lunedì 29 luglio 2013

homesick #1

Non ci avevo messo molto a preparare lo zaino. Quello che ero riuscito ad infilarci dentro nella fretta e nella confusione. Il vecchio Lee aveva ragione. Ogni uomo doveva sempre essere pronto a cambiare luogo, casa e paese e tutto quello che gli serviva doveva entrare in uno zaino. 

Per strada non riuscivo a mettere a fuoco quello che avevo davanti, mi muovevo velocemente, il caldo era troppo forte per la stagione e le vie troppo lucenti. Le foglie degli alberi erano di un verde brillante, nate da poco e si muovevano nell’aria, risplendendo nell’oro del giorno. Ho preso un tram a Via Carlo Felice e sono andato verso San Lorenzo. Nella nuova casa mi aspettava un ragazzo, mi ha aperto, quando ho bussato alla porta e mi ha fatto entrare. Ho posato lo zaino nella mia stanza e sono sceso di nuovo per le strade, per immergermi nella realtà, avevo passato troppo tempo in disparte, chiuso in sterili illusioni. Una signora spingeva un carrello, vestita di nero, un uomo era appoggiato ad un angolo di un palazzo, la barba lunga, al riparo dal calore. Un vecchio era seduto da solo davanti ad una giostra che non si muoveva. La morte era un bambino  silenzioso che si succhiava il pollice.

Ho comprato una lampadina per leggere la notte e lenzuola arancioni.

Poi sono tornato a casa. Ho sistemato la roba che avevo nello zaino, un paio di libri sul comodino, il computer sulla scrivania. Ho preparato il letto e mi ci sono steso sopra.

Fuori dalla finestra la luce iniziava a nascondersi dietro ai palazzi. 

E per le strade i volti incattiviti dei miserabili si allungavano ghignanti fra le prime ombre della sera.


lunedì 15 luglio 2013

Amsterdam #30



Klaus camminava a grandi passi nella stanza, che aveva riempito di foglie secche. Prese una pillola rossa dal tavolino scheggiato e se la mise in bocca. Iniziò a parlare con voce bassa e profonda, camminando lentamente, le foglie secche che si spezzavano, i suoi passi calcolati. Si fermò, lanciò un urlo, si mosse a scatti, come un invasato, poi iniziò ad insultare presenze invisibili, i suoi capelli lunghi, biondi, che gli arrivavano fino alle spalle si muovevano incontrollati, si fermò di nuovo, respirò, la rabbia circolava come una droga dentro le sue vene, sentiva l’adrenalina pulsargli in ogni parte del corpo, andò davanti allo specchio, bevve un bicchiere di vino, il suo volto era contratto in una espressione di dolore e follia, la giusta espressione, per fare inorridire il pubblico, per sconvolgerlo, voleva i loro insulti, le loro bestemmie, lo caricavano ancora di più, lo eccitavano, doveva dominare il pubblico, dominare ed essere dominato, era gesùcristo, avrebbe messo in croce e frustrato i suoi spettatori, sarebbe stato messo in croce e frustrato da loro. Urlò.

Il silenzio cadde nella stanza come le foglie morte sul suo pavimento.



giovedì 11 luglio 2013

Amsterdam #29



Lynn era tornata nella sua stanza, si era sdraiata sul letto. Aveva chiuso gli occhi, le nuvole violacee passavano sulle sue palpebre. Si alzò e accese una candela. Sulle pareti tremolavano fogli pieni di parole. Lettere di suo padre. Poesie. Disegni. Le copertine dei libri giocavano con il buio. Uscivano fuori, alla luce della candela, i nomi di Kerouac, T.S. Eliot, Steinback, Forster. Lucy prese una bottiglia di vino e la stappò. Si riempì un bicchiere, si sedette di nuovo sul letto, con le gambe incrociate. Il loto è un fiore che nasce da acque oscure e sporche. Ed è un fiore bellissimo. Lynn si guardò la mano sinistra, quella senza il bicchiere. Guardò le linee della sua mano, non le piacevano. Poi posò il bicchiere, chiuse gli occhi e iniziò ad accarezzarsi i capelli.

mercoledì 10 luglio 2013

Amsterdam #28



Lynn e il professore guardavano le nuvole che si muovevano nel cielo. Nuvole grigie e acquose, su un cielo già scuro. Si passavano delle bottiglie di birra, seduti sugli scalini di una chiesa. Lei gli raccontava delle esperienze con la mescalina, dei suoi capelli, del contatto delle sue dite con i capelli, mentre li accarezzava, in una nuova percezione. Lui le raccontava delle esperienze con la psilocibina, dei colori caldi, il viola, l’arancione, il rosso, di come avesse visto le vene della sua mano scorrere, di come si fosse trasformato in un albero, del cambio delle prospettive, cose immensamente grandi, cose immensamente piccole. I quadri di Brueghel in un museo. L’inverno, la neve, il silenzio. Lui fissava un quadro e poteva vedere i piccoli uomini e le piccole donne sul ghiaccio muoversi, i vestiti rossi, gli uccelli nel cielo, la città azzurrina in lontananza, la trappola sulla neve.
Lynn gli disse che trovava la scrittura di Kerouac così emozionante, fluida, ricca e il professore le disse che aveva ragione, che le parole di Kerouac erano come un fiume in cui tutto scorreva e pulsava ed erano piene di vita, lei gli disse, guardando le persone che camminavano, che ogni persona ha una mente e ogni mente è un universo e lui le disse che ogni persona vedeva le cose da un punto di vista diverso, milioni di punti di vista diversi e nonostante questo gli uomini e le donne cercavano di capirsi, di scambiarsi esperienze, di parlare di qualcosa che per ognuno era differente.
Si passarono di nuovo la birra e rimasero in silenzio a guardare le persone che camminavano, le nuvole che si muovevano nel cielo.


Le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere.  

martedì 9 luglio 2013

Amsterdam #27



Seduti ad un tavolino, davanti ad un canale, illuminati da un sole invernale e splendente, lei aveva preso un tè al limone, lui una pinta di amstel. Erano un paio di anni che non si vedevano, lei era andata prima a londra e poi a berlino dove era restata per quasi otto mesi. Si era interessata alle gallerie d’arte, alla danza, al balletto, aveva conosciuto un coreografo frocio e eroinomane, che nella New York dei primi anni ottanta era un’accoppiata perfetta, poi il movimento punk e una nuova idea: danza classica e anarchia insieme, creazione e improvvisazione. era rimasta folgorata dalla vitalità del coreografo, dal suo modo di vivere e concepire l’arte. era stata molto da sola in quel periodo e tutto quel tempo trascorso camminando per le strade, visitando musei, immergendosi nel suo mondo personale le aveva aperto gli occhi su quello che aveva dentro, su cosa le interessasse veramente, su quanto fosse indispensabile innamorarsi di se stessi prima di poterlo fare di un’altra persona. Lui rimaneva spesso in silenzio ed ascoltava. Ogni tanto le diceva qualcosa di serio. Qualcosa di profondo. Ogni tanto lanciava una risata, per alleggerire la loro discesa. The fall si chiamava uno degli spettacoli del coreografo. E parlava, con musiche e movimenti, della sua caduta nell’abisso dell’eroina. Poi era risalito dall’abisso. Danzando su un palco e non più sull’ago di una siringa. Lui pensava al suo personale abisso. Alla maestosità di quelle scogliere dalle quali lo poteva vedere agitarsi, oscuro e immenso. Non che gli dispiacesse l’oppio e l’aria del mare del nord gliene faceva venire in mente una lunga pipa carica e anche un materassino lurido nel retro di un negozio di massaggi cinesi. scivolava lento e senza dolore verso le acque calme dell’inconscio e prati ricolmi di papaveri oscillavano piano nel vento caldo dell’estate.
Lui aveva finito la sua pinta e ne aveva ordinata un’altra.

Gli anni passati avevano lasciato le loro ferite, tutto il tempo sprecato, guardato adesso, da questo tavolino, con una pinta brillante in mano, non era stato altro che un furto. Di energie, di speranze, di sogni. Nel momento presente le cose fluivano, non c’erano desideri nel suo cuore, le cose apparivano e svanivano, luce e buio e noi nel mezzo, a ripetere, ogni volta, tutto da capo.  

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...