo visualizzazioni psichiche in forme fisiche e umane, i personaggi si muovevano, parlavano, svanivano e si ripresentavano in ruoli diversi, i dialoghi erano pochi perché lo scrittore era più interessato alle architetture lessicali, le strutture verbali applicate allo spazio urbano, lettere alfabetiche enormi che modificavano il paesaggio delle città in serie di significati nascosti, gli agenti della polizia del karma avevano scordato come decodificare i messaggi, ci avrebbero pensato le nuove droghe a rendere possibile un’altra lettura del reale, sempre che si potesse chiamare tale il continuo ripetersi di allucinazioni sinestetiche. Una ragazza asiatica accavallava le gambe e lo scrittore aveva il cazzo duro nei pantaloni, mentre era seduto nella metro e buttava giù frasi sul suo quaderno nero, c’erano file di poliziotti schierati fuori dallo stadio, l’enorme arco di sostegno amplificava l’eco di leggi fisiche sul punto di essere abolite, una stanza in un hotel, la finestra quadrata, le foto da controllare, le immagini che scorrevano sulle pareti arcuate di un tunnel, ogni volta che tornavamo dentro i labirinti del pensiero, fuggivo insieme alle parole, trascrivevo voci, mi assicuravo che le tende fossero tirate e il buio perfetto, perché era il momento di lasciarsi andare e sprofondare e ascoltare lo sciogliersi dei respiri e delle ultime luci che anche gli occhi finivano per abbandonare.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...