mercoledì 31 ottobre 2018

flashback #3 - musica

Ho lasciato che la musica guidasse gran parte dell’esperienza ed è stata una saggia scelta. Le strutture melodiche e armoniche delle canzoni hanno formato una sorta di percorso sicuro nel quale potessi muovermi da un punto di vista emotivo, una specie di rete di protezione interiore, non mi sono mai sentito triste o malinconico (come tante volte mi è successo quando mi sono confrontato con le mie emozioni) ma sempre consapevole di essere parte e fulcro della mia vita, che la paura non era altro che una costruzione mentale e che potevo spostarmi liberamente in tutte le direzioni che desiderassi senza nessun timore di perdermi. 

martedì 30 ottobre 2018

Artist Valley #11

Ero steso per terra, sporco e vestito male, Michael era vicino a me e cantava a bassa voce canzoni ancestrali, c’era una dolcezza in quei suoni, la voce di un padre e quella di un antico maestro e mangiavamo da ciotole di terracotta: mais, carne e frutta, c’erano vibrazioni dorate nell’aria e dall’apertura centrale del teepee nel quale eravamo seduti scendevano obliqui i raggi del sole, frammenti di splendore che le nuvole lasciavano passare per poi sciogliersi in pioggia e fruscii d’acqua come melodie di primavera, mi guardavo le mani ed erano piene di piccole ferite e la pelle sembrava leggermente più scura e morbida, non possedevo nulla, ero libero da qualsiasi illusione e aspettativa, ero in uno stato di purezza assoluta e Tom è entrato dalla piccola porta di legno, lasciandola aperta e di fuori gli alberi si muovevano in colori nuovi e trascendenti le cui sfumature appartenevano solamente ai sogni o a quel mondo di meraviglia, mistero e stupore, il Nagual, che si manifesta oltre la soglia delle nostre normali percezioni, sono uscito e ho camminato nella realtà e ogni cosa era viva e la potevo sentire all’interno del mio stesso essere, ogni filo d’erba, ogni foglia, gli insetti, le cortecce, la terra, i rami e ogni manifestazione dell’esistenza era unita da pellicole di luminosa trasparenza, ero sbalordito e incapace di esprimere razionalmente la bellezza da cui ero circondato e di cui facevo parte, Michael mi ha raggiunto, dicendomi che il temazcal era pronto, ho guardato all’interno dei suoi occhi, c’erano oceani di azzurro splendore in iridi di gioia e umana comprensione. 




domenica 28 ottobre 2018

freewheelin' #39

Rosso. Tessuti anamorfici su superfici tessili. Morbidi contatti epidermici. Lente visuali semisferiche. Una scala per raggiungere il palco. La sedia nera. Isolata e silenziosa. Le quinte neoclassiche con disegni stilizzati di antiche dimore elleniche. Un sipario aperto e ondulato. Il pianoforte striato da ombre e attese. Le melodie composte nelle mattine di nebbia e freddo. Gli ultimi strati di nuvole che il cielo spostava. Neon rosa in tramonti elettronici. Le statue racchiuse in angoli prospettici. Diverse dimensioni che gli oggetti assumevano fra giochi e illusioni ottiche. Gli spalti vuoti. I contenitori di vetro all’interno di una teca impolverata. Le sostanze. Le orme che lasciavano passi. I passi che diventavano percorsi. Chi avevamo seguito negli inganni del tempo. Chi non avevamo più ascoltato. Chi aveva accolto l’oblio di sinfonie e impressioni. E ancora la notte con le sue tentazioni di cosmi e universi e ancora il giorno con le sue acrobazie di luce e riflessi e i volti dalle balconate ovali ad attendere applausi che non sarebbero mai arrivati. Bolle di elettricità statica. Titoli inventati per film inesistenti. Girava la pellicola a velocità supersonica, barriere sonore esplose in inseguimenti aerei, le strade assolate delle metropoli quadrate, le nuove geometrie metropolitane che solo obiettivi alieni potevano trasformare in codici di insegnamenti primitivi, saremmo di nuovo stati tutto ciò che si era estinto, le civiltà sommerse, quelle svanite, le divinità decapitate, quelle esplose in rituali di annientamento, ancora le estasi di scritture parallele, in cui si moltiplicavano oltre ogni possibile logica le direzioni narrative e le loro trame, mattoni lucidi come sogni di palazzi onirici, le stanze che si accumulavano dietro porte di metallo nero, i corridoi senza un’apparente fine, un immenso autobus fermo in un parcheggio della memoria, i lavori offerti da loschi personaggi, le promesse che il denaro avrebbe nascosto in un ghigno di invitanti promesse, i nuovi bisogni, le false circostanze in cui ognuno mentiva a se stesso, la musica continuava il suo ritmo di idee e immagini, brevi danze sugli orli di un perimetro di alabastro, le vene della pietra, il dischiudersi di una viaggio che continuava a fabbricare parole e visioni, le lettere che lo scrittore accarezzava su pagine di sabbia e tramonti lontani, un altro bicchiere di gin e tonic sarebbe stato preparato sul bordo di una piscina tropicale, i colori che sfumano, l’aria calda, le labbra morbide, ce ne saremmo andati via anche da qui, prima che le pareti di questo teatro dell’inconscio diventino cenere e pallida malinconia.

venerdì 26 ottobre 2018

Copenhagen #1

Le pareti bianche e i tagli della luce in sezioni geometriche sul pavimento di legno pallido, fuori dalle finestre rettangolari c‘erano forme architettoniche splendenti e i rumori di una città in fluido movimento, le biciclette che scivolavano silenziose sui bordi delle strade e i canali come vene azzurrine di un corpo urbano rappresentato su mappe d’immaginazione e storie inventate. C’era una volta, ancora una volta, un arco teso su possibili mondi di personaggi irreali, ogni inizio che la fantasia trasformava in un’esplorazione di parole e sentimenti, scrittori con lunghe barbe a punta seduti in stanze di memorie tappezzate di damasco rosso, la pipa in bocca e gli occhi rapiti dal crepitare della legna nel camino, passavano gli inverni come pagine bianche da riempire di favole, ponti sospesi sul futuro, stili essenziali di visione postmoderna, lo sguardo che si manifesta in sensazioni tattili e fisiche, curve e linee che diventano spostamenti umani nello spazio, perimetri emozionali come scatole nere di saperi in continua evoluzione, sinergie cognitive, quartieri di suprematismo elettronico dove ogni attività artistica era stata manipolata e automatizzata, passavamo le nostre carte magnetiche su sensori invisibili, si aprivano e chiudevano porte d’emergenza intellettuale, si effettuavano pagamenti con denaro inesistente, codici, serie di numeri, contatti proibiti di polizze sanitarie, cliniche psichiatriche e manicomi in cui rifugiarsi nell’attesa dell’apocalisse, distorsioni di specchi sciolti nel vetro, sospetti cromatici, non c’era più nessuna paura che valesse la pena rendere reale, nessuna paranoia, eravamo rinchiusi in un recinto di protezione esistenziale, nemmeno la morte sarebbe stata la fine, un ennesimo passaggio, ampliavamo i nostri confini, intrecciavamo barriere come spirali di estasi solitarie, le chilometriche file dei tralicci dell’alta tensione, i ronzi della colonna sonora, il rumore bianco, le alte torri che si illuminano in astrazioni lampeggianti e scintillii acidi.

lunedì 22 ottobre 2018

Artist Valley #10

Visioni oscure, masse nere, figure ancestrali e corpi e cadaveri seduti in un cerchio di buio, le pietre roventi, le eiaculazioni di acqua e vapore, le gambe aperte della roccia e i suoi fluidi liquidi scroscianti, l’uomo poggiato sui talloni, nudo, il membro gonfio  e in erezione, gli antichi rituali di vita e morte, gli dei della fertilità e quelli del regno dei morti.
La bottiglia era piena di un liquido rossastro e sanguigno, amaro e grumoso, le cortecce di alberi giganteschi nella giungla, gli ambienti sonori, sferici e avvolgenti, il frusciare delle ali di un uccello invisibile, le piume che lo sciamano muoveva per cacciare via impurità e malattie, il ritmo cardiaco e incensante del tamburo, i canti vegetali e le voci aliene, i movimenti intestinali, i rigurgiti, i residui tossici che lo stomaco espelleva fra canzoni di guarigione, l’uomo della medicina era seduto davanti all’altare della mezza luna, ancora ombre, sulle pareti della tenda indiana, doppi silenziosi che scivolavano ovunque, proiezioni psichiche della luce e del fuoco che prendevano vita e si muovevano solenni e misteriose, le preghiere e la terra e i giorni che il mondo aveva dimenticato perché non erano mai esistiti, chiudevo gli occhi e qualcuno parlava al mio cuore, per sanarne le ferite, c’era un peso, una presenza di tenebra e dolore, una porta chiusa, una voce ormai muta, i serpenti, gli animali selvaggi, le geometrie auditive e quelle della mente, assenza di materia in sguardi freddi e primitivi, c’era una coscienza, un sapere, una forma d’intelletto e comprensione che trascendeva la nostra cultura scientifica e materiale, una realtà diversa che le percezioni accoglievano una volta liberate dai blocchi della razionalità, anni di istruzione istituzionalizzata non sono stati altro che una gabbia psicologica e cognitiva, un addestramento forzato alla normalità, alle giacche e alle cravatte e agli orari di apertura e chiusura, alle strade di città gremite di anonimi volti e serie infinite di sconosciuti, i messaggi telepatici, le intuizioni degli occhi, la vita che proseguiva e si ampliava nella dimensione del sogno, dove provavo a mettere ordine agli eventi del passato, a quello che era accaduto e scomparso, a tutte le cose lasciate a metà: le separazioni, gli addii, le inevitabili interruzioni. I volti che tornavano a parlarmi, perché ci fosse un chiarimento che non era mai avvenuto, li ascoltavo, li lasciavo andare, perché in quel luogo nulla era reale eppure profondamente vero, poi tornavo nel mondo ordinario, i passaggi che stavo imparando ad attraversare, i primi segni dell’alba nel cielo, i respiri che diventavano profondi atti di coscienza, una mano che scrive, l’altra che afferra dita che sembrano svanire oltre i confini di liquide memorie.

sabato 20 ottobre 2018

Artist Valley #9

Non avevamo più avuto notizie di Stephen per una settimana, dopo che era scomparso nel nulla, senza dire una parola, semplicemente svanendo nel tempo e nello spazio. Poi la polizia lo aveva trovato in un ospedale a Birmingham, intrappolato in una sorta di coma etilico, i dottori scrutavano la sua cartella clinica in cerca di possibili spiegazioni e anche noi ci chiedevamo chi fosse questa persona e quale fosse la sua vera storia, lo scrittore si era rinchiuso nella sua piccola stanza psichedelica e forniva dettagli e intrecci. I genitori vivevano a Singapore, il padre era stato un importante direttore di un’infame multinazionale, l’adolescenza passata in Australia, l’amicizia con uno spacciatore, i problemi con l’alcol e la dipendenza, una figlia lontana, sorridente da foto mai scattate, i paesaggi invernali di una Francia perduta. 
I cambi di sceneggiatura e le riprese di una macchina in movimento su una strada estiva, lo scrittore era al volante e Fleur era seduta di dietro e gli poneva domande a cui non ci sarebbero state risposte. E ancora la sala degli incontri e uno dei vecchi capi che era tornato a farci visita, uscito di prigione e forse ancora più imbastardito di prima, era sorridente e aveva un nuovo taglio di capelli, accarezzavo con calma la pistola che avevo in tasca. Le strutture mentali che la matematica non avrebbe mai spiegato, i nuovi edifici che accoglievano uffici di deprivazione sensoriale, c’erano ancora riflessi sui vetri e sorrisi e occhi attraverso i quali osservare sé stessi, l’amore di una notte e quello del mattino, le lunghe dita dell’aurora, i giorni che svaniscono fra labbra nude e addii.

mercoledì 17 ottobre 2018

Artist Valley #8

Sentieri grigio ardesia e pietre traslucide bagnate, forme fluide scivolano sotto il mio corpo in movimento, terriccio rossastro, aghi di pino marroni in composizioni stilizzate, i volti nascosti nei tronchi degli alberi, il verde intenso e oscuro ai lati dello sguardo, i morbidi strati di muschio in ondulate linee, striature metalliche nell’aria e gocce di pioggia in espansione da punti di caduta verticali, concentriche piatte sfere, vento invisibile e rami che oscillano nel vuoto nebbioso, echi di silenzio nella mente, metamorfosi naturali e leggeri spostamenti nei limiti del campo visivo, infiniti spettri di colori nelle continue manifestazioni dell’eternità dorata, il respiro regola le percezioni, la barca si muove senza rumore sullo specchio del lago, trafitto da miriadi di aghi molecolari di idrogeno e ossigeno, la baracca sulla sponda, il fuoco da accendere, le pipe in un angolo, le coperte, le pentole, tutto antico, tutto lasciato e ritrovato, i racconti scritti su di un libro impolverato riposto su una mensola, i disegni dei folli, la notte che avanza e con lei il mistero dell’universo, osserviamo le fiamme, fumiamo lentamente, dondoliamo nell’oblio della natura e della sua presenza, le stelle esplodono nel cielo, il freddo mormorio delle frequenze cosmiche, tutto rallenta, tutto si ferma, il libro che cade fra le dita e sprofonda nel tempo.

sabato 13 ottobre 2018

Artist Valley #7

La tempesta aveva fatto cadere decine di alberi e pali del telefono e ci aveva tagliato fuori dal mondo e dalle comunicazioni per parecchi giorni. Avevamo cibo a sufficienza e alcol e droghe e quindi nulla ci metteva fretta, passavamo le giornate distesi sui tappeti, a osservare gli intarsi floreali del soffitto muoversi e danzare, i colori acquisire grottesche profondità e lo spazio tridimensionale convergere in nuovi piani liquidi e densi di suoni, quando qualcuno iniziava a improvvisare sul pianoforte e le note gocciolavano e si intrecciavano ai fili armonici di luce nati dalle corde di una chitarra e alle dense e oscure pulsazioni cardiache di un basso elettrico e ai ritmi tribali e ipnotici scanditi dalle percussioni, per poi rallentare e amplificarsi in visioni metropolitane notturne e i quadri e gli oggetti che raccontavano storie per immagini e un uomo con un occhio solo che filmava dalla sua personale macchina da presa mentale e decostruiva il flusso della vita in sequenze che qualcuno avrebbe poi rimontato in incastri onirici, deliri schizofrenici, intuizioni dadaiste, era come tornare indietro ai tempi delle avanguardie storiche e sperimentare tutto quanto da capo, lasciarsi andare alla pura esperienza artistica e distruggerla un attimo dopo, nessuno sarebbe venuto a cercarci, nessuno avrebbe disturbato questa fittizia ibernazione poliedrica, c’erano schemi esagonali in strutture architettoniche futuristiche, esempi di follia creativa usati per riorganizzare la vita sulla terra in ecosistemi utopistici dove le idee, i pensieri e le logiche astratte finivano per confluire in un unico progetto di inaudita potenza rivoluzionaria e poi canzoni, danze, poesie e romanzi, sinfonie, film e atti unici, drammi e improvvisazioni, comunità che si formavano seguendo gli impulsi del desiderio e dell’amore, questa parola che generazioni precedenti avevano affisso sui muri di società simili a prigioni, nella speranza che qualcosa sbocciasse e fiorisse, che ci fossero ancora carezze e abbracci e una nuova possibilità di incontrarsi sulle linee della pelle e del destino per rimodellare così la nostra stessa umanità e spedirla poi nelle galassie dell’inconscio, nelle dimensioni ultraterrene degli universi interiori, dove perdere definitivamente ogni divisione senza più sapere cosa fosse maschile e cosa femminile, in una unità di origine e crescita, divinità blu e sguardi miti, fluidi sessuali rosa e violacei e incontri oltre la porta delle percezioni, ormai aperta e dischiusa, come la gambe di una giovane fanciulla rapita dai propri sensi, la neve continuava a cadere e i giorni a trasformarsi e ognuno parlava in silenzio e ascoltava gli altri ad occhi chiusi, nell’infinita e fluida meraviglia di vederli reali per la prima volta.

venerdì 5 ottobre 2018

dream #80

Stanze di alberghi, una mascherina nera sugli occhi, un ragazzo con una videocamera digitale in mano, sono sdraiato su un letto, sotto le lenzuola, Robyn entra dalla porta senza parlare, vestito da donna, il ragazzo continua a riprendere, scene di un film erotico privato, osservo la mia immagine, il mio doppio onirico, su uno schermo televisivo degli anni cinquanta, sono seduto su un divano, una ragazza al mio fianco, i suoi piedi velati da calze nere scivolano sul mio volto, li bacio, sono così morbidi, poi le accarezzo le gambe, lei mi sussurra se voglio un acido, annuisco, lei prende una piccola scatola di plastica colorata, la apre e mi passa un minuscolo cartoncino, lo metto sotto la lingua, poi la bacio sulle labbra, mi alzo ed esco dalla stanza, cammino per i corridoi di un hotel, perdendomi in essi. Partenze, automobili ferme in attesa, giardini proibiti, David cha salta una staccionata, si gira e mi sorride, i bagagli da sistemare, tutte le case in cui non ho mai vissuto, una voce che mi chiama da lontano, dicendomi di tornare, poi il rumore della pioggia e finestre disegnate su muri di ricordi.

mercoledì 3 ottobre 2018

Artist Valley #6

David parlava dal piccolo schermo di un telefono cellulare, strano e lucente personaggio dostoievskiano rinchiuso nella sua cella di ritiro spirituale in un monastero scozzese. I richiami telepatici dell’ayauasca lo collegavano attraverso i sogni ad altre presenze del subconscio, esseri alieni dagli infiniti spettri cromatici e psichici. Gli occhi di un gatto che mi guardavano, antiche percezioni egizie e la punta della Piramide e il centro di un quadrato come istruzioni geometrico-spaziali per spiegare il mio ingresso in flatland. Fuori nevicava e Stephen disegnava mappe con matite colorate mentre io catalogavo semi di piante psicotrope e allucinogene, poi durante la notte mi sintonizzavo, ad occhi chiusi, alla mind-tv,dove andavano in onda episodi della mia vita, montati in ordine casuale, con sequenze che si sovrapponevano le une alle altre, precipitando in ellissi di tempo passato per poi esplodere in emozioni e stati d’animo presenti, le coperte gialle, la stanza blu, il laboratorio segreto in cui John ancora sintetizzava acido lisergico, le montagne che racchiudevano segreti, gli alberi che oscillavano mormorando nel vento, le creazioni di ghiaccio e acqua, hasta el infinito siempre, urlavano i nuovi rivoluzionari psichedelici, ogni battaglia era stata persa e dimenticata perché combattuta nei luoghi sbagliati, gli scienziati finivano per ridurci in molecole e atomi, saremmo stati divisi fino ad arrivare al nulla, il vuoto buddhista ricomponeva teorie e assiomi, siedi in silenzio nell’ombra di te stesso, osserva il tuo respiro, tutto appare e scompare in una ciclica perfezione.

lunedì 1 ottobre 2018

flashback #2 - emozioni, sentimenti, vita, morte

E’ possibile spostare la propria attenzione, durante l’esperienza psichedelica, in maniera abbastanza semplice. Ho dimenticato la bellezza degli effetti visivi per concentrami sul mio mondo interiore, non c’erano più barriere dentro di me, potevo scorgere nitidamente le mie emozioni, soprattutto mentre ascoltavo la musica. Canzoni che mi erano care o familiari (House of Cardsdei Radiohead, specialmente) riuscivano a toccare parti di me stesso, è stato come essere un neonato e associare per la prima volta sentimenti di gioia e felicità a stimoli esterni, la musica era tangibile come fosse una carezza o un abbraccio o una manifestazione fisica di affetto e amore. Quando siamo ancora rinchiusi nell’utero materno siamo una unità e questo stato perdura anche nei primi mesi di vita, mano a mano che il nostro cervello inizia a conoscere, immagazzinare, assorbire, ordinare e reagire agli stimoli esterni comincia anche la frammentazione, poi quando impariamo a parlare ci muoviamo nella fase di concettualizzazione verbale e tramite il linguaggio finiamo per perdere definitivamente quell’unità originaria.
Dice Shunryu Suzuki – Prima di nascere non avevamo alcuna sensibilità; eravamo tutt’uno con l’universo. Questo stato si chiama “sola mente” o “essenza della mente” o “grande mente”. Dopo che veniamo separati da questa unità a causa della nascita, come l’acqua che cade da una cascata viene frammentata a causa del vento e delle rocce, allora riacquistiamo una sensibilità. Avete difficoltà perché avete una sensibilità. Vi attaccate alla vostra sensibilità senza sapere proprio come questo tipo di sensibilità si venga a creare. Quando non vi rendete conto di essere tutt’uno col fiume, o con l’universo, avete paura. Frammentata in gocce o no, l’acqua è sempre acqua. Vita e morte sono la stessa cosa. Quando ci si rende conto di ciò, non si ha più paura della morte, né effettiva difficoltà nella vita.
Poi mi sono sentito molto vecchio, steso sul letto, con una sensazione di freddo interiore e di estrema stanchezza, all’improvviso una luce bianca ha avvolto il mio essere, la chiara luce della trascendenza buddhista o della morte, tutto questo è avvenuto senza la minima traccia di paura o apprensione, perché era assolutamente naturale e già presente dentro di me.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...