giovedì 28 aprile 2022

dream #112

 Ero in una città davanti a un grande hotel che si affacciava sul mare e c’erano dei bambini vicino a un parapetto di pietra e uno di loro ci si è seduto sopra e poi si è messo in piedi e si lanciato nel vuoto e intorno nessuno si è spaventato, anche i genitori sembravano tranquilli e allora mi sono affacciato per vedere cosa c’era lì sotto e ho visto che non c’era il mare ma delle piccole piscine nelle quali i bambini si tuffavano, saltando dal parapetto di pietra e arrivando precisamente nel loro centro e quando toccavano la superficie dell’acqua si alzavano dei minuscoli spruzzi, con le goccioline dorate che salivano verso il cielo e i bambini  sembravano felici, una volta riemersi, per poi scomparire chissà dove - Ho provato un forte senso di vertigine mentre guardavo in basso questa scena e ho sentito come se stessi per perdere i sensi e che dovevo sedermi da qualche parte, così mi sono messo su delle scale e dietro di me c’erano alcuni ragazzi e una ragazza ha iniziato ad accarezzarmi alla base del collo, poi eravamo dentro una grande stanza e c’erano parecchie persone giovani e alcune di loro si sono messe a parlare con me e quasi tutte le cose che dicevano sembravano interessanti e ho provato un senso di familiarità e anche di curiosità di sapere chi fossero, che cosa stessero facendo lì dentro, perché si erano riunite lì tutte insieme e così ho continuato a parlare con loro senza il mio solito imbarazzo, senza sentirmi fuori luogo anche se non conoscevo nessuno - Poi ero in una classe e una donna mi chiedeva di scrivere qualcosa su un foglio ma non trovavo un penna che funzionasse, allora mi sono alzato e me ne sono andato e ho visto il tuo volto sorridermi da lontano e ho pensato che sarebbe stato bello raggiungerti e passare il resto di questo sogno insieme a te.

venerdì 22 aprile 2022

dream #111

 Marina sorrideva, sembrava felice, aveva i capelli lunghi ed era incinta, lei e Marta mi avevano trovato seduto fuori da un bar, a un tavolino, le avevo viste arrivare insieme - Nella classe Matteo mi rimproverava di essere in ritardo e mi diceva che non potevo fare sempre come mi pareva, me ne sono andato e mi sono perso nei corridoi di una vecchia scuola - Per le strade provavo una strana agitazione, il pulsare interiore di un desiderio, volevo rivedere Marina e lei era ancora seduta fuori dal bar, così mi sono avvicinato, l’ho guardata negli occhi e sono rimasto in silenzio - Ero in un letto, Sara era sdraiata accanto a me, eravamo vestiti, lei mi parlava, c’era anche un gatto nella stanza, è salito sul letto e ha cominciato a graffiarmi, ti piace il dolore? Mi ha chiesto Sara - C’era un mercato, mi ero svegliato presto e volevo andarci per fare delle fotografie, quando sono arrivato ancora non c’era nessuno, così sono tornato indietro, alcuni miserabili si trascinavano per le strade, altri erano seduti sui marciapiedi - Volevo della morfina, sono andato in una casa, tossici incollati alle pareti, un uomo mi ha passato una siringa, una ragazza voleva fermi l’iniezione, ci siamo seduti sul divano, i suoni della stanza erano ovattati, mi ha preso il braccio, l’ago entrava nella vena, dove sono i miei demoni? Le ho chiesto - Un uomo mi ha offerto un caffè, eravamo seduti su un divano, ero indeciso se chiedere qualcosa di alcolico, mi sembrava troppo presto per bere, una donna cinese ci è passata davanti con un vassoio vuoto - Ero alla fermata di un autobus, attendendone uno che mi avrebbe portato chissà dove, la città intorno era sconosciuta, ero solo un’ombra, uno straniero, mi sono seduto e sono rimasto lì, ad aspettare, aspettare, aspettare.

martedì 19 aprile 2022

Roma #13 (via tiburtina)

Via Tiburtina, direzione Tivoli. Ci arrivo dopo aver attraversato San Basilio (spaccio, droghe, ricordi di un giorno in cui stavano facendo enormi murales sulle facciate di alcuni palazzi), fermandomi poi ad un semaforo e trovandomi davanti alla mastodontica carcassa in cemento di una fabbrica farmaceutica abbandonata, nella quale avevamo girato alcune scene di un film quando eravamo attori e registi e mettevamo in discussione la realtà attraverso l’uso di sostanze allucinogene sperimentali, nuove sintesi di millenarie preparazioni sciamaniche e l’evoluzione, certo, il progresso dovevano andare avanti, fosse anche per quel sublime e momentaneo ritorno all’estasi danzante del caos originario.

Via Tiburtina, direzione Tivoli. File di capannoni industriali e spazi vuoti e palazzine a due piani, sale per le slot machine, tavole calde, supermercati aperti tutta la notte, dove sono le puttane? Chiedeva uno dei produttori che mi ero portato dietro mentre si accendeva il sigaro e dava una sorsata dalla fiaschetta d’argento che aveva in mano (cosa beveva? Sangue umano?), era ancora presto, io avevo preso una mezza pasticca di ecstasy per colazione, poco prima di mettermi al volante (audace farabutto) e dunque che cosa importava?

Le giornate alla festa del cinema di Roma erano state abbastanza mediocri con frotte di studenti intorno, attempati giornalisti che borbottavano e si addormentavano in sala, vecchie battone imbellettate su tacchi spuntati e giovani puttanelle che si mettevano in mostra in cerca di qualche fesso arrapato che le facesse entrare nel giro (quale? Quello delle troie dello spettacolo) e a volte guardavo questa gente negli occhi fino al punto che non abbassassero lo sguardo o che, per lo schifo, non lo facessi io. 

Poi le proiezioni, alle quali andavo sobrio, avevo stranamente deciso di non bere, il tappeto rosso e qualche povero stronzo che ogni mattina doveva pulirlo (con la lingua, suggeriva un sadico organizzatore con la faccia da sorcio) in attesa che le celebrità del giorno e poi quelle della notte arrivassero. I tipi (i topi?) della security mi guardavano storto quando mi mettevo a ridere da solo nel mezzo dei corridoi dell’Auditorium pensando che fossi pazzo. E invece c’avevo una tristezza dentro e mi chiedevo chi cazzo me l’avesse fatto fare a rimettermi dentro una situazione del genere, manco per i soldi lo facevo, giusto per provare quel vecchio disgusto (mancava la paura suggeriva il Dottor Gonzo), quel vecchio disagio (masochista del cazzo che non sei altro). Non avevo parlato con nessuno per tutta la durata della festa (dimmerda) e il produttore che mi ero portato dietro fino a Tivoli per mostrargli mignotte invisibili non era altro che un doppio mentale, un’invenzione dello scrittore, un’aberrazione ottica, una semplice compagnia narrativa.

Qualcuno in sala, durante un’incontro con Quentin Tarantino gli aveva chiesto con quale personaggio dei suoi film gli sarebbe piaciuto uscire insieme (io gli avrei voluto chiedere la top five dei piedi delle attrici con le quali aveva lavorato), lui si era messo a ridere, poi aveva risposto Cliff Booth. Alle conferenze stampa speravo sempre ci fossero attrici con i tacchi alti così avrei potuto sbizzarrirmi a fotografare le loro estremità, avevo un anello di metallo sul cazzo e la mattina prima di mettermi in macchina mi facevo un giro per i cassonetti, vicino a dovere vivevo, in cerca di scarpe da donna lasciate in qualche busta aperta (benedetti siano gli zingari), quelle che mi eccitavano le prendevo per poi masturbarmici sopra e sborrarci dentro quando ne avevo voglia.

Scrivevo anche articoli e recensioni che probabilmente nessuno avrebbe letto e mi dilettavo nelle mie personali fughe mentali cinematografiche, bevevo un paio di bicchieri di vino alla sera, in terrazza, ancora si stava bene fuori, avevo piantato alcuni semi di marijuana, mi piaceva vedere crescere quella pianta, era meravigliosa.

Avrei anche dovuto cercarmi un lavoro ma non ne avevo voglia, non volevo tornare dentro a una gabbia, una fogna, un ufficio, non avevo voglia di avere persone intorno, di dover parlare con loro, di vederle tutti i giorni, sempre le stesse facce, che incubo era stato, mi piaceva girare a caso con la mia macchina, a volte ripercorrendo le strade del passato, in cerca di ricordi o per vedere se qualcosa era cambiato, quella che portava a Guidonia ancora mi dava il voltastomaco al solo pensiero di tuto il tempo che avevo perso in un hotel di quelle parti nel tentativo di insegnare italiano ai quei pochi stranieri interessati, fra l’indifferenza generale, mi toccava fare lezione nella sala mensa, ancora posso sentire nelle narici l’odore nauseabondo del cibo che portavano lì e che i poveracci ospitati nell’albergo si dovevano mangiare tutti i giorni, che merda, poi mi sono fatto una passeggiata per la parte vecchia di Tivoli, dopo aver parcheggiato vicino al castello, non c’era quasi nessuno in giro, la luce era quella buona per scattare foto, mi sentivo tranquillo, sono entrato in un bar, ho preso un cappuccino, un cornetto, mi sono seduto ad un tavolino, davanti ad una grande vetrata e mi sono messo a scrivere. I sogni della notte svanivano, la loro inquietudine anche, me ne sarei andato in un bosco dopo colazione, potevo fare quello che volevo, non c’erano più rompicoglioni intorno, l’autunno stava arrivando insieme alla sua dolce e malinconica e dorata magia., la vita era adesso e poi non lo sarebbe più stata.

domenica 17 aprile 2022

It's evolution, baby (2004)

 Esame di teoria e tecnica del linguaggio cinematografico. Mi dirigo verso il  dipartimento di spettacolo, questa volta sono venuto con il tram, che non mi andava di perdere tempo a cercare il parcheggio. Dopo essere sceso alla fermata di piazzale del Verano, sono risalito per via De Lollis, ho girato per piazzale Aldo Moro e poco dopo sono arrivato. Ci sono già un po’ di studenti che gironzolano intorno alle scale antincendio che portano al primo piano del dipartimento, immagino stiano aspettando anche loro che arrivi il professore per l’appello. O che si manifesti sui gradini, ipotesi più plausibile. Attendo l’apparizione, non succede nulla, quindi mi allontano una ventina di minuti per andare a mettermi d’accordo con un amico per una mezzapiotta di fumo, che almeno a qualcosa l’Università serve. Siamo rimasti un pò a parlare, io e il mio amico, lui si è pure rollato uno spino (che mi ha offerto) ma io visto che dovevo sostenere un esame ho rifiutato. Lui era dell’idea che era meglio farsi una canna prima, ti rendeva più sciolto e tranquillo. A me faceva solo venire le paranoie, con la mente che iniziava a vorticare su tutte le cose che non avevo studiato e che sicuramente mi sarebbero state chieste.  Comunque mentre lui fuma gli racconto di questo corso di montaggio con Final Cut che sto seguendo, in cui galvanizzato da un sogno su Ejzenstein ho editato una piccola sequenza di uno spettacolo di Grotowski (Il principe costante) usando come ritmo per gli stacchi fra un’inquadratura e l’altra i colpi della batteria di Smack my bitch up dei Prodigy, (uno in sincrono con una frustata) ma la cosa non sembrava toccarlo minimamente (forse perché lui studiava odontoiatria) e così non ho continuato con quelle che ritenevo le mie geniali intuizioni. Dopo averlo salutato, sono tornato al dipartimento e non c’era più nessuno vicino alle scale antincendio, segno che qualcosa era successo durante la mia assenza, bel coglione, mi son detto, ti sei perso l’appello o l’apparizione del professore. Così vado direttamente nella sua stanza, la porta è aperta, mi affaccio, lui è seduto dietro la scrivania, lo saluto, gli dico come mi chiamo e se, gentilmente, può segnarmi presente. Il professore dà un’occhiata al suo foglio, poi mi guarda un pò accigliato e  mi dice che non sono sulla lista. Merda.

Aperta parentesi. Da quest’anno, il 2004, è cambiato il modo di segnarsi agli esami. Si è passati dalla carta e dalla penna alla ipertecnologica e futuristica iscrizione online. Ebbene si anche La Sapienza si evolve. Ora che internet sta colonizzando tutte le case degli italiani anche gli studenti potranno usufruire dei suoi magici servigi, oltre naturalmente alle gioie quasi ultraterrene della pornografia. It’s evolution, baby, come cantava Eddie Vedder alla fine degli anni novanta. Chiusa parentesi.

Io mi sono segnato online una settima fa, seguendo le istruzioni del sito ma, a quanto pare, non sono sulla lista. Cazzo succede?

Quanto scopro è il seguente. Il professore aveva preso i nomi solo di quelli della triennale, perché quelli della specialistica, per un errore del sito, non erano stati registrati. Io naturalmente sto facendo la specialistica. Allora con un gesto di magnanimità il professore mi segna a penna sul suo foglio. Sono l’ultimo.

Che cazzo lo usano a fare internet se poi sempre le cose a mano si finiscono per fare?

Non lo so, ma qui è meglio non farsi troppe domande.

Passa la mattina, passa l’ora di pranzo, passa il pomeriggio.

Arriva l’ansia, arrivano i rodimenti di culo, arriva la tristezza.

Poi è il mio turno. Entro, mi siedo e il professore mi chiede quale è il programma che porto. Glielo dico e lui si mette a ridere.

Cazzo te ridi, gli vorrei dire.

Mi dice che il programma non va bene, perché è quello della triennale mentre io sono della specialistica, ecco i casini che arrivano, penso, mentre la solita vibrazione di rabbia sta iniziando a farsi strada nello stomaco.

Gli dico che nella sua bacheca c’era un solo programma, quindi ho immaginato che fosse uguale per triennale e specialistica.

E naturalmente ho immaginato male.

La vibrazione allo stomaco da rabbia diventa un ronzio di frustrazione.

Allora gli chiedo se può darmi il programma che devo studiare.

Lui mi dice che adesso non ce l’ha lì con lui e che me lo devo andare a vedere sulla guida dello studente. Ecco che torna alla grande la rabbia nello stomaco, come un esercito al galoppo. Gli dico che sulla guida dello studente c’è scritto di andare a vedere i libri dell’esame della specialistica nella bacheca in dipartimento. E’ un maledetto cane che si morde la coda. Un incubo kafkiano. Allora il professore cerca un pò fra i suoi fogli e niente, non trova quello con il programma e così mi dice di andare in segreteria didattica, che lì sicuramente ce l’avranno. Amen. 

Vado in segreteria didattica, che fortunatamente è ancora aperta vista l’ora, con lo stomaco tutto in subbuglio. Arrivo davanti alla porta e busso. Niente. Ho cominciato anche a sudare per il nervosismo e si è insinuata nella testa la sensazione di trovarmi di nuovo in un trip senza via d’uscita. Busso un’altra volta. Nessuna risposta. Poi vedo la mia mano che apre la porta, anche se il braccio rimane fermo. Sto iniziando a sdoppiarmi, penso. Sono dentro, il mio corpo si è mosso senza che me ne accorgessi. Dietro una scrivania c’è una tizia seduta. Parla al telefono e allo stesso tempo comincia a parlare con me. Anche lei si sta sdoppiando. Ecco che ci siamo, penso. Sto impazzendo.

Finisce la telefonata e torno alla realtà. Quale? Mi chiedo in un attimo di frenesia percettiva. Spiego alla tizia il mio problema e anche lei si mette a cercare il programma della specialistica fra fogli, foglietti e fogliacci vari sulla sua scrivania e non lo trova. Sto quasi per cadere in ginocchio in preda a una crisi mistica. Poi il miracolo! Il foglio appare nelle sue mani. Me lo passa. Ho le dita che mi tremano. Scorro velocemente la lista dei libri per l’esame ed è esattamente uguale a quella con i testi che io ho portato.

Cazzo sta succedendo? Sono in pieno trip un’altra volta.

Torno quasi correndo dal professore. Il cuore palpita e non lo riesco a calmare. So che devo uscire da questo maledetto labirinto psichico. Entro nella sua stanza. Lui se ne sta bello tranquillo a fare le sue cose, mi guarda e mi dice che ha trovato il programma. Doppio miracolo! Già sto accendendo ceri e sento gli angeli cantare in coro. Sul foglio che mi dà lui però ci sono libri diversi da quelli che ho visto in segreteria poco prima. Sto per sgretolarmi. Dal paradiso all’inferno. Di colpo. Il respiro è affannoso. Mi siedo. Sconfitto. Sia quel che sia. Fate di me quello che volete. Il professore mi guarda e poi mi spiega l'arcano, la rincoglionita della segreteria didattica mi aveva dato un’altra volta il programma della triennale e nella fretta di leggerlo non me ne ero accorto.

Chiudo gli occhi un momento, cercando di ricompormi.

Tutto bene, Bertozzi? - fa lui.

Si, si - dico io - Ci mancava solo che mi storpiasse il cognome come ciliegina sulla torta di questa giornata di merda.

Poi mi alzo, raccatto le mie cose, il foglio con i libri da studiare, saluto il professore a mezza bocca e me ne vado. E’ già sera e mentre mi incammino fuori dal dipartimento mentalmente mando a fare in culo lui, la segreteria, la segretaria, l’università, la guida dello studente, internet e me stesso per non sapere come gestire tutte queste piccole  e insignificanti stronzate. Me ne vado verso San Lorenzo, che ho bisogno di una bella birra (o forse più di una) e di distrarmi un pò. E il trip ancora continua.


mercoledì 13 aprile 2022

...

"Lucille, come anche tutte le altre, usciva da un lungo matrimonio infelice. Mi raccontavano tutte le storie dei loro lunghi matrimoni infelici e io me ne stavo lì sdraiato accanto a loro pensando: <<E adesso cosa si aspettano da me?>>
Non l'ho mai capito quindi mi limitavo a bere di brutto con loro, a scoparle spesso e ad ascoltare i loro monologhi ma in sostanza non credo di aver fatto molto per loro. Ho prestato un orecchio e un uccello, ascoltavo sul serio e le scopavo sul serio, mentre gli altri uomini probabilmente fingevano solo di ascoltarle. Credo di aver avuto in mano il jolly ma quante stronzate mi sono dovuto sorbire, poi misuravo tutto e lo soppesavo e terminate le mie valutazioni quello che mi rimaneva alla fine era solo un pugno di mosche privo di sostanza. Ma ero un uomo gentile. Lo ammettevano tutte: ero un uomo estremamente gentile."

charles bukowski
la campana non suona per te

martedì 12 aprile 2022

dream #110

Ero tornato a casa di mia madre e c’erano Matteo e Gabriele e mi era sembrato normale trovarli lì, in cucina - Sul pavimento c’erano delle scritte nere che ho provato a cancellare con una piccola spugna, acqua e sapone, ma non se ne andavano via e la casa era molto sporca e più grande di quello che mi ricordavo - Sono andato nella mia stanza e mi sono addormentato sul letto - Poi ho sentito l’arrivo di qualcuno, doveva essere notte, forse le tre e così mi sono svegliato e c’erano in casa, adesso, una decina di persone che non conoscevo, sembravano essere amici di Gabriele e Matteo e parlavano con loro - Erano tutti in salone, alcuni seduti, altri in piedi, allora sono andato da loro e ho aspettato un attimo in silenzio - Poi ho detto, Stronzi, come apertura del mio discorso, perché avevo qualcosa da dire e mi sentivo arrabbiato e così ho continuato sullo stesso tono, spiegando ai presenti che la casa non era un centro sociale e che avevano lasciato un porcaio ovunque - Poi tutti se ne erano andati via e stavo parlando con Matteo, poi ero nella stanza di mia madre, totalmente cambiata, con letti a castello e l’aspetto di un dormitorio - Poi ero in una grande sala oscura, simile a una caverna e c’erano alcuni dei miei compagni di scuola (ancora ragazzi) seduti accanto a una parete, aspettando che qualcuno li chiamasse per nome, mi sono seduto vicino a uno di loro, non mi ricordo chi, poi è arrivato qualcuno che ha cominciato ad accusarmi di non so bene cosa, non mi sentivo bene fra di loro e volevo andarmene da quel luogo - Non c’erano uscite e anche io ho atteso il mio turno e il suono del mio nome nel buio.

sabato 9 aprile 2022

dream #109

 Ero in un albergo, cercando la mia stanza, non ne ricordavo il numero e non trovavo le chiavi, vagavo per i corridoi, passando davanti a porte chiuse e c’erano molti stranieri intorno ed era strano pensarlo perché anche io ero uno di loro - Avevo discusso con Sara e c’era una bambina seduta a un tavolo che aveva lasciato dei piatti sporchi, così mi sono alzato dalla mia sedia e ho deciso di andare a lavarli - Mi sono ritrovato per strada, con i piatti in mano, cercando una stazione di rifornimento e ho incontrato una donna in una macchina che ho scambiato per un’altra persona - Cercavo di tornare in albergo e sapevo che ci doveva essere un incontro su qualche tema importante, in un altro luogo, in questa città onirica e ho provato a scrivere qualcosa su un muro ma poi ho lasciato perdere e mi sono fermato ad un angolo di una strada e c’era una piazza davanti a me e Hannah e Debbie che stavano lì nel mezzo, mi sono nascosto, per  non farmi vedere - Ci dovevano essere state feste illegali ogni settimana a Roma, durante gli anni novanta, a cui non sono mai andato, mi ricordo alcuni dei miei amici che me ne parlavano, la musica techno e le pasticche e i viaggi in macchina per arrivarci, le destinazioni ignote fino all’ultimo momento, gli enormi capannoni industriali, molti lungo la Pontina e tutto mi è passato di lato e attraverso e gli incontri fuori scuola, fuori il Cavour e i motorini e la giovinezza e le parole, le risate, le incomprensioni, le aspettative, i sogni, l’amore, l’amore, come un’esplosione di battiti nel petto, le sigarette, l’odore delle canne, tutti volti che non avrei più rivisto, inutile pensarci, inutile tornare indietro, siamo stati ragazzi insieme e non lo saremo mai più.

giovedì 7 aprile 2022

Roma #12

 So ‘mpicci diceva mio padre e aveva ragione e me lo ripetevo tra me e me, camminando verso casa, dopo che un dottore mi aveva detto che non mi potevo vaccinare perché non avevo fatto il tampone di ritorno dalla Spagna (l’avevo fatto lì, prima di prendere l’aereo ma a nessuno gliene era fregato un cazzo quando ero arrivato a Fiumicino) e mentre ero in fila, prima che il dottore mi chiamasse e mi dicesse del tampone, mi guardavo intorno e c’erano parecchie persone e forse sarebbe stato meglio guardare il cielo, perché il circo umano prima diverte e poi inesorabile deprime. In ordine sparso: adolescenti idioti davanti al cellulare, ragazze ventenni la cui capacità di digitare messaggi sul telefono lasciava stupefatti, il tossico romanaccio che non sapeva riempire un modulo e voleva attaccare bottone con tutti (strano che non mi ha chiesto - c’hai du spicci?), i tipi dell’accettazione, quattro di loro, a discutere dieci minuti su quale era il nome e il cognome di una persona straniera, il dottore che mi diceva di mettermi da parte (perché non avevo fatto il tampone) come se fossi un lebbroso, le piccole suore filippine che gentili ti indicavano dove andare, le madri che tentavano disperatamente di essere amiche delle giovani figlie e poi non so, ho smesso di guardare le persone e mi sono soffermato sulle piante, sulla luce, sulle ombre, sugli alberi, sui palazzi che mi circondavano e ho capito che sarei fuggito di nuovo, era inevitabile. Per le strade la gente era irascibile, senza gioia, senza prospettive, negli uffici tutti erano davanti ad uno schermo, in un piccolo spazio, sapevo bene cosa significava, ero stato anche io uno di loro e non avevo nessun desiderio di tornare nella gabbia. C’erano quelli che, dopo cinque anni, li vedevo ancora negli stessi posti di lavoro di allora, soprattutto nel quartiere, era tremendo, almeno avevo tentato di perdermi in un sogno e tutte le mie sconfitte erano state migliori di questa vita che mi vedevo intorno. Dovevo dimostrare a me stesso di avere il coraggio e la forza interiore di non cadere nelle solite tentazioni, sarebbero state una prova i giorni e le settimane che avrei trascorso in questa città. Roma era ancora la mia casa, non perché ci volessi rimanere, erano qui la mia memoria, i miei ricordi, il tempo passato, quello che mi sembrava il più prezioso. Girovagavo per i luoghi della mia infanzia, della mia giovinezza, rivedendo in alcuni di essi i miei nonni o i miei amici, specialmente loro, ancora giovani nei sogni, non mi interessava null’altro. Mi piaceva stare solo, osservare, camminare, fare fotografie, rimanere in silenzio, scrivere. Cala la sera, i colori tenuti del cielo, un altro giorno svanisce, un altro tassello che porterò con me, nel cuore, nel profondo di questa resa che ha lo stesso respiro della mia anima.

mercoledì 6 aprile 2022

dream #108

 Ero un’altra volta nella casa di Aphex, fuori, vicino al cancello, sembrava essere notte e una processione di persone passava per strada, poi alcune di loro si sono fermate e hanno iniziato a cantare l’inno nazionale italiano - Impaurito da quelle voci mi sono andato a nascondere - C’era Sara che entrava e usciva dalla porta di casa, portando borse, valigie e buste verso la sua macchina, parcheggiata poco distante dal cancello, in giro non c’era più nessuno - Stava facendo tutto da sola e ho capito che dovevamo andare da qualche parte insieme, volevo aiutarla ma ho sentito un terribile sonno e una grande stanchezza impossessarsi di me - Mi sono ritrovato dentro un letto e Sara è arrivata e mi ha chiesto se stavo dormendo, chi io? Ho detto, no, assolutamente no e mi sono alzato di scatto, come fossi una molla e l’ho seguita, lei ha afferrato un’altra borsa con dentro dei vestiti, vestiti miei, ho cercato di prenderle la borsa dalle mani ma lei non ha voluto, continuava a fare tutto da sola, stranamente senza arrabbiarsi e senza insultarmi, così ho lasciato perdere e sono andato al bagno - Il bagno era grande, oscuro, con una finestra su una delle pareti dentro la quale scorrevano le immagini di un temporale, poi le nuvole grigie e minacciose del cielo si sono aperte, come fossero una ferita e hanno lasciato trapelare uno squarcio di azzurro, poi si sono richiuse - Poi nella finestra sono apparse le immagini di alcune macchine, facevano rumore, troppo, allora mi sono girato e ho visto che nel bagno adesso c’erano anche Lorenzo e Valerio - Volevo spogliarmi e farmi un bagno caldo, la vasca era già piena d’acqua, i miei amici stavano parlando e sembravano ignorare la mia presenza, allora mi sono tolto i vestiti e una volta nudo mi sono accorto di avere un anello di metallo intorno al cazzo - Ero per strada insieme a Sara, è comparso Nick con la sua macchina, sorridendomi mentre mi guardava, prima di girarsi e sparire insieme all’auto, io e Sara abbiamo continuato a camminare, non avevamo nessuna valigia con noi, il futuro era incerto e i profili delle cose parevano smarrirsi al nostro passaggio.  

lunedì 4 aprile 2022

Roma #11

 La città mi appariva in uno stato di degrado costante, a Termini, al Pigneto, nelle stradine intorno a Piazza Vittorio. C’era sporcizia lungo le vie e centinaia di arbusti che spuntavano ribelli dal cemento e qualche addetto al decoro urbano si sarebbe dovuto prendere la briga di tagliarli o accudirli. C’era una decadenza umana nei corpi sporchi e sfatti dei miserabili negli angoli delle strade, stesi sui loro cartoni e una ipocrita indolenza nelle mani tese di alcuni stranieri fuori dai supermercati, dalle chiese, dai negozi e mi è venuto da pensare, in un momento di rabbia e lucidità, che non avrei mai più dato spiccioli a nessuno di loro, che fossero sprofondati nella loro disgraziata apatia fino a quando non avessero trovato il coraggio di ribellarsi, di alzarsi, di fare qualcosa. La loro passività mi molestava e mi faceva sentire lontano da qualsiasi forma di solidarietà umana nei loro riguardi. Ero un privilegiato, certo, lo ero sempre stato, ma nel corso degli anni avevo provato ad aiutare gli altri o a mettermi nei loro panni e la vita sempre qui mi riportava, a fare che? Quello che capitava e al momento ero libero di vagare, scrivere, scattare foto. Poi forse sarebbe arrivato il momento di sparire una volta per tutte. E lo avrei fatto. Le prove generali si erano concluse fra Inghilterra, Galles e Spagna ma il momento giusto per la fuga definitiva ancora non era arrivato.

Guardavo con attenzione quelli che avevo intorno, i volti, i gesti, i comportamenti delle persone che mi circondavano erano di una prevedibilità deprimente, avrei adottato tecniche teatrali sovversive per immedesimarmi in qualche personaggio borderline, per poi rompere gli schemi sociali metropolitani (e i coglioni di qualche lurido perbenista), pensavo, stappando un’altra birra. Mi sentivo a metà tra il Gerry de l’Imperatore di Roma e il Cesare di Amore Tossico, anche se non facevo uso di eroina, blateravo fra me e me in romanesco, in pubblico o da solo, provando battute e frasi ad effetto, non ero niente male, la gente era ancora indifferente, però, alle mie performance - Non sapevo bene che cazzo facessero quelli della mia età, probabilmente lavoravano e avevano figli e portavano avanti la Grande Farsa, non so se recitassero bene o male, non che mi importasse, sorridevo quando li incontravo, anche se non li conoscevo e poi li mandavo a fare in culo mentalmente quando mi allontanavo - C’erano un sacco di fiche in giro, giovani puttanelle e vacche più mature, non me ne fregava un cazzo, erano una perdita di tempo, voltavo lo sguardo quando passavano e tiravo dritto, i giorni erano ancora caldi e Roma meravigliosa nel suo abbrutimento, amavo la mia città, forse più di quanto avessi mai creduto. Era una puttana dal cuore grande e la fregna che le puzzava di baccalà, c’erano froci che che mi sorridevano non so bene per quale motivo, che ambiente fantastico per iniziare a farsi di morfina, pensavo, magari in un’appartamento pieno di polvere dalle parti di Piazza Vittorio, aspetta ancora qualche anno, suggeriva con pazienza lo scrittore, poi tutto sarà meravigliosamente possibile.

domenica 3 aprile 2022

Se fossi in te (2004)

Se hai problemi di stitichezza di qualsiasi tipo ascolta il mio consiglio. Segnati all'università La Sapienza di Roma e vedrai come tutto nel tuo intestino tornerà ad essere regolare. Non c'è bisogno di preoccuparsi. E’assicurato. Appena il tempo di (non) capire come funzionano le cose e poi vedrai quante belle cacate ti aspettano. Mens sana in corpore sano, dicevano, infatti, gli antichi.
Anche oggi mentre salivo le scale che portavano in facoltà, quella di lettere e filosofia (anche se adesso c’è pure la neonata scienze umanistiche, cioè la mia) ho avuto il mio bel purgantino quotidiano allo stomaco. E' meglio di caffè e sigaretta. Meglio delle prugne. Meglio di qualsiasi lassativo abbiano mai inventato. La strizzone ti viene appena respiri l’aria che tira lì. Come una magia, insomma. O come un riflesso pavloviano, dipende dai punti di vista.

Oggi mi tocca andare al secondo incontro del seminario sul nuovo cinema italiano  (siamo sempre nel 2004) organizzato dall’esimio Ofrìo Calderòn, figura aleatoria che si aggira per l'università come una sorta di entità soprannaturale. Esiste, ma è quasi impossibile vederlo. Ogni tanto appare, un pò come la madonna o i santi. C'è qualcosa di mistico nella sua presenza. Un’aurea dorata e multicolore. E al tempo ancora non avevo iniziato con gli acidi, per intenderci. Giusto qualche canna, di tanto in tanto. I suoi ricevimenti sono come pellegrinaggi. Ore ed ore ad aspettare di poterlo vedere. E che cazzo. Tra un pò pure la cassetta delle offerte ci mettono fuori della porta del suo studio. Lasciamo perdere, va. Perché lo so bene che tipo è, ce ne sono tanti di docenti come lui, che usano l'università per farsi i cazzi loro, per prendere lo stipendio, per farti comprare i libri di testo che hanno scritto, per fare la figura del professore, del barone come li chiamavano una volta, di quello che sa, che c’ha il culo seduto dietro la cattedra e che lì ci rimarrà fino alla fine dei tempi (quanta indignazione, ragasso mio, ndr). Poi del rapporto con gli studenti, dei corsi, dei seminari, degli esami non gliene può fregare di meno. Ci sono le cosiddette ragazze di Calderòn (ragasse, come le chiama lui) che si occupano di questo. Quattro poveracce che prendono il suo posto negli aspetti più noiosi del suo mestiere. Bella la vita nell'università italiana. Se diventate professori di ruolo avete capito tutto. Semplice, semplice. Ma andiamo avanti.

L'incontro è con il regista di un piccolo film simpatico e divertente, Se fossi in te, del 2001, che già suona di più nuovo cinema italiano de La bruttina stagionata, del 1996.  Non un capolavoro, ma neanche una vaccata. Poi il regista è un tipo simpatico che per lo meno riconosce i limiti di quanto ha fatto e non ha la spocchia di presentarsi come chissà quale fenomeno. Lo ascolto sempre dall’ultima fila nella quale mi siedo. Per nascondermi, perché sono timido e non mi piace avere gli altri intorno e soprattutto perché ci sia una distanza di sicurezza fra me e la cattedra, casomai dovessi incazzarmi ancora. Dopo la proiezione ci sono alcune domande e mi piace la modestia con cui risponde il regista, che è una cosa rara e difficile da trovare nelle persone. Sopratutto in chi fa cinema e lo fa in Italia. Che puta caso guadagni un pò di soldi, poi ti credi di essere chissà chi. 

E sono i soldi il problema principale del cinema italiano, almeno credo. Vedete, i produttori sono quelli che hanno la grana e per come funzionano adesso le cose nella maggior parte delle volte sono pure persone che di cinema non ci capiscono un cazzo. Sono imprenditori che investono un pò del loro denaro in "prodotti" chiamati film. Ma che per loro hanno lo stesso valore di un prosciutto, di una linea di vestiti, di concime per terreni. E forse anche meno, a volte. Basta che vendano.

L'altro problema è la televisione, almeno credo. Perché ormai con l'avvento di quelle troiate che si chiamano fiction (fixion, come le pronuncia il buon vecchio Calderòn) la gente non va più al cinema a vedere film. Le persone sono talmente assuefatte alla merda che la televisione le serve, che se vanno in sala la vogliono vedere anche lì. E allora cercano sul grande schermo i volti, le storie e le stronzate che vedono in TV. Solitamente si prende qualche comico dell’ultima stagione televisiva o più attempato (o qualche attore di fixion), gli si mettono un pò di parolacce in bocca, gli si fa girare intorno un pò di fica, si scrive una sceneggiatura di tre pagine, si accende il frullatore e la schifezza che ne esce fuori è il film (di Natale, di Pasqua, di Capodanno, di Santo Stefano) che si spera diventi campione di incassi della stagione.

Questa è la situazione italiana, almeno credo. E con la speranza di riuscire a fare qualcosa (giovane studente idealista e sognatore, ndr), continuo a vedermi film e ad andare all’università, che ormai il fatto di laurearmi è divenuta una lotta personale contro le teste di cazzo che se la comandano all’ateneo (e quando ce vò, ce vò, ndr). E il trip continua. Almeno credo.

venerdì 1 aprile 2022

Roma #10

 Le cose continuavano a funzionare a cazzo a Roma e non è che me ne meravigliassi più di tanto, bisognava solo assecondare gli idioti che avevo intorno e proseguire a vagare nel proprio tempo e nel proprio animo, potevo indossare maschere e lo avrei fatto e mi sarei relazionato con le altre persone in questa maniera, da dietro un volto che era il mio anche se non mi apparteneva - C’erano i soliti miserabili agli angoli delle strade, alcuni piccoli bengalesi dormivano ubriachi su strati di sporcizia e alcuni nigeriani erano ancora con la mano allungata fuori dai supermercati e mi irritavano terribilmente perché conoscevo bene i retroscena di quest’altra interpretazione e quel braccio che usavano per tenere un cappello per chiedere l’elemosina lo avrebbero anche potuto usare in attività più utili per loro stessi e gli altri - Non che io utilizzassi i miei arti superiori con chissà quali finalità sociali, pedagogiche e lavorative, al momento mi piaceva masturbarmi e scrivere e bere e scattare fotografie (e mi era sempre piaciuto) - Ero tornato a vivere con mia madre, per un breve periodo, mi dicevo e mi sentivo al sicuro nella camera che per anni e anni era stata il mio rifugio, adesso mia sorella l’aveva cambiata, unendola alla sua, avevano fatti dei lavori e del mio spazio non era rimasto più un cazzo. Comunque mi ci trovavo bene, con i mei pochi vestiti in un cassetto e il computer e il letto e alcune maschere e la chitarra elettrica e l’amplificatore. Mi piacevano i gatti che c’erano in casa, così pacati e tranquilli. E le pareti del palazzo, quelle interne del cortile, con il loro giallo ocra che nei giorni di sole mi proiettava nelle visioni di un De Chirico sotto acido. 

Avevo rivisto la Grande Bellezza di Sorrentino e il personaggio di Jep Gambardella mi faceva girare una frase nel cervello per descriverlo, come fosse un mantra romanesco, un pò flaneur, un pò fijo de ‘na mignotta - Ero andato alla usl per farmi ridare la tessera sanitaria, la mia l’avevo perduta quasi sei anni fa in un distributore automatico di sigarette a San Lorenzo e poi me ne ero dimenticato. Mi serviva adesso per il vaccino, che avevo una mezza intenzione di farmi, fosse solo per non pagare i test di cui si aveva bisogno per prendere un’aereo o un treno (in caso fossi fuggito di nuovo) e anche perché nei musei e nei cinema non si poteva entrare senza il green pass e credo pure sui nei ristoranti, la capacità umana di creare sempre nuove stronzate per incasinarsi l’esistenza era strabiliante. 

Era più nitida ora la consapevolezza di quanto fosse stato tossico e nocivo l’ambiente nel quale avevo lavorato come insegnante di italiano e di quanto la montagna di vaccate che ero stato costretto ad ascoltare in quegli anni mi avesse quasi ucciso. Vedevo persone sedute dentro gli uffici,  dalle finestre che tenevano aperte, con la mascherina sul volto, davanti a un computer a fare non so bene cosa, mi sembrava orribile, c’erano prigioni ovunque e tanti di noi non aspettavano altro che entrarci per poi ringraziare i propri secondini e tormentatori.

Ero passato anche per la stazione Tuscolana, era lurida come non mai, però possedeva ancora un’anima e una memoria che sentivo appartenermi. Mio nonno mi portava spesso lì, a guardare i treni, serbavo dentro di me quelle sensazioni e anche la luce che vedevo fra le rotaie mi sembrava simile a quella della mia infanzia. In questo stato d’animo scattavo fotografie, poi proseguivo, poi rimanevo fermo. In alcuni momenti parlavo da solo e chissà quanto ci avrebbero messo gli altri a iniziare di nuovo a rompermi i coglioni. Adesso non me ne preoccupavo, le stanze segrete c’erano ancora e anche gli sguardi e le mani gentili di dolci ragazze asiatiche, era sufficiente una comunicazione basica ed essenziale con loro o solo rimanere in silenzio ad occhi chiusi su un lettino, in uno stato di passività totale. Avevo libri di Houellebecq e Burroughs sul tavolino della mia stanza, bevevo insieme a mia madre a pranzo, chiacchieravamo un pò, poi ognuno si ritirava nel suo spazio personale. Mi alzavo presto la mattina, mi seduceva l’alba con la sua tranquillità, il giorno non prometteva nulla e io non avevo assolutamente niente da chiedergli. L’eterno ritorno è questo invisibile presente fatto di attimi e respiri e ombre sedute in attesa di un nostro ultimo e splendente addio.


freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...