martedì 30 giugno 2020

beat #6 (1998)

Che io sia il padrone del mondo? Questo è un argomento sul quale potrei seriamente discutere per lunghe e interminabili pagine fitte di obese parole e grasse allegorie monastiche che sfidano la nostra capacità di percepire il pensato tradotto in lettere. O che io sia veramente libero, che possa amare o desiderare una donna o l’obbligo di dovere solamente sognare il tuo corpo sinuoso che striscia sulla mia pelle o le infinite parole che potrebbero sibilare con la leggerezza di un soffio sul mio viso o quanto ancora non conosco della vita o dell’ amore della voglia di trascinarsi nella tempesta o di lasciarsi andare, di scappare, di urlare verità dimenticate o proibite. E ora ascolto solamente e angelo della desolazione volo su questa terra e le miei ali rimangono sempre intrappolate dall’insensibilità dei miei Simili (ma chi è simile a me) o dalla malvagità delle parole, che non sono arbitrarie o oggettive, ma come liquidi assumono la forma della bocca dalla quale escono e possono colpire o sussurrarti negli occhi lente e millenarie immagini di assopite sculture che amandosi si intrecciano in marmoree configurazioni di orgasmi consumati sotto lo scalpello di qualche solitario scultore che come mi hanno insegnato vede la sua creatura nel blocco-bianco-dell’universo-immobile e con la ferocia di un primitivo toglie con la sua arma d’ amore le parti superflue e snellisce armoniosamente il suo figlio e dopo che avrà limato l’ultimo muscolo si chiederà affranto e disperato perché nessun Verbo esca dalla sua bocca troppo perfetta e capirà che dio non esiste o che forse la perfezione non è armoniosamente il suo figlio e dopo che avrà limato l’ultimo muscolo si chiederà affranto e disperato perché nessun Verbo esca dalla sua bocca troppo perfetta e capirà che dio non esiste o che forse la perfezione non è propria dell’ uomo o che egli stesso ha creato un dio, che come tutti gli dei è un Qualcosa di Immobile e Assente, ma il verbo è facoltà dell’Uomo, e il verbo fatto carne non è altro che la nostra condizione, il nostro stato di essere, il nostro intimo e inconfessabile bisogno di comunicare e di far uscire da noi quel mistero che portiamo dentro. 


lunedì 29 giugno 2020

beat #5 (1998)

Signore ho visto la capacità del Vuoto della reincarnazione - Se in ogni attimo da noi desiderato o semplicemente sperato si verificasse la Possibilità o l’atto della Volontà di trasformarci, nel dominio relativo alla nostra realtà-essenza astrale, nell’ essenza dell’altro Essere, noi potremmo vivere e sentire la sua incarnata dimensione vitale e quindi assistere alla Relativa-relatività-che-tutto-stravolge-negli-infiniti-piani-di-visione-o-punti-di-vista. Ma il segreto che mi è stato rivelato insegue queste chimere e quindi se io dovessi morire nella mia realtà esistenziale secondaria, quella dell’essere nella cui Essenza ho infuso la mia presenza astrale, la mia realtà esistenziale primaria, quella dell’essere corporeo vivente chiamato dal dio di tutte le acque Uomo, sarebbe immediatamente usurpata, vinta e dominata dall’Essenza dell’essere nel quale la mia presenza astrale è rimasta intrappolata per l’eternità dorata, che ovunque torna, seguendo le tracce del cerchio e ruotando vorticosamente intorno e sempre più lontano dal centro -  quali pensieri raggiungono la mia mente a farmi dimenticare l’eternità dorata che secondo alcuni saggi cinesi dell’Età aristotelica, quando gli uomini raccontavano ancora la notte ai loro figli lungo i sentieri cosparsi di fuochi - le parole e la morte del vecchio Socrate - é il motore primo, la causa sui del divino, dell’Ente-che-vuol-significare-tutti-gli-Enti, o Singolo, il monolite nero di 2001 che rimane impassibile davanti alle urla e alle preghiere dell’uomo-scimmia dell’età preistorica, quando le armi dei nostri padri erano ossa di altri padri e tra fratricidi e sangue grondante dalle grate delle lacrime noi figli orfani di nobiltà nascevamo e sanguinavano subito le nostre mani nell’ afferrare il Coltello Tagliente che tagliando il nostro cordone ci ha separato irreparabilmente dal nostro amniotico oceano di paradisiaca vita-non-vita nella quale galleggiare in quello che fuori dai limiti del viaggio che ci porta verso la luce (la vita...) chiameremo solamente un mare di noia. 


sabato 27 giugno 2020

beat #4 (1998)

C’è una strana foschia nell’aria o forse sono solo i miei occhi che non vedono più bene come una volta e in questo paragrafo la mia scrittura si fa lenta, riflessiva, lasciando temporaneamente da parte le scattanti-frasi-bop-kerouachiane. Ho bisogno di riflessione, di pesare le singole parole e il singolo significato. Il sole è gonfio e sta calando verso l’orizzonte, come la mia pancia, con il vino non ancora digerito, che sta cadendo verso la terra, una cometa di carne viva e febbrile, di fremente e simbolica voglia di vivere. E precipitano i miei occhi sull’asfalto e ho iniziato a scrivere queste pagine pensando di narrare le mie vacanze estive in un epico-non-epico affresco beat, ma i nomi dei luoghi che ho visitato, delle strade sulle quali io e le mie amiche abbiamo corso, delle poche persone con cui ho parlato non hanno la forza o la disperazione dell’angelo desolato Jack e della sua ghenga e via di nuovo a sognare un’America infranta dai sogni di libertà di poche centinaia di uomini, quasi tutti morti o condotti in manicomio o assiderati sulle rotaie alla ricerca di feste messicane dove ballare e ubriacarsi e migliaia di discorsi senza un Apparente Senso e le mujeres che ci offrono la loro pelle, magiche danzatrici, le loro linee flessuose che si sciolgono fra le tue labbra, il sudore che cola e si mischia al sapore e al profumo atavico del sesso e via di nuovo a ballare sulle spiagge, tutti quanti nudi, a-fumare-erba-santa, a sentire il Vuoto e il Tutto mischiarsi, la magnificenza del corpo elettrico, il caldo contatto dell’acqua, le fantastiche visioni di uomini e donne nelle primitive copulazioni dorate nell’unione dell’Essenza stessa.


venerdì 26 giugno 2020

Cigarrones #9

E poi, in qualche misteriosa maniera accade. E ti lasci alle spalle la musica e gli alcolici, le droghe e le schiene scintillanti di giovani ragazze sorridenti, non che abbia importanza, non che ne abbia mai avuta. E diminuiscono gli abbracci, si dissolvono gli sguardi e più di ogni altra cosa lasci svanire i pensieri e le parole, quelle degli altri, quelle che riecheggiano nella mente durante la notte, inutili sillabe, annose e irrisolte questioni amorose che, a dirla tutta, ne hai avute le palle piene di ascoltare e ascoltare e ascoltare ancora - guardi con ambizione lo zaino posato nella tenda e sai che le vene e il cuore e la pelle ti stanno dicendo di andartene, di cambiare scenario, volti&dialoghi, di rimontare le sequenze girate seguendo le tue anarchiche intuizioni - c’era un’anima costantemente denudata e portata alla luce nelle immagini che continuavi a catturare, i ricordi li guardavi sfumare negli ebbri tramonti di giornate di vino e gloria e le canzoni di Paul, i suoi discorsi e ogni progetto che non sarebbe mai stato realizzato perché l’obiettivo era distruggere il presente in una lunga, penetrante e sarcastica risata più che riempirlo di serie ininterrotte di stronzate ambulanti, come facevano gli altri, le vedevi le testevuote vagare nei loro sogni allucinogenici, ognuna di loro si era creata una propria realtà a forma di trappola che cercava di mostrare agli altri nella speranza di una Visione Comune che non sarebbe mai arrivata - c’erano solo rovine nelle profondità di queste animemorte e bagliori lontani di speranze perdute - Glenn si era inginocchiato davanti a me, in una notturna e psicotica scena evangelica, io redentore ubriacone, lui peccatore lisergico, qualcuno avrebbe dovuto filmarci, forse un regista tossicomane, un povero e strampalato commentatore di nubi, figure mistiche nel cielo, disordini comportamentali e dipendenze - fottute dipendenze ovunque.

Un occhio scientifico sull’inferno travestito da paradiso, trucchi e illusioni, ci pensava la chimica a fregarci, i coglioni me li tenevo al sicuro nelle mutande che avevo smesso di portare, un sorriso alla luna, una fuga imminente, questioni di giorni - sussurrava un uomo chino sui disastri della propria esistenza.


giovedì 18 giugno 2020

freewheelin #52

Sogni oscuri, di caverne e bambini perduti, di volti preoccupati e in lutto, lente sfumature nere che colano da sotto gli occhi, prima che le lacrime trasformino la vista in un prisma di colori primitivi, tele attaccate alle pareti mobili di bar polverosi e fatiscenti, gli stanchi accordi sulla tastiera di una chitarra sformata dal caldo, un uomo seduto a un tavolino, il quaderno e la penna, gli appunti appesi dei suoi viaggi mentali, gli unici ancora possibili da compiere, le piccole pasticche, le rosse, le fiale, i funghi essiccati, i racconti che le memorie trasformavano in atti di resa&rivolta, i manifesti anarchici arrotolati da mani frenetiche, sporche di terra&sangue, i canti popolari che riecheggiano fra i fantasmi di combattenti in fuga verso libertà svanite, collettivizzazioni psichiche, campi spirituali da arare con i cazzi duri di muli arrapati, embrioni, feti, verruche, uteri teatrali in cui mettere in scena il ciclo della vita e il suo inevitabile fallimento, mestruazioni, il seme dell’uomo, i deliri virali che stavano trasformando il mondo in uno specchio agonizzante di ansie e paure costanti, strade vuote, barricate innalzate dalle polizie batteriche - fermeremo anche questa invasione polmonare, respireremo ancora merda&gas di scarico - urlavano dai balconi i piccoli dittatori delle quattro mura ghignanti, ghigliottine lasciate lubrificate sui marciapiedi del consumismo, lama tagliente disse sorridendo il giovane attore berbero, passando un dito sul proprio sorriso affilato, file di denti in mostra nella pantomima di un ghigno plastificato - sganciate più napalm su quelle maledette scimmie gialle - gridavano i vecchi generali in preda a crisi allucinatorie indotte da aberrazioni prostatiche - pisceremo nei loro culi stretti - suggeriva sbavando un comandante di plotone mentre un filo di una sostanza lattiginosa colava dalla punta del suo pene raggrinzito - lascia scorrere le immagini di queste donne invitanti, i loro denti e le loro parole, l’amore è nella luce degli occhi e quello che mostra non ha bisogno di abbracci per essere espresso e compreso, la pelle è per i sensi un impero che nessuno ha il diritto di costruire, ci penserà il tuo cuore a distruggere ogni cosa, quelle che alcuni chiamano macerie non sono altro che i resti di una festa di troie in maschera non ancora conclusa.


mercoledì 17 giugno 2020

Cigarrones #8

Qualcuno sorrideva in un angolo della mia mente ed eri tu in un giorno di primavera o forse Lorenzo nei sogni della nostra adolescenza e poi le pareti della stanza sono diventate quelle di una reggia, colme di gioielli e riflessi e pietre preziose e il mio corpo era in completa metamorfosi kafkiana, con immagini oscillanti nello specchio, quelle di un doppio estatico, un satiro nel pieno della sua gloria terrena e non solo, l’apoteosi di una tragedia greca recitata in giardini di amplessi primordiali, superfici mobili, frattali, composizioni geometriche nella penombra delle candele, sottomarini psichici che scandagliavano gli abissi di una libido alterata - la notte, fuori, sembrava muoversi in coreografie aliene, presenze oscure, sfumature marine ed esaltazione panica, i brividi lasciati dalla liquida consapevolezza di non appartenere più a me stesso - gli strani nomi che diamo alle cose senza neanche sapere dove sia il confine tra materia e immaginazione, il vento nelle vene, i bisogni formicolanti di un insetto eccitato, le mani che risalivano la mia pelle come fossero le estremità di un’amante in completa beatitudine erotica - mancavi tu in questo scenario di sincopati desideri masochistici, protuberanze falliche in pantomime di gloriosi feticismi danzanti, le impronte dei tuoi piedi che diventavano le orme di un destino ancora non scritto, le amplificazioni grottesche di maschere primitive in atti di masturbazione forzata e delirante, il regno dei cieli ci aspettava a cosce aperte, avremmo disperso il nostro seme fra le rovine di questo osceno teatro di bramosa&carnivora fame, gli occhi squamosi, bagliori di rettili nascosti sotto le epidermidi tatuate nelle prigioni di bisogni&astinenze - le nubi che circondavano la Montagna Sacra, la posizione del loto in cui sedevano gli sciamani delle rocce viventi, domande dimenticate, risposte infrante, un altro giorno a sfiorare la notte, come le mie dita sulle linee in continua mutazione del tuo viso, paesaggi lontani, la luce che trafigge le nubi, i silenzi che ho amato più di ogni altro suono, quelli della mia anima, quelli che ti spiegheranno ogni singolo atomo del mio essere, quando le parole svaniranno in colori e la musica che vedrai nascere dal tuo ventre sarà  quella dei battiti di un dono vibrante di ridenti pulsazioni future.

martedì 16 giugno 2020

Cigarrones #7

Tre uomini vennero da Nord, risalendo il corso del fiume e del tempo a piedi. Scarpe sfondate, sformate dai chilometri percorsi e dal caldo, i vestiti ridotti a stracci arlecchineschi e Alfie, giovane nobile di una antica famiglia decaduta, con il suo borsello di pelle conciata, pieno di sezioni a forma di stella di San Pedro essiccato, il potere della messalina era arcaico come i misteri e i segreti della terra stessa e poi scie di polvere dove le macchine passavano, in percorsi di esistenze deviate lungo i sentieri sconosciuti di sostanze proibite, stipate in scompartimenti segreti di bus e furgoni, abbandonati e ormai arrugginiti e Vittorio scaldava con la sua fiamma ossidrica un bong di metallo e ferro, poi raschiava da un foglio di carta da forno olio di canapa e ce lo faceva fumare a turno, fino a quando ognuno di noi fosse passato dall’altra parte (Nagual), quella dove si trovava lui e la sua vita fatta di echi di storie di banditi&briganti, gli stessi anarchici che si erano rifugiati fra queste montagne per scappare dalle mani tese di statue di fascismi di pietra e dittatori dalle sembianze di burattini arrapati e Paul sorseggiava whisky su una poltrona senza un bracciolo, la luce che si rispecchiava nei suoi occhiali, il riflesso leggermente distorto della mia immagine nelle sue lenti, le mie mani che iniziavano a sudare e un senso di incredibile leggerezza e poi un missile nel cervello è partito e mi ha portato con lui nel cosmo di una mente ormai aperta, pensieri fluidi senza detriti, colori intensi e pulsanti, ad occhi aperti/ad occhi chiusi, momenti di introspezione e solitudine, il volto ridente e splendente di Eddie in un film psichedelico sugli anni settanta, risalendo la costa della California (I got Sunshine in my head), in una caledoscopica risata marina e poi la nebbia e le nuvole basse a creare scenari zen e nipponici nelle insenature di Big Sur o fra le linee ondulate del paesaggio che mi circondava (Las Alpujarras) - Tomoko preparava tè verde mentre ero seduto nella posizione del loto, respirando e osservando Sebastian pitturare quello stesso blu sfumato di bianco e grigio che riluceva nei suoi occhi, quella malinconia che arrivava insieme alle lunghe onde che separavano Gibilterra da Tangeri e che poi si spingevano fino al cielo, che ci ricopriva con i suoi racconti di monaci silenziosi in attesa del Vuoto che tutto avvolgeva, il diamante del Sutra che rimandava la realtà scomposta in sezioni di azzurra femminile consapevolezza - sarete madri un giorno e avrete quello che ogni donna desidera, ma non sarò io a lasciare crescere i miei figli nei vostri ventri accoglienti - le notti a fumare hashish e bere vino bianco nel caravan di Adrian, le sue storie di droghe e anni perduti e un presente che si tramutava in cenere, canna dopo canna - guardavo le pareti interne di una cabana di legno muoversi e oscillare in maniera sublime e divina, creando disegni e intrecci visivi da contemplare in estatica immobilità, l’acido creava albe di ironia e risate sotto le mie palpebre, poi donava danzanti composizioni pulsanti al mio sguardo - un orgasmo liberatorio fra le fauci di una notte insonne, la pioggia che cade, i ricordi di Bryn y Blodau - continua ad andare avanti fratello mio, disse Marcus accovacciandosi sui talloni e osservando i resti di un fuoco quasi morto, raggiungi te stesso dovunque si trovi - Io sarò lì e lui saprà in un attimo come trovarmi.


venerdì 12 giugno 2020

dream #98

Sono nella casa dei miei nonni ad Aphex, nella stanza in cui ero solito dormire, Alessia è insieme a me e siamo impegnati a giocare nei nostri rispettivi ruoli - lei mi lega al letto, con delle corde elastiche ai suoi lati, la lascio fare, poi prende un barattolo, lo apre e uno strano insetto ne esce fuori, mi spavento e con un movimento veloce mi libero dalle corde e mi incazzo con lei per questo scherzo - anche se non so se è uno scherzo ma solo un’altra sadica tortura - lei sta preparando la sua roba e sembra che se ne stia andando, arrivano due persone in cerca di una stanza - quale? Domanda la mia mente, quella all’interno del tuo cervello, un’infinità di porte e corridoi e perimetri in cui nessuno dovrebbe lasciarti entrare o fuggire. 

mercoledì 10 giugno 2020

Cigarrones #6

Marta ballava ad occhi chiusi, fluidi movimenti arabi di gambe e braccia e piedi nudi, Vanessa parlava con qualcuno, il bicchiere in mano, gli occhi che brillavano di una luce vitale, Pauline era seduta sul pavimento, ascoltando la musica, le chitarre che intrecciavano melodie andaluse e gitane, i colpi sul tamburo e nel cuore e il fluire delle note e delle stelle, dell’universo ignoto che racchiude tutti noi, gli sguardi scambiati con Hannah, le avevo detto che avremmo potuto comunicare così, senza parlare, solo perdendoci l’uno nelle iridi dell’altra e una donna sconosciuta che aveva raccontato storie su consunti tappeti orientali, i ricordi del padre ormai morto e una pace interiore nel trasformarli in una sequenza di immagini mentali, mentre la ascoltavo e pensavo al mio, di padre e anche a quanto sarebbe stato bello avere avuto una figlia da amare e veder crescere e fiorire e poi volti e corpi e il continuo sovrapporsi di sogni e momenti in cui credevo di essere sveglio in un mondo di illusioni, dinamiche notturne di visioni oniriche in sequenze filmiche montate dal subconscio - avevo parlato con Paul dell’idea di girare un documentario su Cigarrones e sulle persone che, in un modo o nell’altro, vi si erano ritrovate a vivere e le cartoline dipinte da Sebastian, attaccate ad un pannello di legno, i suoi colori che riproducevano stati emotivi, onde e riflessi sull’acqua, la playa del opio, il mio doppio seduto nudo in una spiaggia vicino Tarifa, le coste del Marocco e poi Maeve che giocava con me e lo scrittore che finiva la sua ultima birra e si alzava per perdersi nel buio - ci sono ancora i miei luoghi oscuri in cui finisco per vagare, perché? Chiedeva una donna dagli occhi di giada - perché è solo dentro me stesso che posso soffrire e gioire per la vita che arriva, unica e splendente e che in ogni respiro, indomita e sinuosa, si allontana da me.

domenica 7 giugno 2020

...

"In the evening he saddled his horse and rode out west from the house. The wind was much abated and it was very cold and the sun sat blood red and elliptic under the reefs of bloodied cloud before him. He rode where he would always choose to ride, out where the western fork of the old Comanche road coming down out of the Kiowa country to the north passed trough the westernmost section of the ranch and you could see the faint trace of it bearing south over the low prairie that lay between the north and middle forks of the Concho River. At the hour he’d always choose when the shadows were long and the ancient road was shaped before him in the rose and canted light like a dream of the past where the painted ponies and the riders of that lost nation came down out of the north with their faces chalked and their long hair plaited and each armed for war which was their life and the women and children and women with children at their breasts all of them pledged in blood and redeemable in blood only. When the wind was in the north you could hear them, the horses and the breath of the horses and the horses’ hooves that were shod in rawhide and the rattle of lances and the constant drag of the travois poles in the sand like the passing of some enormous serpent and the young boys naked on wild horses jaunty as circus riders and hazing wild horses before them and the dogs trotting with their tongues all and foot-slaves following half naked and sorely burdened and above all the low chant of their traveling song which the riders sang as they rode, nation and ghost of nation passing in a soft chorale across the mineral waste to darkness bearing lost to all history and all remembrance like a grail the sum of their secular an transitory and violent lives."

cormac mccarthy
all the pretty horses

mercoledì 3 giugno 2020

dream #97

Sono su una lambretta, per le strade di una città, ho lasciato un albergo o forse un campeggio, dove sono rimasti Samara e i suoi figli e ci sono vie sconosciute che attraverso e a un semaforo un uomo su un cavallo mi si avvicina e iniziamo a parlare in inglese, poi arriva una macchina e ci si ferma accanto e alcuni ragazzi ci fanno delle domande, poi uno di loro cerca di raccogliere dei grappoli di uva da una vite che improvvisamente appare sopra di noi, gli dico di lasciare perdere, di non mangiarla - poi scenari desertici e solitari e ancora asfalto e cemento e macchine e marciapiedi e direzioni che mi attraggono senza che ne sappia il motivo e poi c’è Ian, dietro di me, sempre sulla lambretta e parliamo di Samara e gli confesso tutte le cose che mi hanno ferito del suo comportamento e che lei non è una vera insegnante e che forse è meglio se non la veda mai più, ora che se ne è andata - un attimo di silenzio, poi aggiungo, mentre scivoliamo verso il nulla coperto di lamponi e luci arancioni, che lei è ancora nel mio cuore, nelle sue profondità - la raggiungerò lì, alla fine di questo viaggio, di misteri sognanti e oscure fughe nelle albe dei giorni a venire.

martedì 2 giugno 2020

Cigarrones #5

La prima luce filtrava dai buchi nei teli che ricoprivano la yurt, poi cominciavano i richiami degli uccelli fra gli alberi, un nuovo giorno era arrivato e con esso i respiri profondi nel petto e i frammenti dei sogni fra le ciglia e i ricordi, tanti, dell’infanzia, dei volti dei miei nonni, dei miei genitori, delle donne amate e perdute, i loro occhi, le loro parole che tornavano nella mente e nel cuore e la consapevolezza che la strada da compiere, quella che avevo davanti, era una via solitaria - avrei avuto altre compagne di viaggio ma nessuna di esse mi sarebbe rimasta accanto per il resto della mia vita.
C’erano faccende da compiere in cucina e poi il cibo da preparare, facevo tutto con calma, mi osservavo intorno, la natura era una presenza misteriosa e accogliente, accettava senza giudizi le mie fantasie sessuali e c’erano le rocce, l’acqua, il sole e la luna, l’erba e le foglie come amanti inaspettate e sinuose, mi nascondevo fra di loro e lasciavo su di esse tutti i figli che non avrei mai avuto.
La luce accarezzava le cime delle montagne, svelando l’ultima neve che si stava sciogliendo, i fianchi della valle, le case e il fumo che saliva lento da punti solitari fra i campi - la primavera era già arrivata e con essa i fiori sugli alberi e gli odori di mandorle, arance e limoni, poi veniva Wibbs e ci facevamo quattro risate mentre mi raccontava parti della sua storia, mi faceva piacere la sua compagnia, la sua energia e lo ascoltavo in silenzio, come sempre, con poche domande, guardandolo negli occhi e in alcuni momenti sembrava felice e speravo fosse la mia presenza al suo fianco a farlo sentire così. Ogni tanto andavamo a Orgiva o al bar di Tablones e ci sbronzavamo insieme, bevendo birra e Soberano e alcune volte non ci ricordavamo neanche come eravamo tornati ai nostri rispettivi letti ma andava bene così, era un’ebbrezza gioiosa, maschile e condivisa e mi riportava indietro ai tempi della mia adolescenza e sapevo che quel ragazzo che era ancora dentro di me era stato davvero speciale e più prezioso della maggioranza delle persone che avevo incontrato durante la mia esistenza.

Poi mi stendevo fra gli abbracci del sole, i pensieri evaporavano, la pelle era calda e così mi sentivo protetto e al sicuro, la notte accendevo un fuoco e guardavo le stelle e le loro geometrie siderali, le architetture cosmiche che qualcuno aveva portato dal cielo alla terra e aveva trasformato in templi e cattedrali, mi muovevo a passo lento in questo spazio interiore e privato, con i miei libri, gli scritti, l’immaginazione al potere e la costante sensazione nell’anima di rimanere fedele a me stesso, in questa oasi di bagliori e scintille e quiete dorata in cui non ci sarà più differenza fra un primo vagito e un ultimo saluto, fra l’apparire alla vita e il fuggire via da essa.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...