venerdì 29 aprile 2016

hartoderherzlich #2


Lei torna verso di me, si ferma tra il mio corpo e lo specchio, mi guarda negli occhi, inizio a desiderarla, le sue mani si posano sul mio petto, il suo contatto è piacevole e accogliente. Le sue dita girano intorno ai miei capezzoli, sono molto sensibili, si induriscono, comincio ad avere un’erezione, l’energia fluisce libera, smetto di controllarla, le sue mani scendono sul mio ventre, il cazzo mi diventa duro, era così tanto tempo che non sentivo le mani di una donna sul mio corpo, lei mi guarda divertita, sorride e mi schiaffeggia il cazzo, mi sto eccitando sul serio, lei lo percepisce, si stacca, mi gira intorno, è dietro di me, mi accarezza la schiena, lunghi e intensi brividi lungo la colonna vertebrale, avvicina il suo corpo al mio, i piccoli seni che premono attraverso la sottile stoffa, brividi profondi, con calma mi ritorna davanti, il suo volto si avvicina, gli occhi diventano porte, mi lascia entrare dentro di lei, mi attrae, io la attraggo, il nostro contatto psichico ed emotivo diviene più intenso, le energie fluiscono, si mischiano, maschile e femminile, le nostre labbra sono così vicine, sento il suo odore, il suo profumo, sposto il viso verso il suo collo, respiro la sua fragranza, le do un leggero bacio, lei ha un brivido, si scosta, mi guarda, si siede su uno sgabello, accavalla le gambe, le osservo, non parliamo, non abbiamo bisogno di parlare, si toglie le scarpe con il tacco, le fa cadere sul pavimento, quel suono si espande nella mia mente, poi si sfila le calze, open your mouth, sussurra, me le mette in bocca, la sensazione del tessuto sulla lingua, con la punta del piede inizia a giocare con il mio cazzo duro, la sua pelle è morbida e soffice, cerco di rimanere fermo, di controllarmi, mi accarezza la base dei coglioni, sempre con la punta delle dita dei piedi, spingo il ventre in avanti, un movimento istintivo, lei ritira il piede, sta prendendo potere, mi osserva, la desidero, le guardo i piedi, mi eccitano, lei si alza, mi toglie la calza dalla bocca, sorride, le sue labbra di nuovo così vicine, il cazzo duro che spinge verso il suo ventre, struscia contro il suo vestito, adesso sono dentro i suoi occhi, intrappolato.

giovedì 28 aprile 2016

Berlin #18



Le colazioni che facevamo nelle piccole baracche, costruite lungo le rive fangose di un canale, le sedie, le panche, i tavolini, tutto di legno, qualcuno portava i propri figli, ancora piccoli e li lasciava ridere ed agitarsi, perché la vita era presente, nel sangue e nei giochi e loro si muovevano tra gli adulti seduti, per finire intrappolati fra le braccia di quei genitori che volevano fermarli e i bambini strillavano di gioia ogni volta che riuscivano a liberarsi e il sole illuminava il loro volto e le piccole e lisce mani frenetiche, la luce arrivava obliqua e c’era polvere dietro e davanti le finestre e in ombra, sulla riva opposta, le assi e le tavole del club du visionaire, la musica che venivamo ad ascoltare, tutta la notte, quando riuscivi a trascinarmi fuori dalla stanza, sorridente, seguivo la tua pelle, il suo odore, ovunque mi portasse, quel sentirsi capiti, quel trovarsi al sicuro, quando c’erano le tue braccia a stringermi, i treni gialli della u-bahn che passavano sopra kottbusser tor, mentre eravamo dentro al monarch, bevendo birra e gin tonic, attendevo gli sguardi delle ragazze, i loro inviti che non arrivavano, perché non sapevo coglierli, ci sarebbero state altre possibilità o il mio tempo era passato? Bevevo asbach urbrand da una piccola bottiglietta nella sala d’attesa dell’aeroporto di tegen, gustandomi dei cioccolatini ripieni di marzapane, le cosce tornite di una ragazza che legge una rivista, seduta davanti a me, gli occhi che si incontrano veloci, le giovani labbra che fremono, forse desiderose di succhiare qualcosa – ho lasciato le chiavi dell’appartamento su un tavolino basso, nel corridoio, sotto uno specchio, la mia immagine riflessa era nitida e chiara, ci chiediamo sempre se abbiamo dimenticato qualcosa prima di chiudere una porta, poi scendiamo le scale, senza voltarci - odori familiari, ogni incontro è destinato a ripetersi.

mercoledì 27 aprile 2016

dream #24

Una ragazza bionda mi saluta, muovendo la mano, mentre mi sto avvicinando verso di lei, parliamo in inglese, siamo in un piccolo ufficio, poi mi metto in fila e aspetto il mio turno per sbrigare le pratiche di accoglienza – Sono nel terreno dietro la casa di mio nonno, ad Aphex e alcune persone stanno tagliando degli alberi, mi riempie il cuore di tristezza vedere il modo in cui segano i tronchi, vorrei intervenire ma rimango fermo ad osservare la scena – Cammino dentro una grande fabbrica, parlando con un collega, le fotografie scattate e messe in un album, ci sono io in costume da bagno, sul bordo di una piscina – Sono con Marco alla fermata di un autobus, vicino a dove abitavamo da ragazzi, mi dice di non prendere l’autobus che sta arrivando perché ci sono dei controllori, così andiamo a piedi alla fermata successiva, poi saliamo sul primo autobus che arriva, vado verso la macchinetta per fare i biglietti ma non funziona, davanti c’è uno strano uomo, con i vestiti sporchi, sorride in modo sospettoso – Fuori dalla stazione di una metropolitana c’è un uomo con un cane, il cane annusa le persone mentre gli camminano davanti, l’uomo lo tiene con un guinzaglio, quando gli passo vicino mi odora e poi si mette ad abbaiare, mi morde una mano, lasciando un piccolo buco, capisco che è un cane antidroga e l’uomo è un poliziotto in borghese – Sono in una grande stanza, piena di poliziotti che parlano, nessuno ha la divisa, sono seduto su un piccolo divano e non mi sento per niente a mio agio, arrivano delle persone che mi fanno delle domande, mi prendono il telefono, gli chiedo quando potrò andare via, perché sono in quella stanza, visto che non ho fatto niente e non avevo nessun tipo di droga con me, loro sono evasivi, non rispondono, una donna vuole farmi un prelievo, adesso nella stanza non c’è più nessuno, vago per dei corridoi – Il rumore di una macchina che non riesce a partire, il motore che gira a vuoto, di nuovo per le strade, camminando verso il lavoro, sono in ritardo, stanno allestendo uno spazio per una grande festa, stanno arrivando molte persone – Una conchiglia che si schiude, quella tra le tue gambe, una sensazione dimenticata, qualcosa che ho perduto negli anni passati di un’altra vita. 

lunedì 25 aprile 2016

le alte torri #42



Nuvole veloci nel cielo, striature rossastre nei filamenti di aria appesi agli alberi, le foglie immobili, sospese nel vuoto azzurrino, colori d’acqua, immagini del porto, i suoi vicoli, le stradine con i ciottoli di pietra irregolari, la merda ancora fumante dei cavalli, i gabbiani che camminano lenti tra i rifiuti e i fiori, i lunghi capelli di una ragazza riflessi in uno specchio, il percorso era sempre lo stesso e cambiava solo a seconda delle mie intuizioni mentali e sensoriali, un odore, un ricordo, un fermoimmagine, ogni stimolo, se elaborato, poteva mutare la realtà, renderla possibile davanti ai miei occhi - avevo trovato una chiave, era un cerchio di metallo, forse di bronzo, antico e sporco, passato attraverso molte mani, il cerchio era saldato ad una specie di vite, lunga un centimetro, bisognava trovare le porte giuste, inserire la vite in un buco e girare, la porta si sarebbe aperta, erano passaggi speciali, ce ne era uno nel palazzo dove vivevo, accanto alle scale, sembrava una porta normale, come tante altre, ma non lo era. Tenevo la chiavecerchio in una scatola, sul mio comodino, accanto alla statua in legno di una divinità indiana, me ne sono servito questa mattina, per arrivare al porto, per assaporare l’aria del mare, per rimanere a guardare il cielo d’inverno e le sue sfumature, sulla sabbia c’erano disegni primitivi e geometrici, linee e curve che si sovrapponevano, forse un alfabeto dimenticato - di nuovo in terrazzo, lo stesso cielo, gli edifici intorno oscillavano nel vento purpureo, come visti attraverso una superficie di acqua, c’erano antenne sui palazzi che si piegavano, totem pagani che riprendevano le stesse linee e curve che avevo visto sulla spiaggia, messaggi psichici, rumore bianco, interferenze, le parole modulate in significati sconosciuti, emittente/ricevente, bisognava inventare nuovi modi di comunicazione, volti deformi strisciavano per strada, dall’alto le prospettive cambiavano in continuazione, i canti mattutini risplendevano d’argento dalle alte torri, uomini inginocchiati toccavano con la loro fronte superfici di marmo fredde e bianche.

domenica 24 aprile 2016

Berlin #17


una mattina di luce, i miserabili addormentati tra i poveri abiti della notte, le strade ancora poco frequentate, i binari rialzati e le curve di metallo nello spazio, camminavo con lo zaino in spalla, un ultimo giorno, una ennesima partenza, i locali ancora chiusi, gli echi elettronici di una musica mentale, una stanza dalle pareti bianche, un divano rosso scuro, tavolini di legno, l’erba comprata da un africano poco dopo la stazione di görlitzer banhof, le birre bevute sulle panchine dei parchi, i tuoi anfibi neri, lasciati cadere su un pavimento in rovina, enormi palazzi abbandonati, corridoi senza voce, le parate di regime, gli occhi del popolo fissi sulle immagini di volti giganteschi, le trasmissioni radio notturne, le circonferenze vuote tagliate nelle pareti di marmo, una ragazza australiana parlava di un film che avevamo visto entrambi, i suoi occhi oscillavano avanti e indietro, mancava concretezza alle occasioni che capitavano, lasciavo sempre che ogni cosa si avvicinasse e si allontanasse, senza mai fermarla, ogni persona rimaneva solo lo stretto necessario, prima di svanire, per sempre – stanze piene di fumo, ragazze bionde e sorridenti, le labbra piene, non avevo nessuna voglia di tornare indietro – i cantieri della città offrivano numerose occasioni per trasformarsi, impalcature e travestimenti, identità sessuali e materiali ibridi, penetrazioni del cemento nell’aria, un senso di oppressione, colossi proletari, trema l’asfalto sotto lo spostamento masturbatorio dei carri armati, i cannoni in erezione, puntati verso il cielo, eiaculazioni balistiche – le divise strappate, buttate sul letto, la violenza dei morsi sul collo, le calze lacerate da dita frementi, le urla di piacere, parole che non capivo, mentre colavano nelle orecchie insieme alla tua saliva, punti di controllo, domande ripetute, le macerie intorno, il trucco nero, che si scioglieva come pece sotto i tuoi occhi.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...