martedì 29 dicembre 2020

Orgiva #19

 Disinfestazioni mattutine nella piazza anche se non c’erano ratti a spargere in giro epidemie bubboniche ma solo sorci dalle fattezze umane che popolavano gli angoli delle strade, con la loro pestilenza morale, la dipendenza dall’eroina, i vestiti stracciati - Le storie da raccontare nel teatro delle crudeltà dei Mendicanti Mendaci - C’era oscurità sotto la superficie lucente delle cose, diceva lo scrittore a Samara in un giorno di inverno mai esistito, il buio dell’anima e dell’abisso, atti aberranti e innominabili, stermini interiori, genocidi della psiche e frammentazioni di identità riflesse in volti, corpi, fisionomie in continuo mutamento - L’acqua stagnante nella tazza di un cesso - I limiti geografici di un paese che non si potevano superare, confini che non erano mai esistiti se non come linee su una mappa che nessuna mano aveva tracciato, l’Alcalde parlava dal suo trono di stracci e polistirolo, leggendo una lista di ridicole proibizioni, per aumentare le preoccupazioni di uomini e donne rinchiusi negli abiti usati dei loro amori di cuoio e colpi di frusta su natiche nude - Eravamo una generazione di privilegiati (me compreso) senza la minima idea tangibile di cosa fosse la fame, la miseria, la paura, l’esilio, la prigionia, la morte, l’orrore di essere vivi in un mondo destinato alla rovina e alla propria distruzione - Facili itinerari mentali durante il giorno, senza sapere dove andare, brevi detour artistici come esplorazioni delle mie possibilità umane (non molte, a essere brutalmente sinceri), esercizi spirituali nel non possedere, nel non attaccarsi a nulla (nemmeno al cazzo, ghignava la mia ombra) - Essenziali azioni quotidiane quando c’era il sole e il cielo brillava - Fra il fare e il non fare avevo scelto la seconda oziosa via, portava al cuore senza bisogno di tunnel sotterranei e a ciò che esso custodiva, ai sogni e ai loro insegnamenti, strategie inconsce di guarigione emotiva (non ce l’avrei mai fatta a liberarmi dall’impulso di essere dominato dai tuoi piedi, dai tuoi stivali di pelle, di rimanere a cazzo duro davanti alla tua fica aperta mentre ti masturbi ridendo e ripetendomi che non posso scoparti) - Poi una mano sui coglioni e il bianco liquido che scintillava sulla punta purpurea del mio cazzo, ho sborrato in una calda e lucente estasi, scattando foto dei miei piaceri perduti e santificati nell’iconografia di un erotismo di peccati medievali, un attimo di quiete, un respiro profondo, il ritrovarsi all’improvviso  in un mondo che ci accoglie e confonde senza che neanche abbiamo compiuto il tentativo di esserne parte e comprenderlo.

martedì 15 dicembre 2020

Cigarrones #17

 Dame cinco duros - biascicava Paul, strisciando per terra, nell’etilica imitazione  di qualche pezzente alcolizzato che aveva visto mendicare a Granada nel periodo in cui aveva vissuto lì. Per un momento avevo quasi pensato che fosse uscito fuori di testa, dopo tutto l’alcol e le droghe dei giorni precedenti (era stato il suo compleanno) e Tim, Alfie e gli altri avevano organizzato un party, gli Absolute Pantz avevano suonato con Paul alla batteria e Andy con una parrucca rosa in testa e io con la videocamera in mano a riprenderli e un boccione di rosso poco distante per darmi la giusta misura di quello che stavo facendo. Durante una delle canzoni, credo fosse Run rabbit run, c’erano stati un paio di minuti di panico, con tutti che stavano scappando in ogni direzione possibile perché qualcuno aveva urlato che stava arrivando la guardia civil e invece non era vero un cazzo e il tipo che aveva gridato (probabilmente sotto gli effetti di qualche sostanza psichedelica) aveva scambiato i normali fari di una macchina per i lampeggianti della polizia, poi la musica era ricominciata, più assordante e folle di prima e io avevo smesso di riprendere e avevo continuato a bere e poi non ricordo bene cosa sia successo, c’era Uncle Eddie che distribuiva in giro pezzi della sua space cake e io ne ho mangiato uno e poi quando l’effetto è salito ho sentito le gambe farsi molli, di gomma e i pensieri svanire e diventare colori e non ho potuto fare altro che trascinarmi verso la tenda dove dormivo e perdere quei pochi sensi che mi rimanevano.

Il giorno dopo o quello dopo ancora avevo trovato Paul di nuovo ubriaco (o forse la sbronza non gli era mai passata), doveva essere mattina tardi e lui stava bevendo una birra, gli ho chiesto se ne avesse un’altra e lui ha indicato una borsa frigo vicino al divano viola, mi sono seduto, ci ho messo una mano dentro e ho pescato una lattina, l’ho stappata e ho dato un sorso. La cerveza era tiepida come piscio. Allora mi sono ricordato che avevo nascosto (previdentemente) una bottiglia di vodka dentro il bus con gli strumenti musicali di Tim, sono andato a prenderla e ho preparato un paio di vodka tonic (per fortuna c’erano ancora alcune bottigliette di schweppes in giro). Niente ghiaccio, ma l’essenziale ce l’avevamo.

Io e Paul abbiamo continuato a bere tutto il giorno, ogni tanto lui intonava una canzone e la sua voce era calda e impastata ma anche molto dolce, seguiva il flusso della propria ispirazione fino a quando non si è messo a interpretare il Mendicate di Granada e a farmi rimanere a bocca aperta, sorridendo, per la toccante sensibilità della sua performance.

Poi la sera è arrivata insieme ad altre persone, alcune di esse si sono messe a suonare, la musica vibrava nelle sfumature lisergiche del tramonto, una ragazza mi ha passato un quarto di acido, qualcosa di leggero, giusto per attraversare la notte e con essa ogni domani che non avrei mai vissuto se non nella mia immaginazione, perché è solo il presente il tempo dell’uomo, come qualcuno più saggio di me aveva scritto nei suoi diari di cangianti e sempre mutevoli illusioni.


domenica 6 dicembre 2020

dream #101

 Strani messaggi elettronici e inviti inaspettati e poi dei corridoi e una sala e uno spazio aperto, una piazza e un concerto, Matteo che appare all’improvviso e ci guardiamo e ci abbracciamo, senza dirci nulla e la morte di Keith Jarret e qualcuno si siede a un piano, apparso chissà come e si mette a suonare la prima parte del Koln Concert e mi siedo vicino a Susana per ascoltarlo, fra il pubblico, poi mi alzo infastidito da qualche cosa e vago per le antiche inquietudini del cuore - Aule vuote di una università, un appuntamento con Maria a cui non sarei mai arrivato in tempo - Torno da Susana ma il mio posto è ora occupato da un altro uomo, trovo una sedia libera accanto a un muro e mi metto lì e c’è un bambino vicino a me che mi tocca la gamba, allora mi alzo di nuovo e lo faccio sedere e rimango in piedi e il concerto finisce e cerco Susana con lo sguardo ma non la vedo più - C’è ancora Matteo nel mezzo di una strada, ci abbracciamo un’altra volta e sembra che le cose si siano aggiustate e riprovo una vecchia sensazione che avevo perduto e dimenticato - Cerco di chiamare Susana al telefono per dirle di raggiungerci ma lei è triste e mi dice che si sente sola, la comunicazione si interrompe o forse non è mai esistita - C’è sempre un attimo di tregua prima di ogni risveglio.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...