giovedì 31 gennaio 2019

Il clown (2007)

I soldi mancavano. L’aria della stanza era stantia. Nuvole azzurrine di fumo salivano in spirali verso un soffitto screpolato. Finestra socchiusa. Niente ventilatore. Sudore. Camicia appiccicata. Chiazze di colore più scuro sotto le braccia. Piedi appoggiati sulla scrivania. Bisogno di soldi. Bisogno di bere. Bisogno di scopare.
Rimanevo immobile. Fisso nei miei pensieri. Dissociato.

La cenere della sigaretta arrotolata cadeva sul pavimento. Vecchie mattonelle sule quali erano passate migliaia di scarpe. Chissà quanti avranno lavorato in questa stanza. Prima di me. Parlando di affari, omicidi, valigette da consegnare.
Una vecchia casa di produzione cinematografica.  
Una sede dimenticata di giornaletti pornografici.
Aria stantia e sudore. Il mio.

Presi una decisione e caricai la mia pistola mettendola poi nella fondina. Allacciata sotto l’ascella. Colore più scuro. Sudore. Presi il silenziatore. Pensai ai soldi. Ne avevo bisogno. Misi una giacca. Una qualunque. Un lavoro semplice. E sangue.

Arrivai al circo. Passò un aereo e il sole si mosse di poco. Gli artisti stavano provando. Non potevo permettermi il lusso del libero arbitrio. Io eseguivo un determinato ordine. Più era grossa la somma che mi offrivano, più l’ordine ricevuto si avvicinava alla verità.

Entrai nel tendone e mi diressi verso un sedia di legno. Rollai una sigaretta e accesi. Sudato come un porco. Aspirai lentamente.

Un cavallo con una ragazzina sopra.
Una contorsionista e i suoi movimenti.
Riusciva a leccarsi la fica da sola?
Doveva essere fantastica al letto.
Un equilibrista. Un filo teso. Nessuna rete.

Poi li vidi. I pagliacci. Stavano provando il loro numero. Misi una mano sotto la giacca e tastai la pistola. Mi alzai dalla sedia di legno e li raggiunsi. La terra battuta. Lanciai nell’aria il mozzicone della sigaretta, una piroetta di luce morente. La vidi morire fra le orme di scarpe giganti.

Dissi qualcosa, mi venne detto qualcosa.

Uscii dal tendone. Mi diressi verso una roulotte. Montai il silenziatore alla pistola. La porta era aperta. Entrai.

Un pagliaccio si stava truccando davanti ad uno specchio. Mi vide. Non ebbe il tempo di fare niente. Premetti il grilletto e il suo cervello si spiaccicò sul suo ultimo riflesso.

Molto, molto divertente.

Mi sono sempre stati sui coglioni i clown.

Uscito dalla roulotte, mi allontanai indisturbato verso un bar.


Mi era venuta voglia di bere qualcosa.

mercoledì 30 gennaio 2019

Aberystwyth #13

Le teorie quantiche che Paul aveva in mente cercavano di colmare con astrazioni matematiche il vuoto infinitesimale che esisteva fra la fine di un respiro e l’inizio di quello successivo. Malcolm girava per Aber in bicicletta e si fermava davanti alle stampelle con i vestiti usati che qualcuno aveva lasciato appese proprio accanto al perimetro del beer garden del Wetherspoon. Prendeva camice e pantaloni, giacche e magliette e li osservava attentamente alla ricerca di strappi o bruciature,  se gli sembravano ancora buoni li infilava in una busta di plastica che ciondolava dal manubrio della propria bici. I suoi movimenti erano frenetici, le anfetamine ancora in circolo, come quelli di Ken quando mi era venuto a prendere alla fermata degli autobus di Llanidloes, più di due anni fa. Malcolm avrebbe cercato di vendere quei vestiti e con i pochi soldi ricavati avrebbe provato a comprare altre sostanze, poi il veloce scorrere dei giorni dell’abbandono, la danza di quelli che non avevano più nome, tutte le aspettative future erano finalmente scomparse, perché era solo la chimica corporea, adesso, a mostrare le direzioni da seguire e le astinenze a stilare le liste dei bisogni da soddisfare, poi spiragli di luce che filtravano dalle nuvole in frazioni di tempo imprevedibili, uno scatto fotografico che catturi linee e composizioni monocromatiche, Ben appoggiato a un muretto della stazione che si accende una sigaretta, la custodia della chitarra posata sul pavimento sporco, fra mozziconi (che qualcuno avrebbe prima o poi raccolto, per fumarli nelle notti insonni di nera agonia) e avanzi di saluti mai dati, le rapide e piccole nuvole di fumo che si dissolvono nell’aria fredda e lo scrittore che assembla parole come fossero intuizioni di un’inconscia architettura cerebrale, trasformiamo i secondi in estasi narrativa, suggerimenti e sussurri cromatici in intervalli di esperienze psichedeliche a venire, a last trip suggeriva sottovoce Ian prima di partire per Las Canarias, Acid Legacy in Wales era il titolo di una ricerca privata che qualcuno avrebbe dovuto portare avanti, fuggendo dai sotterranei dell’Università Balinese, le grottesche e bizzarre statue che Andrew Logan aveva creato, i riflessi scintillanti di pezzi di specchi spaccati e ricomposti in figure di un pandemonio artistico personale e deviato, i travestitismi, i costumi, i residui teatrali di party lisergici in piena decadenza emotiva, trombe soffiate da araldi dalle sembianze di lucertole invecchiate sotto troppo sole andaluso, fughe invernali nei deserti mentali ai limiti di una Tangeri trasformata in una interzona psichica, il tè alla menta, i calici di vino, le sfilate di corpi senza più nessuna identità sessuale riconoscibile, danze meccaniche in movimenti plastici improvvisati, visuali dall’alto, inquadrature stilizzate di volti sconosciuti, cenni di intesa, spille con il simbolo della pace sul punto di sciogliersi in ricordi smembrati, sorrisi in declino, cavità dentali sibilanti, ventiquattro ombre al secondo proiettate nei cinematografi oppiacei, lanterne di ametista, destinazioni che scorrono in serie orizzontali di lettere digitali, le porte che si aprono e le persone che vi entrano dentro, individui in fugace transizione onirica, ci si preparava per la svolta finale, siamo rimasti a guardarci perché non avevamo più nulla da dire, le nubi che vedo scivolare nel cielo non sono altro che ricordi e forme e attimi e creazioni, tutta la vita che, sinuosa e indomita, da sempre mi ha portato con lei.  

lunedì 28 gennaio 2019

...

"And maw, many maw moments av me time ere in Wales, lost now in that succession av unremembered an unrecawded instants which drugs generate as a defence against tha vast blankness ahead, not just av death but awlsow of the unknowable, unmapped future. Lost now.
A fawl back inta sleep again as the rain lashes on tha glass."

niall griffiths
grits

domenica 27 gennaio 2019

dream #85

Cammino per una strada insieme a Fleur, arriviamo in una piazza, ci fermiamo e lei mi abbraccia e mi sussurra in un orecchio di stringerla più forte, oltre la sua spalla vedo arrivare Lynn, seguita da una famiglia, lei si avvicina e sembra arrabbiata nel vederci così, rimane in silenzio a fissarci, sento che c’è qualcosa di accusatorio nel suo sguardo e un malessere che nasce nel centro del mio stomaco, anche se non riesco a staccarmi dal corpo della sorella, in lontananza il profilo di una chiesa sfuma in un tramonto rosa.
Sono dentro a un coffeshop insieme a Valerio, ci sediamo ad un tavolo, gli chiedo se preferisce fumare erba o hashish, il secondo dice lui, vado verso un bancone circolare, nel centro del coffeshop, c’è un uomo e gli chiedo di mostrami la lista con i differenti tipi di fumo, lui mi suggerisce di comprarne una qualità che non conosco, mi passa una scatola di plastica aperta con dentro delle palline di un marrone chiaro, le odoro, sembrano buone, chiedo all’uomo il prezzo e lui me lo indica sulla lista, il prezzo è in una unità monetaria che non ho mai visto, sto per dire qualcosa all’uomo quando arrivano altre persone e si mettono a parlare con lui. Rimango in piedi ad attendere.
Sono in montagna, sembra essere estate e il verde degli alberi, dei prati e delle foglie è molto intenso, ci sono alcune case e delle persone e una zona d’ombra dove cammino fra alti tronchi fino a raggiungere una specie di dirupo, sotto si apre una vallata e in un qualche modo so che lì si trova la casa di Ken anche se non posso vederla. Torno indietro e trovo un sentiero, cammino ancora e raggiungo un lago. La superficie è calma e silenziosa e l’oro dell’estate è ovunque. 

Sono su una bicicletta e sto pedalando su una strada, raggiungo una piccola città, vicino alla quale scorre un fiume, c’è una pista ciclabile e la seguo, incontro mia sorella, anche lei ha una bicicletta e insieme continuiamo ad andare vanti. Ci sono parecchi turisti, ci fermiamo vicino ad un muretto dal quale si può vedere il fiume e un ponte, scatto delle fotografie, mia sorella osserva le ombre sull’asfalto e mi chiede cosa sia più reale, esse o le persone che le creano.

lunedì 14 gennaio 2019

Aberystwyth #12

Le teorie quantiche che Paul aveva in mente cercavano di colmare con astrazioni matematiche il vuoto infinitesimale che esisteva fra la fine di un respiro e l’inizio di quello successivo. Malcolm girava per Aber in bicicletta e si fermava davanti alle stampelle con i vestiti usati che qualcuno aveva lasciato appese proprio accanto al perimetro del beer garden del Wetherspoon. Prendeva camice e pantaloni, giacche e magliette e li osservava attentamente alla ricerca di strappi o bruciature,  se gli sembravano ancora buoni li infilava in una busta di plastica appesa al manubrio della propria bici. I suoi movimenti erano frenetici, le anfetamine ancora in circolo, come quelli di Ken quando mi era venuto a prendere alla fermata degli autobus di Llanidloes, più di due anni fa. Malcolm avrebbe cercato di vendere quei vestiti e con i pochi soldi ricavati avrebbe provato a comprare altre sostanze, poi il veloce scorrere dei giorni dell’abbandono, la danza di quelli che non avevano più nome, tutte le aspettative future erano finalmente scomparse, perché era solo la chimica, adesso, a mostrare le direzioni da seguire e le astinenze a stilare le liste dei bisogni da soddisfare, poi spiragli di luce che filtravano dalle nuvole in frazioni di tempo imprevedibili, uno scatto fotografico che catturi linee e composizioni monocromatiche, Ben appoggiato a un muretto della stazione che si accende una sigaretta, la custodia della chitarra posata sul pavimento sporco, fra mozziconi (che qualcuno avrebbe prima o poi raccolto, per fumarli nelle notti insonni di nera agonia) e avanzi di saluti mai dati, le rapide e piccole nuvole di fumo che si dissolvono nell’aria fredda e lo scrittore che assembla parole come fossero intuizioni di un’inconscia architettura cerebrale, trasformiamo i secondi in estasi narrativa, suggerimenti e sussurri cromatici in intervalli di esperienze psichedeliche a venire, a last trip suggeriva sottovoce Ian prima di partire per Las Canarias, Acid Legacy in Wales era il titolo di una ricerca privata che qualcuno avrebbe dovuto portare avanti, fuggendo dai sotterranei dell’Università Balinese, le grottesche e bizzarre statue che Andrew Logan aveva creato, i riflessi scintillanti di pezzi di specchi spaccati e ricomposti in figure di un pandemonio artistico personale e deviato, i travestitismi, i costumi, i residui teatrali di party lisergici in piena decadenza emotiva, trombe soffiate da araldi dalle sembianze di lucertole invecchiate sotto troppo sole andaluso, fughe invernali nei deserti mentali ai limiti di una Tangeri trasformata in una interzona psichica, il tè alla menta, i calici di vino, le sfilate di corpi senza più nessuna identità sessuale riconoscibile, danze meccaniche in movimenti plastici improvvisati, visuali dall’alto, inquadrature stilizzate di volti sconosciuti, cenni di intesa, spille con il simbolo della pace sul punto di sciogliersi in ricordi smembrati, sorrisi in declino, cavità dentali sibilanti, ventiquattro ombre al secondo proiettate nei cinematografi oppiacei, lanterne di ametista, destinazioni che scorrono in serie orizzontali di lettere digitali, le porte che si aprono e le persone che vi entrano dentro, individui in fugace transizione onirica, ci si preparava per la svolta finale, siamo rimasti a guardarci perché non avevamo più nulla da dire, le nubi che vedo scivolare nel cielo non sono altro che ricordi e forme e attimi e creazioni, tutta la vita che, sinuosa e indomita, da sempre mi ha portato con lei.  

venerdì 11 gennaio 2019

dream #84

Sono in una stanza con una ragazza dai capelli biondi, siamo sdraiati sul letto e stiamo ridendo, nel resto della casa ci deve essere una specie di party, perché sento delle voci e della musica, poi silenzio e le alte e oscure arcate di una chiesa che prendono forma e mi accolgono insieme a sagome sedute in penombra, poi qualcuno mi si avvicina da dietro e mi fa una puntura sul collo, è PCP, poi l’uomo con la siringa scompare. Sono seduto in una sala d’aspetto e parlo con una donna, mi sento nervoso per quelli che potrebbero essere gli effetti della sostanza che mi hanno iniettato, lei mi dice di andare via e ci ritroviamo in un appartamento, lei lascia delle chiavi su un tavolo e mi mostra un sacchetto nascosto in una crepa di un muro, lo prendo e lo apro, è pieno di hashish, diviso in sottili stecche, ne  afferro alcune e le metto nel mio zaino insieme all’erba che qualcuno mi aveva dato prima, molto probabilmente Gabriele. Lei mi dice di fare attenzione nella metropolitana, se avessi intenzione di tornare a casa con essa e mi consiglia di prendere un taxi, è più sicuro, poi mi chiede il mio indirizzo, me lo sono dimenticato, le rispondo, poi mi saluta ed esce dall’appartamento. Vado in una stanza e trovo Rebecca, ci mettiamo a parlare, poi decido di uscire anche io per andare a fare un giro, prendo le chiavi dal tavolo ed esco. Appena sono fuori dal palazzo mi rendo conto di non avere la minima idea di dove mi trovo, è una zona sconosciuta di una città in cui non sono mai stato prima, è meglio tornare dentro, penso e mi dirigo verso il portone, entro e adesso l’interno dell’edificio è enorme, mi sembra di camminare in una dimora principesca, le pareti e i pavimenti sono ricoperti da un marmo verde e scuro, salgo una scalinata e arrivo in una lunga galleria piena di quadri e scene dipinte sui muri, ho come la sensazione di essere in un bizzarro teatro, ci sono delle porte, provo ad aprirle ma sono chiuse, trovo un’ascensore e ci entro, vado al sesto piano, quando sono fuori dall’ascensore ci sono quattro porte sul pianerottolo, stretto e dal soffitto basso, busso a quella alla mia destra, intanto delle persone stanno salendo le scale che girano intorno alla tromba dell’ascensore, una ragazza apre la porta a cui ho bussato ma non è Rebecca, le dico che mi sono sbagliato, una delle persone che stava salendo le scale mi raggiunge e si ferma accanto a me, è un uomo, gli dico che non riesco a trovare il mio appartamento, lui mi suggerisce di guardare meglio una delle chiavi che ho in tasca, le prendo e su una di esse ci sono incisi due numeri, 4 e 6, lui mi dice che 4 è il piano e 6 è il numero della porta, entro nell’ascensore e scendo al quarto piano, sono di nuovo nella galleria teatrale, inizio a camminare e mi accorgo che adesso ci sono nuovi corridoi che si aprono sui lati che prima non avevo visto, cerco la porta numero 6, incontro un uomo e mi chiede se posso aiutarlo a trasportare qualcosa, lo seguo e ci ritroviamo fuori dal palazzo, lui mi indica uno scatolone e io lo prendo, poi rientriamo insieme dentro il palazzo, comminiamo per un corridoio, lui davanti e io dietro, sembra di essere all’interno di una specie di magazzino, ci sono degli uomini accanto ad un lavandino di metallo, mi fermo vicino a loro, poso lo scatolone per terra, uno di essi sta aprendo un busta di plastica da cui esce fuori una polvere bianca, coca, se ne mette un pò sul centro della fronte, mormora alcune parole, poi i suoi occhi si sciolgono in lacrime silenziose.

domenica 6 gennaio 2019

Aberystwyth #11

E Luna era venuta a ricordarmi di tutte le cose da cui dovevo ancora liberarmi e che forse non sarebbe bastata questa vita e nemmeno quella successiva per farlo. E aveva il suo sorriso di ragazza e i suoi modi gentili e sentivo allargarsi proprio nel centro del mio petto quell’antica e preziosa sensazione di meraviglia, quell’improvviso barlume di un amore che non sarebbe mai esistito al di fuori di quello spazio interiore, era lì che mi ero illuso per anni di incontrare qualcuno simile a me, era quel luogo che avevo cercato di descrivere con le parole quando le emozioni diventano così forti da fare male, era in quella scintilla di gioia e dolore che ogni scelta finiva per bruciare in una splendente solitudine. Luna mi ricordava delle decisioni sbagliate, del ripetersi degli errori e lo faceva mostrandomi il suo corpo nudo nei confini silenziosi di un sogno, mi sussurrava le stesse frasi di ogni amante che abbia mai avuto o immaginato e il suo volto era una maschera di dolcezza e fascino assoluti che accarezzavo lentamente, la pelle era un universo che le dita scoprivano e delimitavano e poi rendevano infinito, le iridi come pianeti di una galassia in cui mi rispecchiavo e perdevo, tutti gli orgasmi che ci siamo scambiati non sono stati altro che una menzogna, tutto il piacere dato e ricevuto, i brividi improvvisi, tutti i discorsi, le poesie, le parole che ho buttato su un foglio non sono state altro che una presa per il culo, Luna mi ricorda questo mentre mi sorride dall’altra parte dello specchio e lo fa con intelligente malizia e mi dice di osservarmi dentro, di non smettere mai di farlo, di guardare il nascere e il morire delle mie emozioni, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, che in quel logo sarò da solo e che in fondo l’ho sempre saputo, inspira ed espira e lascia che ogni riflesso di te stesso scorra e si trasformi, guardami un’ultima volta nel cielo, prima che scompaia e diventi di nuovo parte di te.  

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...