domenica 29 settembre 2013

himalaya gold


Era difficile trovare nuovi posti dove nascondersi, per avere un po' di silenzio, una spazio quieto e lucente. Era difficile trovare questi posti nel mondo esterno, a volte mi bastava un albero o un prato, la danza delle foglie e il respiro dell’aria, quello dell’acqua, una spiaggia, le dune, la natura sembrava capire la mia anima e rispettarla. Era invece pericoloso muoversi per le strade, nelle case, in tutti quei luoghi dove camminavano e parlavano le altre persone.
Ero arrivato sulla vetta di una montagna, l’aria era immobile e la mia mente splendeva nella perfezione del vuoto, respiravo e splendevo, potevo osservare il mondo che si disegnava dove la montagna toccava la terra, era distante, minuziosamente particolareggiato e brillava della stessa luce della mia mente, tutto era quieto e silenzioso, ero immobile e assorto, un placido lago alpino, ci sono stati dei giorni, un tempo, in cui ero un bambino e camminavo per sentieri di montagna, un confortevole senso di protezione, mia madre e mio padre erano dietro di me e per quanto mi sforzi di tornare su quel sentiero, in quella calma, ho la certezza che si tratti solo di una illusione, non esistono più quelle persone ma solo la malinconica sensazione di qualcosa di perso e che vorresti, per un attimo, ancora vivere, giusto per renderti conto che crescere non sarà la realizzazione delle promesse quanto il loro inevitabile tradimento.
Mio padre mi prende per mano e proseguiamo insieme, mi raccontava molte storie prima di addormentarmi, pronuncio il suo nome nel cuore della notte, da adulto, adesso, seduto su una poltrona di pelle alle quattro di mattina, per un attimo sono da solo in questa stanza, ho lasciato il fuoco di un accampamento e le stelle e la luna e i suoni dei piccoli tamburi, i tuoi occhi d’ebano e il velo sui tuoi capelli, c’era una luce accecante sulle pareti bianche della stanza, ero disteso nudo in quella gloria, il cazzo duro e fuori dalla finestra c’era la forma di una chiesa, ho parlato con dio, non è stato un grande dialogo, ma ero vivo e pulsavo di sangue e sperma, ogni alba-ogni tramonto, sulla vetta della montagna, seduto nella posizione del loto, il tempo scorreva insieme a me, senza bisogni, senza preoccupazioni, erano momenti di incredibile intensità, ad occhi chiusi, ad occhi aperti, nulla cambiava, eri tu quella montagna.

martedì 10 settembre 2013

homesick #6

L’estate era passata in maniera disordinata e caotica, avevo vagato sotto il sole d’agosto per le strade intorno a Piazza Vittorio e Termini, vie lucenti piene di persone, mi sentivo leggero, per tutta l’erba fumata nei giorni e nelle notti, le solitarie pratiche masturbatorie, atti di purificazione, rituali primitivi che avevo scoperto negli antri oscuri di caverne mentali, vagavo senza una meta, leggevo Delitto e Castigo, Raskolnikov era nei miei pensieri, percepivo la sua visionaria psiche, i  morsi della fame e della miseria, la follia, la povertà, il delirio dopo il duplice omicidio, la scure nascosta sotto il giaccone strappato, la pietà per le sofferenze altrui e le strade che vedevo mi sembravano quelle di Sanpietroburgo, i miserabili erano africani, bengalesi, indiani, alcuni se la passavano meno peggio di altri, eppure mi trovavo a mio agio fra quella umanità, come mi trovavo a mio agio nei luoghi in cui camminavano le puttane e gli spacciatori, alcuni di loro mi avevano iniziato a salutare anche se non compravo niente, erano ragazzi arabi e li vedevo fare i loro piccoli traffici senza che se la prendessero troppo se la polizia gli girava intorno o venivano perquisiti, erano furbi, la polizia era stupida, era un gioco che avrebbero continuato a vincere, qualcuno si sarebbe fatto anche beccare, ma la maggior parte di loro sapeva come funzionava la strada e come comportarsi.
 

Nella luce del cielo, seduto sotto un albero, le tue tenere gemme di maggio, i tuoi capelli e le tue mani, le donne che continuavo a vedere ed incontrare, avevano tutte le età, doveva essere il mio momento magico, speravo che molte di loro continuassero ad amarmi negli anni a venire, sapevo bene che difficilmente sarebbe stato così ed era ancora una volta il cielo a farmi respirare lentamente, le scie degli aerei, le bianche scie, le immagini di Amsterdam tornavano dentro i miei occhi, alcune mattine, insieme a quelle della Sardegna, un giorno mi ero messo a piangere solo sentendo l’odore della sabbia sul mio telo da mare, camminavo ad occhi chiusi ed ero sulla spiaggia, la mattina presto, non c’era nessuno, l’aria fresca, i fischi dei gabbiani, i passi lenti, il primo tuffo, i libri da leggere, aprivo gli occhi, c’erano i marciapiedi e la gente e il calore dell’asfalto eppure quel mare, quella sabbia, quei colori e quegli odori continuavano a vivere dentro di me, un ultimo abbraccio prima che tu vada via, quanti addii dovrò ancora darti prima di vederti ancora al mio fianco?


domenica 1 settembre 2013

homesick #5

C’erano quelli che tornavano a casa la sera ad avvelenarsi il sangue con cibo e vino scadenti, televisione e notizie andate a male, masticando a bocca aperta davanti ai volti idioti che si agitavano sul piccolo schermo. Ne avevo avuto abbastanza, le uniche immagini che continuavo ad osservare erano quelle proiettate nel cinema mentale (e, a essere sinceri, quelle pornografiche sul computer) e una volta accantonate (per un paio di settimane) le canne, la luce che arrivava dai mondi onirici creava di nuovo sulla tela dei miei occhi chiusi visioni inconfondibili. Mi muovevo in quelle assurde dimensioni spaziali notte e dopo notte e in questi giorni di lucidità mi sembrava così significativo pensare che il cervello fosse la droga più potente che avessimo a disposizione. Bastava imparare a conoscerlo, ad utilizzarlo, invece di perdere tempo dietro la tecnologia, bisognava capire come far rilasciare alla materia grigia rinchiusa nella scatola cranica le sostanze che volevamo. Lo stesso effetto te lo potevano fare le persone, era una ricerca interessante e qualcuno doveva portarla avanti. 

Vivevo in una stanza con lo stretto necessario, pochi vestiti, alcuni libri, il computer. Il mio obiettivo era cercare di liberarmi da tutte le trappole, da tutti i bisogni, dal trucco di cui eravamo schiavi,  quello del consumo,  di questa immensa messinscena orchestrata da un manipolo di porci che grugnendo si cibavano delle nostre illusioni. Cercavo anche di eliminare tutti i metodi che la società ci aveva messo a disposizione per calmarci, gli alcolici soprattutto, provavo a bere poco, non che rifiutassi l’ebbrezza alcolica, la festa, il rituale bacchico o l’esaltazione dionisiaca, ma la cazzo di birra per riuscire ad addormentarsi o per sparare stronzate l’avrei anche potuta evitare e lo stesso discorso valeva per il fumo o l’erba, non  dovevo farmi una canna per rilassarmi o addormentarmi, dovevo trovare tutte le risposte, le infinite possibilità, dentro me stesso, doveva bastare un semplice respiro per porre fine allo scorrere disordinato dei pensieri intrisi di sciocchezze, la mente era assalita costantemente da tutta una serie di problemi irreali, che se non controllati, ti avrebbero fatto impazzire. 

Quando ero concentrato sul respiro, scorrevo nella vita e seguivo quel flusso di attimi senza interruzioni, una volta al suo interno non c’era più niente di cui preoccuparsi, le cose venivano, passavano e noi insieme a loro.


C’era un vecchio che dormiva davanti al Verano, su una panchina,  e accanto a essa c’era una macchina dove vivevano altri due miserabili. Ogni tanto ci passavo vicino, quando parcheggiavo da quelle parti, cioè quasi sempre, lasciavo la mia auto proprio in faccia a un divano che qualcuno aveva buttato sotto ad un albero, mi piaceva da morire quel divano, il vecchio e i suoi compari bevevano vino e ci si sedevano sopra aspettando la notte, la loro caduta era libera, tanti uomini sceglievano o forse erano costretti a precipitare in questo modo nell’abisso, mi sentivo leggero, erano settimane di luce interiore che splendeva in continuazione, era il centro del mio essere che respirava e irradiava vita, in un mondo di ombre ostili l’amore mi sembrava l’unico atto di rivolta ancora possibile.


freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...