domenica 25 febbraio 2024

dream #137

 Ero dentro un ascensore, all’interno di un palazzo che non conoscevo, prima di chiudere la porta ho intravisto l’immagine di Kamil che stava scendendo le scale, i nostri sguardi si sono incrociati, lui ha sorriso, andava di corsa, portava un vestito elegante - C’erano nuovi codici che qualcuno aveva scritto sul legno rovinato dell’ascensore, ho cercato di impararli a memoria, mentre è cominciato un movimento verticale che non sapevo dove mi avrebbe portato - C’erano state notizie di alcune sparizioni ed ero alla ricerca di una di quelle persone scomparse, nella sceneggiatura che qualcuno mi aveva passato c’erano delle pagine mancanti e così le sequenze successive sono state incomplete e confuse - Ero nel pueblo e stavo camminando, qualcuno aveva rubato il mio zaino ed ero rimasto solo con una lurida sacca a tracolla con dentro quello che ritenevo fosse indispensabile, la luce era quella del giorno e stavo cercando Sara, provando a chiamarla da un vecchio cellulare che mi ero ritrovato in mano e poi lei mi è apparsa davanti e ci siamo guardati nell’immobilità di un istante prima che tutto tornasse a muoversi, racchiudendoci così in un caldo e fuggevole abbraccio. 

mercoledì 21 febbraio 2024

freewheelin' #78

 Era un mondo misterioso e proibito che appariva e scompariva, alla sera, poi durante la notte, momenti in cui la casa e le sue stanze, in particolare il salotto, si riempivano di fantasmi, voci decadenti, musiche polverose, fotografie mentali, personaggi in bizzarri costumi, improbabili storie, fatiscenti catatonie erotiche, repliche di repliche, il teatro dell’inconscio - Lo chiameremo così, disse Antonin, mentre stappava una bottiglia di vino rosso e poi scorreva con gli occhi i fogli che aveva in mano, segnando note al margine, scrivendo nuove battute, cancellando quelle che non funzionavano, sorridendo, a tratti, ricordando eventi passati che si palesavano improvvisi nella sua mente - C’erano colloqui immaginari in cui balzavamo su porzioni diagonali di realtà, (di)pendenze e pantomime, attenti a non scivolare o a lasciarci inesorabilmente cadere, piroette, salti e capriole e poi solo sequenze silenziose, sul limitare fosforescente dei boschi e altre in zone urbane alienate, con le luci degli immensi parcheggi ormai tremolanti nei  bagliori di tramonti tossici - Volevamo tornarcene a casa, accendere la vecchia stufa di ghisa e continuare davanti ad essa e al suo calore le nostre discussioni, perdendoci in detour cinematografici, nei quali, a volte, ci divertivamo a descrivere fin nei minimi dettagli sequenze mai girate - Poi l’idea di un documentario su un fallimentare poeta turco, vagando fra i suoi interminabili monologhi notturni come fossero i vicoli di una cabalica casba, alla ricerca di  droghe e direzioni e fughe oniriche verso le oasi dei suoi deserti emotivi, pagine su pagine, buttate negli angoli sporchi della stanza spoglia, sui tappeti, fra le tazze macchiate di caffè, quello che preparava in continuazione, per poi servircelo, amaro e forte come il suo carattere impenetrabile e rimetterci così a marciare lungo i sentieri dei suoi paesaggi psichici, lande desolate e delittuose con rari accampamenti, tende e fuochi che vibravano nella notte stellata e noi, sdraiati su stuoie stese sulla sabbia, a fumare oppio, ad ascoltarlo, fino a quando i suoi versi diventavano nitidi sotto le palpebre chiuse, a protezione degli emisferi celesti di una sinestetica estasi, una sinfonia visiva colorante, pulsante e liquida - Cercavo, nei momenti di lucidità, di prendere quanti più appunti possibili, a volte seguendo quello che Ekrem diceva e altre subito dopo il risveglio, quando erano stati i sogni a rimontare in un’altra logica i suoi deliri notturni, inconsapevole di quanto fosse stato detto e quanto no - Invenzioni narrative e liriche nei punti in cui nessuno sembrava più sapere come andare avanti e poi lunghe ore di quiete e riposante silenzio, dove era il vento a disegnare trame auditive e sedare i nostri cuori solitari, uccelli in stormi neri nel cielo, un’altra casa dimenticata e ormai chiusa, giorni di pioggia e attesa, ho messo altra legna nella stufa, Antonin si è alzato e lui e il suo doppio si sono divisi la scena, attori e spettatori di sé stessi, affinché la verità diventasse un inganno sincero e la notte uno specchio di fugaci finzioni riflesse.

mercoledì 14 febbraio 2024

Napoli #4 (procida)

 Eravamo seduti ai tavolini esterni di un bar e intorno a noi alcuni uomini avevano già stappato le prime birre della giornata, il mare era calmo e il suo azzurro pieno e accogliente, i turisti camminavano e le biciclette e i motorini sfrecciavano insolenti nelle stradine, manifestando una fretta che sulla superficie di un’isola non sembrava avere nessun senso, da qualsiasi parte si andasse sempre a un limite di acqua si sarebbe arrivati. 

C’era un uomo anziano ad un tavolino poco distante dal nostro che stava dando pezzi del suo cornetto ai piccioni che gli si accalcavano intorno alle scarpe, non aveva un bell’aspetto, anche se qualcosa nel suo stile e nel suo vestiario lasciava intravedere la possibilità che fosse un artista e all’interno della lurida sacca che aveva appoggiato su una sedia avevo scorto dei quaderni e parecchi fogli ingialliti e immaginavo che lui fosse uno scrittore, arrivato ormai ai labili confini della propria vita - Le maree dei ricordi, le mareggiate oniriche di tempi infranti, sconfitti, dimenticati e restituiti agli occhi dall’impazienza narrativa dei sogni, che non lasciano spazio all’oblio e ci rimandano gli echi dell’esistenza in forme arcane e segrete. L’uomo si era acceso una sigaretta e aveva dato un ultimo sorso al suo caffè, c’erano nuove destinazioni che mi stavano chiamando: Napoli e poi Tangeri e gli incontri con artisti morfinomani che tenevano fra le dita tremanti scritti impolverati - Le critiche di pittori e quadri fatte dal padre ormai morto di un mio vecchio amico, collage di tele e colori liquidi e astratti lungo distese cromatiche che si scioglievano e si mescolavano e riemergevano diventando isole e arcipelaghi e territori informi e tumultuosi del subconscio. 

Carceri diroccate, nella parte alta dell’isola e quale orrore e quale sadismo a rinchiuderci dentro gli uomini e poi lasciargli vedere piccole porzioni di blu, i flussi marini in lontananza, la linea dell’orizzonte che non avrebbero più toccato, un braccio allungato fuori dalle sbarre a salutare l’infinito. Colonie penali e vecchi racconti di contrabbando e pirateria e tesori nascosti su spiagge lontane e le mappe strappate dell’illusione per ritrovarli.

Riflessi di luci e voci che diventavano più forti e confuse e le passeggiate con Sabine sotto le stelle e la notte che ci avvolgeva e poi i risvegli in cui non sapevamo più chi eravamo, perché questo mondo è un mistero e a nessuno dovrebbe mai essere concesso il fuggente potere di svelarne l’ingannevole essenza. 


martedì 6 febbraio 2024

Napoli #3

 L’aria del porto e le persone in movimento, enormi sagome di navi da crociera vuote e ancorate e in attesa dei pellegrini del consumo - Ombre oblique e un placido uomo seduto su una panchina di cemento, il sacco a pelo arrotolato da una parte e lo zaino dall’altra, una sigaretta fra le labbra - Le nuvole nel cielo, che una volta erano diventate tigri e adesso rimanevano solo voluminose forme che aspettavano di prendere vita nei nostri sogni e nelle nostre visioni - Colori improvvisi e racconti che si animano nella mente e Alain che mi parlava della Cina e di tutti gli anni che ci aveva passato insegnando francese in qualche città del nord, di cui avevo dimenticato il nome - Coline con la sua videocamera mentre preparava obiettivi e microfoni e io parlavo di Pasolini e Accattone e poi passeggiavamo per il Pigneto e il doppio di Lynn sembrava seguirci e pensavo al mio, di doppio, al mio corpo e alla mia voce dati in prestito ad un ennesimo personaggio mentre nel cuore ondeggiava la stessa malinconia di sempre e le domande di rito dello scrittore, quando fuggirai di nuovo? Quando te ne andrai da tutto questo?

Un’idea, un’intuizione per un video, Coline sarebbe stata d’accordo e anche Filippos e avremmo fatto le riprese all’interno della linea 1 della metropolitana di Napoli, fra i vecchi vagoni gialli e poi nelle stazioni e ci saremmo persi fra le linee dell’architettura sotterranea e i tagli di luce elettrica, lunghe carrellate orizzontali, estetiche metropolitane, sonorità hip-hop, Filippos avrebbe cantato, in greco possibilmente e io avrei scritto i testi, che poi insieme avremmo tradotto nella sua lingua e Coline si sarebbe occupata delle immagini e del montaggio (o forse questo lo avremmo fatto insieme) e poi ci saremmo calati un acido e passato il resto del tempo sgretolandoci fra i suoni e i colori dei quartieri spagnoli.

Singole inquadrature, singole stanze dove le prostitute e i travestiti portavano i loro clienti, poetiche rionali e decadenza di facciate barocche in rovina, come i volti sfatti di vecchie puttane e poi canzoni del mediterraneo morente, culla e cimitero di esuli e migranti, nuove odissee, nuovi turbini emotivi che circolavano nel sangue e nelle vene, i primi effetti, lo sfavillio sfuggente della luce, Santa Maradona sembrava essere una frastagliata celebrazione di una divinità popolare, i caleidoscopi di ricordi in arrivo, melodie mormorate nello spazio interiore che i secondi custodivano in accelerazioni di eternità momentanee.


freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...