sabato 30 dicembre 2017

freewheelin' #33


Volti di amiche nelle strade, oscurità e asfalto, le chiavi della casa ad Aphex, Susanna e Alessio che mi aspettano in macchina mentre cerco di chiudere un cancello, i corpi da sfiorare, quelli che non vogliono essere toccati, i sussurri della violenza, le pulsioni interrotte, i punti che la pelle nasconde come codici segreti di piacere, il gatto nella cucina che mi scivola fra le dita, i passaggi morbidi e lenti, fra i sogni e gli stati di veglia, era sempre lo stesso personaggio nelle sue varianti oniriche, qualcuno che poteva percorrere i tempi e gli spazi alterati di ogni mondo possibile, tornare indietro e perdersi nelle gallerie sotterranee di metropoli del futuro, avrei accompagnato mio padre a bere birra fra i resti di edifici industriali distrutti, accoglievo i presagi del buio come messaggi da interpretare, bisognava smetterla con il pensiero e lasciarsi guidare da tutto ciò che la ragione sembrava non comprendere, avremmo imparato di nuovo a conoscere la vita, i suoi misteri e la sua essenza, i nomi che diamo alle cose non sono altro che suoni che il vuoto disperde fra le foglie fruscianti degli alberi e le scintille di splendore della luce d’inverno.

domenica 24 dicembre 2017

Noddfa Dawel #2

Stanze dalle pareti gialle e donne impazzite da abbandoni e fallimenti, progetti che le discariche della vita raccoglievano, si collezionavano miserie e oggetti senza più valore, spazi fisici e mentali che il disordine disponeva in geometrie da crisi di astinenza. Qualcuno aveva abbandonato la città per rifugiarsi tra le colline, si costruivano case e si scopava liberamente, poi c’erano state fughe e false identità, bisognava nascondersi dalla polizia e aspettare. Dipendenze e alcolizzati cronici che spaccavano le vetrine dei pub per fregarsi qualche bottiglia di liquore, pere e punizioni, pene e umiliazioni, le stanze oscure con le pareti imbottite, le voci e le urla, terapie sperimentali e pillole di acido per frantumare la psiche, distorsioni comportamentali e lingue che nessuno sembrava comprendere, ripetilo ancora, suggeriva la dottoressa, mentre accavallava le gambe e potevi vederle l’orlo delle calze, legato sul lettino, i coglioni che pulsavano, una settimana senza sborrare, questa sembrava essere la sua strategia, mentre si sfilava le scarpe, conoscendo bene le tue debolezze e scoprendone di nuove, seduta dopo seduta, domanda dopo domanda, dovremmo continuare con questa terapia, diceva, guardandoti negli occhi, non riuscivi a controllare le tue erezioni, lei prendeva appunti, poi se ne andava, il cazzo di marmo negli anelli di costrizione.
Luoghi bui e fantasie proibite e giorni che svanivano oltre le sbarre di prigioni compulsive, ossessioni e ripetizioni, qualcuno ti aveva dato dei pennelli, i disegni sui muri, la vernice che colava, stilizzazioni falliche, camice di forza, il tempo e l’attesa, il ronzio delle lampade, i corridoi che sussurravano agonie senza uscite.


giovedì 21 dicembre 2017

beat #2 (1998)

Ed è in questa assenza di tempo e di spazio, nell’immobile grigiore delle nuvole, che fingo di vivere. E mi raggiungono gli aghi dei pini sotto i quali sto scrivendo, lunghe, lunghe poesie e lettere d’amore. E nell’aria c’è una strana quiete, quella dell’ora di pranzo, quando le donne cucinano e gli uomini stappano bottiglie di vino sui loro tavoli millenari, dove genitori e genitori di genitori hanno mangiato e pianto e ucciso i loro fratelli, mentre Caino lavava i piatti sporchi e si specchiava nelle acque del fiume Lete, dove tutti noi un giorno (il più tardi o il più presto possibile) finiremo per arrivare. Sulle sue rive ci spoglieremo e poi lasceremo che il nostro involucro mortale si sciolga lentamente nel buio segreto delle sue Acque.
Sono ancora seduto a programmare le prossime illusioni (un viaggio ad Aphex, ritornare a Praga) e la simbiosi di queste alterne speranze in un kafkiano rifugio di stolta umanità. Dove ho trovato uomini capaci di sentire e rimanere in silenzio? Le rocce giacciono per anni e anni sempre nel solito posto, non una vita nomade, avventurosa, un gitano appassionarsi all’essenza e allo stato delle cose, ma una millenaria riflessione zen (la ruota del Dharma ormai immobile), la nascosta e sfuggente Unità Che Tutto Unisce e un secondo dopo, l’attimo seguente a quello appena pensato, forse la fine dell’Uno e la nascita del Molteplice, della nostra vita che scorre in infinite vie (così difficile da trovare quella che ci appartiene) o forse in nessuna.

Alte e silenziose montagne, nascondete per un attimo i miei occhi e il mio corpo alla realtà, chi più falso di me o anarchico attore di questo spettacolo dorato che scorre in palcoscenici di vanità quotidiana, in una confusa e caotica inquietudine che non vuole repliche.

mercoledì 20 dicembre 2017

Noddfa Dawel #1

Baracche abbandonate e silenzio, stanze piene di vecchi oggetti, poltrone impolverate, libri con pagine mancanti, divani sfondati, scatoloni colmi di lampadine, i giochi della luce sulle pareti, una strana calma, la notte faceva di nuovo freddo e lo scrittore cercava delle coperte, camminando per i corridoi, aprendo porte di pura immaginazione.
C’era ancora lui, seduto da qualche parte, a osservare il tramonto, schiere di case costruite sulla sabbia, i ritmi delle maree e i discorsi lunari, le siringhe e l’eroina, una vecchia alcolizzata che raccontava dei suoi amori tossici, gli occhi a spillo, le ennesime fughe mentali, troppi acidi, troppe droghe, ognuno aveva oltrepassato il confine e si era perso, dimensioni interiori proiettate in un caotico mondo di disordine e smarrimento, oasi di delirio, promesse scritte con la vernice sulle pareti di celle di isolamento.
Continuavano a confondersi illusioni e possibilità, le rivoluzioni erano deragliate, treni di utopie lanciati in una folle corsa verso il nulla, le stazioni diventavano sempre più solitarie e così i passeggeri, erano finiti i saluti e gli incontri, poi solo una serie di addii senza speranze.
Chiamavamo ad alta voce i nomi degli assenti, non c’erano risposte, crolli di strutture nervose, quelle su cui si decideva l’equilibrio della vita, siamo stati catturati e tenuti prigionieri, le domande che alla fine abbiamo smesso di farci, le nubi all’orizzonte che diventavano astratte composizioni cromatiche, il pittore aveva finito il suo oppio e voleva solamente tornare nell’oblio.

Chiudevi le ultime stelle in prigioni di spazio e universo, le speranze che hai implorato con voci di divinità inesistenti, le guardie che ti hanno proibito di varcare la soglia, hai chiesto aiuto alle persone sbagliate, hai confessato debolezze e paure ai tuoi stessi nemici, circoli di sedie e regole scritte nella polvere, i buchi sulle braccia, le forme grottesche delle case, bastavano i minuti a raccontare bugie, hai chiuso gli occhi e il buio aveva lo stesso volto degli uomini uccisi nei sogni.

domenica 17 dicembre 2017

Llanidloes #8

Travestimenti notturni nella tenda di Robyn e oggetti e gioielli e bizzarri accessori, i cambi d’identità sessuale e un ragazzo seduto su un divano pieno di cuscini, una bustina con dell’erba jamaicana fra le dita, qualcuno che accende la stufa mettendoci dentro dei pezzi di legno, poi una serie di fotografie nelle mie mani: i costumi, gli sguardi, le trasformazioni.
Nel pomeriggio della domenica il sole era lucente e illuminava il mondo in un’estatica meraviglia, io e Bea eravamo sdraiati sull’erba a bere birra e fumare hashish marocchino insieme a Ken e lui sembrava stranamente a suo agio in mezzo a noi mentre una donna parlava di suo padre, di quando si erano conosciuti ed erano racconti che si perdevano nei ricordi di tempi fuggiti troppo velocemente, senza controllo, perché nessuno sapeva cosa stava facendo, con le droghe che alteravano e costruivano universi paralleli nei quali rifugiarsi o impazzire.
C’erano dei vuoti nella memoria, delle parti mancanti e lo scrittore poteva aggiungere nuovi particolari e ricostruire le scene come meglio credeva, Luna lo aveva salutato con un bacio sulla mano e si era allontanata leggera e sorridente e Bea chiacchierava con tutti e lo faceva sentire al sicuro, lo scrittore osservava gli spostamenti, le direzioni, le pause, le improvvisazioni, si lasciava trasportare e poi ordinava ancora da bere, ci saremmo mai liberati anche da noi stessi? Ce l’avremmo mai fatta a non essere più nulla, solo vuoto e respiri e nessuna voce a chiedersi e domandarsi significati e spiegazioni?

L’aria della mattina era dolce e profumata e le sequoie immense visioni che lo sguardo inseguiva, poi i tuoi respiri e i sentieri fra i prati e dove sarei arrivato nei giorni che la vita ripeteva solo per gioire di se stessa.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...