Joel
era tornato da Roma, per una pausa di alcuni giorni prima di partire per
l’Australia. Stava lavorando come tecnico delle luci per il tour degli Xx e mi
aveva detto che aveva trovato della buona coca in città. Lui e gli altri
avevano dormito allo Sheraton Hotel, poi mi aveva mostrato alcune foto dei Fori
Imperiali e del Colosseo, come se non li conoscessi abbastanza. Avevo visto
quei luoghi centinaia di volte durante la mia vita e adesso mi sembravano
remoti e lontani, cartoline mnemoniche spedite da qualche sconosciuto, da un
agente segreto travestito da turista giapponese in cerca di informazioni sul
mio passato, fra le statue di bronzo che salutavano i passanti e le
allucinazioni circensi di spettacoli brutali, pieni di sangue e violenza. Non
me ne fregava granché di vedere quelle foto, come non me ne fregava un cazzo di
stare a parlare con Joel. Era seduto vicino a me e stavo bevendo velocemente
una birra e così qualche parola mi è uscita per caso fuori dalla bocca. Bea e
Rhya erano davanti a noi e discutevano di qualcosa, era quasi sera e mi sentivo
abbastanza ubriaco. Joel si muoveva a scatti, come se non riuscisse a fermare
la propria energia o forse doveva sborrare e sarebbe stato meglio se si fosse
andato a fare una sega nel cesso del King invece di muovere costantemente la
sua gamba facendo vibrare la panca e il tavolo dove eravamo seduti. Mi sono
alzato e sono andato a prendere da bere, non mi ricordavo se era il mio turno o
meno, in realtà mi stavo scordando di un sacco di cose, credo fosse a causa
delle droghe e in parte questo modo in cui la mia memoria stava svanendo non mi
dispiaceva affatto. C’erano i miei scritti a testimoniare quanto era accaduto
negli anni, ma li tenevo da una parte, in un luogo sicuro. Prima di arrivare al
bancone sono andato al cesso a farmi una pisciata, ho incrociato Ken mentre
usciva fuori dal bagno, ci siamo scambiati un sorriso. Non ci eravamo più visti
negli ultimi mesi e non avevo saputo più niente di Bryn Ryg, di Rebbecca e
Honour, eppure un periodo eravamo stati molto vicini ed era stato anche bello,
a suo modo, ero sorpreso da come il mio cuore avesse smesso di attaccarsi alle
persone e alle cose, del modo ormai naturale in cui ero in grado di spostarmi da
una situazione a un’altra senza sofferenze, stavo imparando a seguire il flusso
della vita senza oppormi a esso. Mi sono sgrullato il cazzo e tastato le palle,
erano gonfie e mi sentivo un po’ eccitato. Sono arrivato davanti al bancone e
c’era una ragazza seduta su uno sgabello, aveva i piedi nudi, ho ordinato da
bere e ci ho dato una sbirciatina dall’alto. Niente da fare, le mie fantasie
rimanevano quelle di sempre. Poi sono tornato di fuori, mi sono seduto di nuovo
vicino a Joel, siamo rimasti in silenzio. Bea e Rhya si erano alzate e ora
stavano parlando con alcuni dei loro amici. Ho guardato il cielo, poi il culo
di Rhya. Era tondo e invitante come quello della madre.
martedì 27 marzo 2018
sabato 24 marzo 2018
Llanidloes #10
T.
stava scopando con Ken o almeno questa era la voce che girava, l’avevamo
incontrata, io e Bea, mentre era seduta su un lettino medico, il piede destro
scoperto e un tatuatore che ci stava lavorando sopra, T. stava bevendo una
birra e ci siamo scambiati uno sguardo di intesa. Sul palco poco distante un
uomo si era bendato gli occhi, aveva acceso una sega elettrica e con essa aveva
tagliato uno spicchio dalla mela che teneva in bocca, la convention di tatuaggi
sembrava andare bene, un raduno per freak e fanatici dell’inchiostro e del
dolore, avevo guardato alcuni disegni, non mi sembravano granché, intanto Bea
mi aveva portato una birra e poi era tornata da T, io mi sono fatto un giro e
poi sono uscito fuori, era una bella giornata, il sole era alto e mi sono steso
sotto un albero, Bea mi ha raggiunto e si è sdraiata vicino a me.
Poi
siamo andati al King e abbiamo preso una Wolf Rock, ci siamo seduti nel beer garden e nella luce ancora intensa
del giorno, è arrivato Dave e si è messo accanto a noi, ha chiesto l’ora a Bea
e ha detto che aveva dieci minuti per finire la sua pinta, andare dal takeaway
cinese, mangiare, raggiungere l’Old Mill, aprire e iniziare il suo turno. Si è
acceso una sigaretta ed è rimasto in silenzio. Poi Bea gli ha chiesto perché
portasse le sue galosce in una giornata come questa, lui ha risposto che erano
le uniche scarpe che aveva e che nell’ultima settimana aveva dovuto scegliere
se comprane un paio di nuove o usare quei soldi per le droghe, la scelta non
doveva essere stata molto difficile. Dave ha chiesto di nuovo l’ora a Bea, gli
rimanevano poco più di cinque minuti, ha scolato la birra, si è rollato
un’altra sigaretta e ci ha salutato.
Siamo
andati a mangiare a casa e poi siamo usciti per bere qualcosa all’Old Mill, la
situazione era tranquilla, Dave era dietro il bancone a bere la sua pinta, ho chiesto
un sidro e mi sono seduto su uno sgabello, sono arrivate delle persone e hanno
iniziato a suonare, c’erano anche Robyn con il suo tamburo e Alyson con il violino.
Eravamo stati nella tenda mongola di Robyn, la sera prima, a chiacchierare e
fumare hashish, lui indossava una vestaglia da donna e ci raccontava dei suoi
figli e degli ultimi vestiti (sempre da donna) che aveva comprato, ogni tanto
la sua bocca scattava lateralmente, retaggio facciale dell’emmedi che aveva
preso durante una festa in costume la notte precedente.
Dave
ha fatto un pezzo con la chitarra e non era niente male, questo uomo ha dei
segreti, pensavo ed è dannatamente intelligente, cosa ci sta a fare qui, a bere
più birra di quanta ne dovrebbe servire, gli occhi acuti, il volto definito da
linee dritte e precise, aveva il suo fascino, perché era qui? Quale era la sua
storia? Lo scrittore continuava a prendere appunti, ogni tanto Alyson lo
guardava, lanciando messaggi con i suoi occhi, lui la osservava, cercando di
decifrare quegli sguardi, i significati sembravano ben chiari, il desiderio è
un linguaggio universale.
T.
era entrata e uscita velocemente, portandosi via due bottiglie di rosso, le
voci continuavano a girare, Dave si era spillato un’altra birra, io e Bea
abbiamo finito le nostre e ce ne siamo andati a dormire, la musica si era persa
chissà dove e quelli che continuavano a suonare seguivano solo note che nessuno
aveva più voglia di ascoltare.
mercoledì 21 marzo 2018
Cymru #23
I
ricordi che l’estate portava con sé ed erano i colori, gli odori e i suoni a
rivelarli. Nella mente dello scrittore c’erano percezioni fluide come i respiri
che il giorno offriva ai suoi amanti, c’erano i sensi che coglievano
ininterrottamente i segreti che la realtà svelava e il vecchio Monet, seduto
davanti a un canale, con la sua tela e i pennelli, a dipingere quadri fra i
riflessi tremolanti delle ninfee sulla superficie dell’acqua e i loro fiori
pronti a sbocciare.
Guardavamo
gli occhi delle giovani ragazze, anche loro pronte a dischiudersi, lasciavamo
intatti i nostri momenti di gioia e spargevamo sui pavimenti i frammenti della
paura, come pezzi taglienti di bicchieri mandati in frantumi durante sbornie
notturne in cui erano i sentimenti a parlare e discutere, senza controllo,
senza freni emotivi che li trattenessero, senza inibizioni e incertezze a
ingabbiarli. C’erano stanze che la notte costruiva nel vuoto dei sogni e così
tanti incontri e dialoghi e immagini fotografiche che qualcuno aveva scattato a
nostra insaputa. Camminavo nudo in un bosco, inseguito da pensieri e
ossessioni, un corpo osceno che si nascondeva tra gli alberi, fra sussurri,
fruscii e carezze di luce. Un uomo parlava di pace dal suo divano bianco, la
felicità senza motivo di un bambino. Tutti i momenti che non sarebbero più
esistiti, perché sarebbero finiti i musei del passato da distruggere, sala dopo
sala, gli occhi indemoniati della nostra personalità, chi eravamo? Chi avevamo
creduto di essere? Uno specchio che non raccontasse più bugie, ogni storia che
abbiamo inventato solo perché la verità fosse un’altra, ci abbandonavamo su
lenzuola di oppiacei perché non ci fossero risvegli alcolici ad attenderci, lo
sentivi ancora il bisbigliare dei muri, poi il suono muto di un’idea, gli anni
in cui da solo hai affrontato le finestre di metropoli che si dissolvevano
sotto la pioggia, le piramidi di vetro, le divinità sacrificate nelle vene del
nulla.
domenica 18 marzo 2018
Llanidloes #9
C’erano
sequenze che lo scrittore dimenticava, specialmente la mattina, dopo il
risveglio, fra le bianche onde mentali e il rumore d’aria delle macchine, poi
le parole lo aiutavano a ricomporre le scene di cui era stato spettatore
durante la notte, dalla sua piccola bolla privata, seduto in un angolo, in
silenzio per la maggior parte del tempo, con un bicchiere di vino rosso in mano
e la piccola pipa da hashish appoggiata sul tavolinetto di legno basso.
C’erano
stati dialoghi e drammi alcolici tra Daddy G e Kirsty e i due si accusavano a
vicenda di possibili tradimenti e inesistenti scopate, Daddy G stringeva la sua
lattina di birra fra le dita fino a stritolarla mentre si lanciava in una serie
di funambolismi lessicali, per poi fermarsi un attimo, aprire il portafoglio,
tirare fuori una bustina di coca, preparare qualche riga, arrotolare una
banconota, tirare, rimettere tutto dentro, riordinare per quanto possibile i
pensieri e partire di nuovo alla carica, Kirsty afferrava e rilanciava le
parole che le arrivavano addosso, trasformandole in uno schiaffo verbale,
sapeva quali punti toccare e ci sapeva giocare molto bene, alcune volte era
venuta da me e Bea con un occhio nero, qualcosa la aveva colpita, molto
probabilmente un pugno, quasi sicuramente partito dalle dita chiuse di Daddy G.
Kirsty
era arrivata verso le cinque, con il suo portatile, si era rollata una
sigaretta di hashish e io avevo preparato da bere, tre gin tonic, per me, lei e
Bea. Poi li avevo portati nella stanza dove le due donne erano sedute e stavano
chiacchierando, li avevo posati sul tavolo e mi ero sistemato sul divano.
Kirsty aveva questo nuovo lavoro come dominatrix on line e la cosa sembrava
piacerle, ci aveva mostrato un video di un suo cliente che si infilava un
cetriolo nel culo, non ero rimasto scioccato più di tanto, avevo visto cose ben
peggiori (o migliori) quando avevo lavorato come addetto al montaggio per la
BlackBombay di Birmingham. Comunque la sessione era andata a buon fine e il
cliente era rimasto soddisfatto, aveva usato del ketchup come lubrificante,
ispirato dall’imitazione del sangue mestruale femminile e si era divertito con
il suo cetriolo, mentre Kirsty lo umiliava verbalmente. Le ho chiesto se avesse
bisogno di storie e che ero interessato a scriverne alcune (avevo anche
lavorato come addetto alla sceneggiatura), lei mi ha risposto che se fossero
state buone avremmo potuto dividere gli introiti al cinquanta e cinquanta.
In
un paio d’ore abbiamo finito la bottiglia di gin e poi siamo andati al
ristorante indiano per prendere un po’ di cibo take-away. Intanto Daddy G era
in qualche pub a sbronzarsi con Ken e aveva iniziato a tempestare Kirsty di
chiamate in preda a paranoie causate da chissà quale droga. Tornati a casa ci
siamo messi a mangiare e a bere qualche birra, ero alquanto ubriaco e divoravo
il cibo in preda ad una fame irrefrenabile, ingurgitando grandi cucchiaiate di
curry e buttando giù sorsate di stella artoise. Dopo un po’ ci hanno raggiunto
Pam e Carl, fuori era quasi notte, anche loro erano già notevolmente ebbri e
Carl ha iniziato un lungo monologo sulla necessità di un ultimo grande party a
Babylon e che tutti dovevamo essere presenti (e naturalmente assumere sostanze)
per celebrare un periodo che sembrava stesse per chiudersi in attesa che ne
iniziasse un altro non meglio definito. Carl era completamente preso da quello
che stava dicendo e gesticolava senza sosta e con un colpo della mano ha fatto
volare il suo bicchiere di vino sul tappeto, conferendo così nuove tonalità di
rosso a quelle leggermente sbiadite del tessuto, qualcuno è arrivato con del
sale (Pam?) che prontamente ha fatto cadere per tutta la stanza e non solo dove
era strettamente necessario, io osservavo senza proferire parola dal mio angolo,
il flusso dei dialoghi e delle azioni degli altri era così scorrevole e
perfetto che mi limitavo a lasciarmi trascinare senza interferire.
Ad un certo punto Pam si è alzata, ci ha
abbracciato e se ne è andata, dopo pochi secondi dalla porta sono entrati Daddy
G e Ken e si sono seduti al tavolo. Ken ha finito quello che restava del curry
e Daddy G ha subito cominciato a parlare con Kirsty, con Bea come giudice della
loro discussione. Continuavo a rimanere seduto per terra e le parole stavano
iniziando a sfuggire alla mia comprensione, non so per quale motivo Carl si è
tirato su dal divano e si è messo a discutere con Daddy G a proposito di
Kirsty, dicendo che era velenosa e che stava rovinando la loro amicizia, le
voci sono diventate più frenetiche e anche la velocità delle battute, poi Carl
in preda ad un attacco di rabbia ha preso il tavolo e l’ha scaraventato in
aria, fortunatamente non c’era più cibo sopra (Ken aveva ripulito tutto) ma un
paio di lattine erano ancora piene e così anche alle pareti della stanza sono
state aggiunte nuove sfumature giallastre e un tocco di schiumosa psichedelia.
Bea si è incazzata sul serio, ha preso Carl e l’ha sbattuto fuori di casa,
continuando a parlare in maniera furiosa con lui per strada. Ken si è venuto a
sdraiare sul tappeto vicino a me e in pochi minuti si è addormentato, Bea è
tornata, ha stappato un'altra lattina di birra e ha cominciato a chiacchierare
con Daddy G, Kirsty era seduta sul divano, dove prima era Carl, in silenzio,
gli occhi rossi e il computer acceso, forse in attesa di collegarsi con il suo
prossimo cliente.
La
porta si è aperta all’improvviso e Carl è entrato urlando, ha preso una sedia e
l’ha scaraventata sul pavimento, poi lui e Bea sono usciti di nuovo fuori, con
lei ancora più incazzata di prima. Al suo ritorno abbiamo fumato un paio di
canne e ci siamo rilassati, Ken aveva iniziato a russare, gli altri parlavano
di quanto era successo, erano quasi le due di notte e fuori dalle finestre le ombre degli
alberi ci guardavano stupite, frusciando sorridenti in lievi applausi
d’argento.
sabato 17 marzo 2018
dream #79
Sono nella casa di mia madre, è sera,
insieme a me ci sono Marina, Marta e Riccardo, stiamo parlando nella cucina e
io sto preparando la cena. Nella teglia che tiro fuori dal forno c’è una specie
di rotolo di pasta sfoglia, non molto grande e insufficiente per tutti e
quattro. Marta non sembra soddisfatta del risultato e la sua faccia è
contrariata, comincia a dirmi qualcosa di spiacevole, poi lei e Riccardo se ne
vanno. Marina rimane inaspettatamente con me. Chiacchieriamo per un po’, poi
vado nella mia camera a dormire. Sono nel letto e la sento entrare, dormi?
Sussurra piano, no, le dico io. Mi alzo e la seguo nel salotto, è caldo e la
finestra è aperta, lei rolla una canna e la fumiamo guardando di fuori. Le
accarezzo un braccio e forse la schiena e ci sono discorsi che un tempo abbiamo
fatto e che ora sono perduti nel buio della città e delle sue ombre. Non accade
nulla e il suo corpo è solo una dolce presenza accanto a me.
Ho visto nascere e morire i miei sentimenti
infinite volte, sono stato un assassino e un poeta, ora che la pioggia riga le
finestre della sala vuota in cui sto scrivendo nulla di tutto questo sembra
avere più importanza, ogni notte incontro una persona diversa per poi
dimenticarmene nei respiri del giorno, cammino piano sulla mia strada perché
non ho fretta di arrivare, perché nessun luogo della mia vita è mai realmente
esistito.
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