martedì 27 marzo 2018

Llanidloes #11


Joel era tornato da Roma, per una pausa di alcuni giorni prima di partire per l’Australia. Stava lavorando come tecnico delle luci per il tour degli Xx e mi aveva detto che aveva trovato della buona coca in città. Lui e gli altri avevano dormito allo Sheraton Hotel, poi mi aveva mostrato alcune foto dei Fori Imperiali e del Colosseo, come se non li conoscessi abbastanza. Avevo visto quei luoghi centinaia di volte durante la mia vita e adesso mi sembravano remoti e lontani, cartoline mnemoniche spedite da qualche sconosciuto, da un agente segreto travestito da turista giapponese in cerca di informazioni sul mio passato, fra le statue di bronzo che salutavano i passanti e le allucinazioni circensi di spettacoli brutali, pieni di sangue e violenza. Non me ne fregava granché di vedere quelle foto, come non me ne fregava un cazzo di stare a parlare con Joel. Era seduto vicino a me e stavo bevendo velocemente una birra e così qualche parola mi è uscita per caso fuori dalla bocca. Bea e Rhya erano davanti a noi e discutevano di qualcosa, era quasi sera e mi sentivo abbastanza ubriaco. Joel si muoveva a scatti, come se non riuscisse a fermare la propria energia o forse doveva sborrare e sarebbe stato meglio se si fosse andato a fare una sega nel cesso del King invece di muovere costantemente la sua gamba facendo vibrare la panca e il tavolo dove eravamo seduti. Mi sono alzato e sono andato a prendere da bere, non mi ricordavo se era il mio turno o meno, in realtà mi stavo scordando di un sacco di cose, credo fosse a causa delle droghe e in parte questo modo in cui la mia memoria stava svanendo non mi dispiaceva affatto. C’erano i miei scritti a testimoniare quanto era accaduto negli anni, ma li tenevo da una parte, in un luogo sicuro. Prima di arrivare al bancone sono andato al cesso a farmi una pisciata, ho incrociato Ken mentre usciva fuori dal bagno, ci siamo scambiati un sorriso. Non ci eravamo più visti negli ultimi mesi e non avevo saputo più niente di Bryn Ryg, di Rebbecca e Honour, eppure un periodo eravamo stati molto vicini ed era stato anche bello, a suo modo, ero sorpreso da come il mio cuore avesse smesso di attaccarsi alle persone e alle cose, del modo ormai naturale in cui ero in grado di spostarmi da una situazione a un’altra senza sofferenze, stavo imparando a seguire il flusso della vita senza oppormi a esso. Mi sono sgrullato il cazzo e tastato le palle, erano gonfie e mi sentivo un po’ eccitato. Sono arrivato davanti al bancone e c’era una ragazza seduta su uno sgabello, aveva i piedi nudi, ho ordinato da bere e ci ho dato una sbirciatina dall’alto. Niente da fare, le mie fantasie rimanevano quelle di sempre. Poi sono tornato di fuori, mi sono seduto di nuovo vicino a Joel, siamo rimasti in silenzio. Bea e Rhya si erano alzate e ora stavano parlando con alcuni dei loro amici. Ho guardato il cielo, poi il culo di Rhya. Era tondo e invitante come quello della madre.

sabato 24 marzo 2018

Llanidloes #10

T. stava scopando con Ken o almeno questa era la voce che girava, l’avevamo incontrata, io e Bea, mentre era seduta su un lettino medico, il piede destro scoperto e un tatuatore che ci stava lavorando sopra, T. stava bevendo una birra e ci siamo scambiati uno sguardo di intesa. Sul palco poco distante un uomo si era bendato gli occhi, aveva acceso una sega elettrica e con essa aveva tagliato uno spicchio dalla mela che teneva in bocca, la convention di tatuaggi sembrava andare bene, un raduno per freak e fanatici dell’inchiostro e del dolore, avevo guardato alcuni disegni, non mi sembravano granché, intanto Bea mi aveva portato una birra e poi era tornata da T, io mi sono fatto un giro e poi sono uscito fuori, era una bella giornata, il sole era alto e mi sono steso sotto un albero, Bea mi ha raggiunto e si è sdraiata vicino a me.
Poi siamo andati al King e abbiamo preso una Wolf Rock, ci siamo seduti nel beer garden e nella luce ancora intensa del giorno, è arrivato Dave e si è messo accanto a noi, ha chiesto l’ora a Bea e ha detto che aveva dieci minuti per finire la sua pinta, andare dal takeaway cinese, mangiare, raggiungere l’Old Mill, aprire e iniziare il suo turno. Si è acceso una sigaretta ed è rimasto in silenzio. Poi Bea gli ha chiesto perché portasse le sue galosce in una giornata come questa, lui ha risposto che erano le uniche scarpe che aveva e che nell’ultima settimana aveva dovuto scegliere se comprane un paio di nuove o usare quei soldi per le droghe, la scelta non doveva essere stata molto difficile. Dave ha chiesto di nuovo l’ora a Bea, gli rimanevano poco più di cinque minuti, ha scolato la birra, si è rollato un’altra sigaretta e ci ha salutato.
Siamo andati a mangiare a casa e poi siamo usciti per bere qualcosa all’Old Mill, la situazione era tranquilla, Dave era dietro il bancone a bere la sua pinta, ho chiesto un sidro e mi sono seduto su uno sgabello, sono arrivate delle persone e hanno iniziato a suonare, c’erano anche Robyn con il suo tamburo e Alyson con il violino. Eravamo stati nella tenda mongola di Robyn, la sera prima, a chiacchierare e fumare hashish, lui indossava una vestaglia da donna e ci raccontava dei suoi figli e degli ultimi vestiti (sempre da donna) che aveva comprato, ogni tanto la sua bocca scattava lateralmente, retaggio facciale dell’emmedi che aveva preso durante una festa in costume la notte precedente.
Dave ha fatto un pezzo con la chitarra e non era niente male, questo uomo ha dei segreti, pensavo ed è dannatamente intelligente, cosa ci sta a fare qui, a bere più birra di quanta ne dovrebbe servire, gli occhi acuti, il volto definito da linee dritte e precise, aveva il suo fascino, perché era qui? Quale era la sua storia? Lo scrittore continuava a prendere appunti, ogni tanto Alyson lo guardava, lanciando messaggi con i suoi occhi, lui la osservava, cercando di decifrare quegli sguardi, i significati sembravano ben chiari, il desiderio è un linguaggio universale.

T. era entrata e uscita velocemente, portandosi via due bottiglie di rosso, le voci continuavano a girare, Dave si era spillato un’altra birra, io e Bea abbiamo finito le nostre e ce ne siamo andati a dormire, la musica si era persa chissà dove e quelli che continuavano a suonare seguivano solo note che nessuno aveva più voglia di ascoltare.

mercoledì 21 marzo 2018

Cymru #23

I ricordi che l’estate portava con sé ed erano i colori, gli odori e i suoni a rivelarli. Nella mente dello scrittore c’erano percezioni fluide come i respiri che il giorno offriva ai suoi amanti, c’erano i sensi che coglievano ininterrottamente i segreti che la realtà svelava e il vecchio Monet, seduto davanti a un canale, con la sua tela e i pennelli, a dipingere quadri fra i riflessi tremolanti delle ninfee sulla superficie dell’acqua e i loro fiori pronti a sbocciare.

Guardavamo gli occhi delle giovani ragazze, anche loro pronte a dischiudersi, lasciavamo intatti i nostri momenti di gioia e spargevamo sui pavimenti i frammenti della paura, come pezzi taglienti di bicchieri mandati in frantumi durante sbornie notturne in cui erano i sentimenti a parlare e discutere, senza controllo, senza freni emotivi che li trattenessero, senza inibizioni e incertezze a ingabbiarli. C’erano stanze che la notte costruiva nel vuoto dei sogni e così tanti incontri e dialoghi e immagini fotografiche che qualcuno aveva scattato a nostra insaputa. Camminavo nudo in un bosco, inseguito da pensieri e ossessioni, un corpo osceno che si nascondeva tra gli alberi, fra sussurri, fruscii e carezze di luce. Un uomo parlava di pace dal suo divano bianco, la felicità senza motivo di un bambino. Tutti i momenti che non sarebbero più esistiti, perché sarebbero finiti i musei del passato da distruggere, sala dopo sala, gli occhi indemoniati della nostra personalità, chi eravamo? Chi avevamo creduto di essere? Uno specchio che non raccontasse più bugie, ogni storia che abbiamo inventato solo perché la verità fosse un’altra, ci abbandonavamo su lenzuola di oppiacei perché non ci fossero risvegli alcolici ad attenderci, lo sentivi ancora il bisbigliare dei muri, poi il suono muto di un’idea, gli anni in cui da solo hai affrontato le finestre di metropoli che si dissolvevano sotto la pioggia, le piramidi di vetro, le divinità sacrificate nelle vene del nulla.

domenica 18 marzo 2018

Llanidloes #9

C’erano sequenze che lo scrittore dimenticava, specialmente la mattina, dopo il risveglio, fra le bianche onde mentali e il rumore d’aria delle macchine, poi le parole lo aiutavano a ricomporre le scene di cui era stato spettatore durante la notte, dalla sua piccola bolla privata, seduto in un angolo, in silenzio per la maggior parte del tempo, con un bicchiere di vino rosso in mano e la piccola pipa da hashish appoggiata sul tavolinetto di legno basso.
C’erano stati dialoghi e drammi alcolici tra Daddy G e Kirsty e i due si accusavano a vicenda di possibili tradimenti e inesistenti scopate, Daddy G stringeva la sua lattina di birra fra le dita fino a stritolarla mentre si lanciava in una serie di funambolismi lessicali, per poi fermarsi un attimo, aprire il portafoglio, tirare fuori una bustina di coca, preparare qualche riga, arrotolare una banconota, tirare, rimettere tutto dentro, riordinare per quanto possibile i pensieri e partire di nuovo alla carica, Kirsty afferrava e rilanciava le parole che le arrivavano addosso, trasformandole in uno schiaffo verbale, sapeva quali punti toccare e ci sapeva giocare molto bene, alcune volte era venuta da me e Bea con un occhio nero, qualcosa la aveva colpita, molto probabilmente un pugno, quasi sicuramente partito dalle dita chiuse di Daddy G.
Kirsty era arrivata verso le cinque, con il suo portatile, si era rollata una sigaretta di hashish e io avevo preparato da bere, tre gin tonic, per me, lei e Bea. Poi li avevo portati nella stanza dove le due donne erano sedute e stavano chiacchierando, li avevo posati sul tavolo e mi ero sistemato sul divano. Kirsty aveva questo nuovo lavoro come dominatrix on line e la cosa sembrava piacerle, ci aveva mostrato un video di un suo cliente che si infilava un cetriolo nel culo, non ero rimasto scioccato più di tanto, avevo visto cose ben peggiori (o migliori) quando avevo lavorato come addetto al montaggio per la BlackBombay di Birmingham. Comunque la sessione era andata a buon fine e il cliente era rimasto soddisfatto, aveva usato del ketchup come lubrificante, ispirato dall’imitazione del sangue mestruale femminile e si era divertito con il suo cetriolo, mentre Kirsty lo umiliava verbalmente. Le ho chiesto se avesse bisogno di storie e che ero interessato a scriverne alcune (avevo anche lavorato come addetto alla sceneggiatura), lei mi ha risposto che se fossero state buone avremmo potuto dividere gli introiti al cinquanta e cinquanta.
In un paio d’ore abbiamo finito la bottiglia di gin e poi siamo andati al ristorante indiano per prendere un po’ di cibo take-away. Intanto Daddy G era in qualche pub a sbronzarsi con Ken e aveva iniziato a tempestare Kirsty di chiamate in preda a paranoie causate da chissà quale droga. Tornati a casa ci siamo messi a mangiare e a bere qualche birra, ero alquanto ubriaco e divoravo il cibo in preda ad una fame irrefrenabile, ingurgitando grandi cucchiaiate di curry e buttando giù sorsate di stella artoise. Dopo un po’ ci hanno raggiunto Pam e Carl, fuori era quasi notte, anche loro erano già notevolmente ebbri e Carl ha iniziato un lungo monologo sulla necessità di un ultimo grande party a Babylon e che tutti dovevamo essere presenti (e naturalmente assumere sostanze) per celebrare un periodo che sembrava stesse per chiudersi in attesa che ne iniziasse un altro non meglio definito. Carl era completamente preso da quello che stava dicendo e gesticolava senza sosta e con un colpo della mano ha fatto volare il suo bicchiere di vino sul tappeto, conferendo così nuove tonalità di rosso a quelle leggermente sbiadite del tessuto, qualcuno è arrivato con del sale (Pam?) che prontamente ha fatto cadere per tutta la stanza e non solo dove era strettamente necessario, io osservavo senza proferire parola dal mio angolo, il flusso dei dialoghi e delle azioni degli altri era così scorrevole e perfetto che mi limitavo a lasciarmi trascinare senza interferire.
 Ad un certo punto Pam si è alzata, ci ha abbracciato e se ne è andata, dopo pochi secondi dalla porta sono entrati Daddy G e Ken e si sono seduti al tavolo. Ken ha finito quello che restava del curry e Daddy G ha subito cominciato a parlare con Kirsty, con Bea come giudice della loro discussione. Continuavo a rimanere seduto per terra e le parole stavano iniziando a sfuggire alla mia comprensione, non so per quale motivo Carl si è tirato su dal divano e si è messo a discutere con Daddy G a proposito di Kirsty, dicendo che era velenosa e che stava rovinando la loro amicizia, le voci sono diventate più frenetiche e anche la velocità delle battute, poi Carl in preda ad un attacco di rabbia ha preso il tavolo e l’ha scaraventato in aria, fortunatamente non c’era più cibo sopra (Ken aveva ripulito tutto) ma un paio di lattine erano ancora piene e così anche alle pareti della stanza sono state aggiunte nuove sfumature giallastre e un tocco di schiumosa psichedelia. Bea si è incazzata sul serio, ha preso Carl e l’ha sbattuto fuori di casa, continuando a parlare in maniera furiosa con lui per strada. Ken si è venuto a sdraiare sul tappeto vicino a me e in pochi minuti si è addormentato, Bea è tornata, ha stappato un'altra lattina di birra e ha cominciato a chiacchierare con Daddy G, Kirsty era seduta sul divano, dove prima era Carl, in silenzio, gli occhi rossi e il computer acceso, forse in attesa di collegarsi con il suo prossimo cliente.
La porta si è aperta all’improvviso e Carl è entrato urlando, ha preso una sedia e l’ha scaraventata sul pavimento, poi lui e Bea sono usciti di nuovo fuori, con lei ancora più incazzata di prima. Al suo ritorno abbiamo fumato un paio di canne e ci siamo rilassati, Ken aveva iniziato a russare, gli altri parlavano di quanto era successo, erano quasi le due di notte e fuori dalle finestre le ombre degli alberi ci guardavano stupite, frusciando sorridenti in lievi applausi d’argento.


sabato 17 marzo 2018

dream #79

Sono nella casa di mia madre, è sera, insieme a me ci sono Marina, Marta e Riccardo, stiamo parlando nella cucina e io sto preparando la cena. Nella teglia che tiro fuori dal forno c’è una specie di rotolo di pasta sfoglia, non molto grande e insufficiente per tutti e quattro. Marta non sembra soddisfatta del risultato e la sua faccia è contrariata, comincia a dirmi qualcosa di spiacevole, poi lei e Riccardo se ne vanno. Marina rimane inaspettatamente con me. Chiacchieriamo per un po’, poi vado nella mia camera a dormire. Sono nel letto e la sento entrare, dormi? Sussurra piano, no, le dico io. Mi alzo e la seguo nel salotto, è caldo e la finestra è aperta, lei rolla una canna e la fumiamo guardando di fuori. Le accarezzo un braccio e forse la schiena e ci sono discorsi che un tempo abbiamo fatto e che ora sono perduti nel buio della città e delle sue ombre. Non accade nulla e il suo corpo è solo una dolce presenza accanto a me.


Ho visto nascere e morire i miei sentimenti infinite volte, sono stato un assassino e un poeta, ora che la pioggia riga le finestre della sala vuota in cui sto scrivendo nulla di tutto questo sembra avere più importanza, ogni notte incontro una persona diversa per poi dimenticarmene nei respiri del giorno, cammino piano sulla mia strada perché non ho fretta di arrivare, perché nessun luogo della mia vita è mai realmente esistito.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...