lunedì 31 ottobre 2016

le alte torri #62


Non avevo più contatti, avevo attraversato una porta e mi ero ritrovato in una città sconosciuta, non capivo la lingua, portavo sempre gli stessi vestiti, avevo pochi soldi, passavo le mattine al sole, su un panchina, nel parco di una piazza, per mangiare andavo ad un mercato, cercavo tra gli avanzi qualcosa di commestibile, qualcuno mi ragalava un po’ di frutta, gli abiti iniziavano a diventare sporchi e io non riconoscevo più il mio aspetto nelle superfici che lo riflettevano, erano immagini distorte, quello non potevo essere io, non ricordavo i lineamenti di quel volto che mi sembrava così  terribilmente invecchiato – c’era una voce profonda, pura e semplice, che parlava dentro di me e ogni tanto, quella voce, mi diceva dove andare, i posti si assomigliavano, silenziosi, pieni di alberi, lucenti, mi sedevo e ammiravo lo splendore che avevo intorno – iniziai a pregare, affinché quella voce diventasse sempre più forte, volevo seguirla e farla finita con tutto – ero nudo davanti ad una pianta dai fiori pendenti, si aprivano come una veste leggera o una gonna per un ballo, infilai il cazzo dentro uno di essi, si chiuse, iniziando a contrarsi, il pistillo entrò nell’uretra e rilasciò un liquido caldo e vibrante, sentivo il cazzo indurirsi sempre di più, gli orgasmi salivano e scendevano senza che potessi controllarli, quando mi sembrava di stare per venire il pistillo impediva l’eiaculazione, le palle erano gonfie e violacee, continuavano le contrazioni, scintille purpuree nello sguardo – mi stesi per terra, c’era silenzio e molte ombre iniziarono a muoversi, oggetti dalle forme sconosciute si materializzavano tra di esse, illuminati da angolazioni impossibili, i muri della stanza si dilatarono, ebbi la sensazione di cadere, ascoltai discorsi che nessuno stava pronunciando, mi passai una mano sul volto, attraversandolo, l’immagine di arbusti piumati che si muovevano lenti e delicati nell’aria, una mattina di novembre, una luce divina, una panchina perduta nelle memoria di domani.



venerdì 28 ottobre 2016

hartoderherzlich #4



Lay down on the bed, dice con voce pacata, senza mai alzare il tono, mi giro e faccio pochi passi, raggiungo il letto, mi stendo sulla schiena, sopra un lenzuolo di lattice nero, lei abbassa le luci, sfumature blu e rosse ondeggiano nella mente, viene verso il letto, senza fretta, sicura, inizia a legarmi il braccio destro, la polsiera di pelle che si chiude e viene agganciata a degli anelli sulla lettiera, poi la caviglia destra, la sinistra, il braccio sinistro, la sensazione familiare del cuoio, tiro gli arti superiori ed inferiori, minimi movimenti, ancora in suo potere, un’onda di calore e di gioia mi invade lo stomaco, sono esattamente nel luogo dove vorrei essere, non ho nessuna paura, la libertà si avvicina, insieme al suo corpo, lei comincia ad accarezzarmi il petto, i capezzoli, sensibili, li sfiora, ho il cazzo di nuovo duro, lei prende delle pinzette di metallo collegate da una sottile catena, me le mette sui capezzoli, gemo, do you like them? Do you want more pain? Yes, please, sorride compiaciuta, anche io, si abbassa la parte superiore della blouse, i suoi seni nudi, piccoli, i capezzoli rosa, li avvicina al mio volto, cerco di leccarli, lei si sposta indietro in modo che non riesca a farlo, ride, il cazzo mi pulsa, lo spingo contro il suo ventre, lo schiaccia col suo peso, do you want to cum? chiede più volte, a voce bassa, guardandomi negli occhi, è sopra di me, adesso, sulla mia coscia sinistra, si sta strusciando, avanti e indietro, la fica bagnata attraverso le mutandine, la sento, i coglioni gonfi, rasati, lei sorride, continua con la stessa domanda in attesa di una risposta, non riesco a parlare, neanche a dirle yes o no, le parole si aggrappano nella gola per il desiderio e non vogliono uscire fuori, è una tortura e un gioco, così reale, yes, I want to cum, sussurro, beg me, beg me if you want to release, dice con voce ferma e sensuale, sorrisi di luce mentre mi spingo in profondità e divento più leggero, lei si sposta le mutandine, le labbra lucide della sua vagina che si strusciano con più intensità sulla mia coscia, petali di carne, poi si scosta, si mette in ginocchio tra le mie gambe, si avvicina con la bocca al mio cazzo, le vene bluastre in evidenza, mi lega di nuovo le palle, vorrei esploderle in gola, la punta della sua lingua così vicina alla cappella, sento il suo respiro, ancora calore allo stomaco, la sua lingua che si muove, si avvicina e si allontana, senza mai toccarmi il cazzo, i miei fianchi oscillano senza controllo, spingo il bacino con più forza verso di lei, riesco a sfiorarle le labbra con la punta gonfia del pene, sono morbide, fresche, è solo una frazione di secondo che si amplia in cerchi di tempo nella mia mente, un attimo e l’infinito, lei si scosta, ridendo, suoni di cristallo che danzano nel silenzio della stanza.

martedì 25 ottobre 2016

Cymru #10


Vagavo per i boschi, poco prima del tramonto, raccoglievo dei piccoli funghi dai prati, li mangiavo, poi m’immergevo nel verde, le sue sfumature erano infinite come le possibilità della mia mente, le sue storie, le sue percezioni. A volte ero completamente nudo tra gli alberi, mentre immaginavo sentieri da seguire e coglievo segnali che solo io potevo vedere, i fili di una ragnatela brillavano come i contorni delle foglie, un fiore di porcellana irradiava la sua gioia, le gocce che cadevano dalle cime degli alberi come minuscole perle sospese nel vuoto, percorsi d’estasi, rumori sconosciuti, antri oscuri e il muschio che era una soffice carezza o la barba millenaria di un antico essere fiabesco. Davanti allo specchio, la mia immagine che si moltiplica ai lati come nelle raffigurazioni delle divinità indiane, un fiore purpureo che si muove e si avvicina alla punta del mio cazzo mentre lo tiro fuori per pisciare, lo inizia a succhiare, soffici contrazioni ritmiche, un vecchio indiano mi guarda da un’antica fotografia, gli occhi immobili, la lunga pipa in mano. La mia sborra colava sulla terra umida, la mia voce diventava un’eco di piacere, sapevo che gli alberi mi stavano guardando, chiedendosi chi fosse questo folle personaggio uscito fuori da un’allucinazione, ero io la loro visione, la proiezione di un mondo vegetale talmente perfetto da trasformarmi in caos.

sabato 22 ottobre 2016

le alte torri #61


C’era il rumore dell’acqua che usciva dalle fontane di pietra e cadeva in basse piscine che la raccoglievano, misi la mano dentro una di esse e sentii il fresco invadermi la pelle, alzai gli occhi e la luce donava grazia agli archi e alle colonne, riflessi dorati e disegni, c’era l’odore degli aranci e dei fiori, colori che nascevano improvvisi, i giardini in cui camminare in silenzio – Mansour si avvicinò nel suo abito bianco, mi salutò a bassa voce, parlava sempre in un modo quasi impercettibile, sapeva che le parole avevano ben poca importanza, non bisognava mai gridarle o urlarle, il suo tono era pacato, calmo e aveva lo stesso suono dell’acqua che usciva dalle fontane. Passeggiammo dentro gli ampi saloni, osservando gli uomini in preghiera, mi chiese se desideravo qualcosa, gli dissi che non volevo più nulla, era tutto qui, in ogni momento, non c’era mai un altro luogo in cui volessi essere, mi sorrise, capendo quello che stavo dicendo, lo seguii dentro una stanza in penombra, ci sedemmo per terra, su dei tappeti, qualcuno portò del tè e qualcosa da mangiare, un sapore dolce, di miele e spezie e frutta secca. Chiusi gli occhi e mi addormentai su dei cuscini morbidi e delicati, il tempo sembrava essere scomparso, da fuori arrivavano richiami di uccelli e il continuo e familiare suono dell’acqua.

E’ ora di andare, disse Manosur, quando mi fui di nuovo alzato, dove? Gli chiesi, lui non rispose, hai trovato quello che cercavi? Continuò, si, risposi, bene, disse lui, scostò una tenda azzurra e mi fece vedere una porta. La aprì, odore di arance e spezie, sai dove trovarmi ogni volta che lo vorrai, ci stringemmo la mano, mi voltai e attraversai quella soglia.

martedì 18 ottobre 2016

senza titolo

ci sono pensieri
che non hanno una voce
e forme e colori
sospesi nel cielo

e ancora non so
dimenticare il tuo nome
come il mare che porta
ogni cosa con sé,

solo una linea
di azzurro e silenzio
e di giorni trascorsi

a guardarla andar via.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...