venerdì 30 ottobre 2015

cinquina

Vicino ad un semaforo, percezioni interiori, persone intorno, una voce chiama il mio nome, la sento arrivare nitida e pacata, mi giro, una donna che non vedevo da tanti anni, un bacio sulle guance per salutarla, poche parole, ognuno per la sua strada, ci è bastato uno sguardo per capire, per annullare il tempo – ricordo un tuo schiaffo, è l’immagine più chiara e meravigliosa, un dolore intenso sulla guancia, bruciava, dove le tue dita avevano colpito – attraverso la strada, quasi decido di girarmi e andarle a chiedere se si ricordava anche lei di avermi dato quello schiaffo, poi tiro dritto, come sempre – avevamo sedici anni, avevo bevuto parecchio, non so cosa le avessi detto per farmi colpire così, non una lacrima, non una parola, quel dolore aveva avuto un altro significato, era stato un piacere misterioso, ancora da conoscere, ancora da scoprire.

Ci avrebbero pensato gli anni e gli errori a mostrarmi la strada.

Lividi sulla pelle.

E poi luce.


Luce Ovunque.

giovedì 29 ottobre 2015

xilema

Visioni d’insieme e dettagli, la vallata stretta e profonda, chiusa tra due versanti di roccia fredda e grigia, le striature rossastre, l’oscurità tra gli alberi, le foglie secche, sulla terra, i passi che le fanno scricchiolare, migliaia e migliaia di foglie ricoprono il sentiero, i segni sulle rocce, le aperture dello sguardo, in alto, fuori dagli alberi, su lastre di roccia orizzontali, le vallate verdi in lontananza, le forme azzurrine delle montagne, la nebbia bassa, sospesa sopra la pianura, un meraviglioso silenzio e una sensazione di quiete, come se tutto fosse fermo e vivo, reale e presente.

La luce del sole immersa in un cielo di un azzurro pieno, compatto, senza sfumature, la luce del sole che attraversa le foglie, gialle, arancioni e verdi, le attraversa e le accarezza, un amore unico, avvolgente, che scende lungo le cortecce, dentro il suolo e la terra umida, nelle radici, si espande intorno, ovunque, nell’aria invisibile, nei riverberi, nel muschio soffice che cresce, fili bianchi che volano intorno, piccoli funghi nell’erba rada, posare con delicatezza la propria mano su quell’erba, sdraiarsi, chiudere gli occhi, fili luminosi nella mente, affiorano come immagini brillanti i contorni delle forme del mondo, espandendosi e confondendosi, nuove geometrie della percezioni, i respiri, calmi e lunghi, densi, nel punto perfetto di contatto tra dentro e fuori.

I riflessi sull’acqua chiara di un lago, cielo e lago, le scintille bianche che esplodono come minuscole stelle, brividi alla base della colonna vertebrale, le ossa di animali morti, lisce e misteriose, i richiami di alcuni uccelli mentre planano, sopra la tua testa e l’ombra del tuo corpo, ricordandoti il momento presente, il vostro essere in questa sfera di realtà tenuta in mano da un vecchio indovino. Curvano gli orizzonti della visione sfumando verso il nero, nel centro l’immagine circolare di una vallata, i cui colori diventano sempre più intensi, ogni particolare è nitido, perfettamente disegnato, un punto di vista dall’alto, uno sguardo d’insieme, planare dalle alte rocce ai rami nodosi e piegati, posarsi, gracchiare, tornare sul suolo, bastoni e legni spezzati, iniziare a strisciare, velocità aumentata, interi cicli vitali, da seme a pianta, liberi da temporalità umane possiamo imparare, raccogliere gli insegnamenti, ascoltare lingue che conoscevamo ancora prima di nascere.

Gli orizzonti si moltiplicano, nuovi scenari come quinte teatrali, appaiono e svaniscono oltre ogni nuova sommità. Un sipario d’indaco, perché la sera arrivi, perché la sfera si chiuda, perché i nostri passi scompaiano e il bosco torni ad essere nascosto, un manto di silenzio, a proteggere la vita.


giovedì 22 ottobre 2015

Ausgang #13


Una pausa nel tempo e nello spazio, per rimettere in prospettiva le cose, per creare le giuste connessioni, per liberare i processi mentali dai detriti dell’illusione, per ascoltare le voci interiori, i loro discorsi, senza sovraincisioni – il cervello registrava senza sosta le percezioni esterne, le filtrava secondo schemi di consumo e produzione e rimaneva poco o niente all'immaginazione una volta entrati dentro questo meccanismo – le file di auto come spermatozoi impazziti, il momento della mietitura si stava avvicinando, i campi erano di un giallo scuro, le notti iniziavano a diventare più fredde, un sentiero al lato di una chiesa, la luna che indicava il cammino – una ragazza sconosciuta si avvicina, mi abbraccia, mi bacia sulle labbra, le chiedo il numero di telefono, prima che se ne vada, poi svanisce dietro una macchina mentre ipnotizzato le osservo il culo – l’asfalto brillava di scintille, la bellezza non ti avrebbe salvata, i tuoi occhi erano meravigliosi mentre scambiavamo poche parole, ti avrei mai rivista?




mercoledì 21 ottobre 2015

le alte torri #20


Ho sempre avuto dei problemi con l’autorità, pensavo, e chi non ce li ha? Rispondeva la mia mente, gli accessi febbrili si stavano riducendo e così le visioni e le storie immaginarie, sballottolato da una parte all’altra della scatola cranica, oceani cerebrali solcati da navi fantasma, gli incontri con Pavel erano divenuti più radi, mi appariva nei sogni o sotto forma di animale, riconoscevo il suo sguardo e non erano più necessarie le parole per comunicare. Adesso avevo un nuovo contatto, Abdullah, lo avevo già visto insieme ad altri ragazzi arabi, nella piazzetta, dove facevano i loro traffici. Dovevo inserirmi nel giro, imparare a parlare arabo, i meccanismi mi erano chiari, i ragazzi in bicicletta controllavano l’eventuale arrivo della polizia, quelli a piedi nascondevano la sostanza, quelli seduti aspettavano contatti visivi per venderla, a volte c’erano delle risse e del sangue e io e Abdullah sapevamo che non era la maniera giusta di fare gli affari, ma i ragazzi magrebini si divertivano così, i loro globuli rossi impazzivano e perdevano il controllo. Spine conficcate nei capezzoli e sapienti giochi di dolore, così le donne arabe sapevano farti confessare qualsiasi verità. Abdullah era seduto su una delle panchine di pietra, da solo, mi avvicinai e iniziammo un lungo discorso mentale, fatto di immagini, sapevo decifrare quelle figure, le nostre menti erano nitide, in uno stato di lucidità indotto dalla sostanza gialla, in polvere, che avevamo assunto precedentemente, ognuno per conto proprio, sotto gli ordini psichici di Pavel, che si era manifestato in forma di corvo nero, gracchiando davanti alle nostre rispettive finestre. Ero seduto sul mio tappeto orientale, le gambe incrociate nella posizione del loto, controllavo cosa era rimasto nella valigetta e prendevo appunti su un quaderno nero, usando un alfabeto misterioso, che avevo imparato durante le lezioni del sogno, studiando le varie sostanze, i loro effetti e i loro poteri. Si facevano sempre più soldi nella piazzetta e bisognava creare alleanze, con i ragazzi africani, che stavano nell’altra zona. Ormai la polizia neanche più controllava i luoghi della vendita, avevano paura, eravamo tanti, troppi e vendevamo le nostre merci e più queste erano pericolose ed efficaci e creavano dipendenza e più noi eravamo forti, sicuri che quelli che l’assumevano sarebbero tornati a comprane ancora. Dipendenza. Assuefazione. L’Arte del Bisogno. La strada verso la rivolta e il controllo, l’anarchia e il fascismo.

Io Abdullah rimanemmo in silenzio. Un cane ci passò accanto, pisciò e si fermò a guardarci. Ci alzammo insieme e lo seguimmo.

martedì 20 ottobre 2015

le alte torri #19



Le coordinate di un viaggio di fantasia, seduti su una terrazza, di notte. La sostanza aveva iniziato a fare effetto e rendeva più concrete le immagini che la mente dello scrittore proiettava. Risalire fino ad Amsterdam, a piedi o a cavallo, in un periodo che si poteva collocare temporalmente verso la fine dell’ottocento. Un viaggio lungo, forse di un paio di settimane. Attraversare la Francia, nel periodo della vendemmia, fermarsi alcuni giorni, a ridere e scherzare con le fanciulle del luogo, succhiare mosto dai loro piedi e cercare diamanti nei loro occhi, risate d’argento e abbracci clandestini su letti di paglia, fumare tabacco nel sole e sentire gli odori della campagna, la notte sarebbe stata una bottiglia di vino senza fondo, l’alba il tuo sorriso di ragazza. Continuammo verso Amsterdam e vi restammo un mese, scegliendo una nave sulla quale salpare, vivevamo in una pensione, proprio sul limite del De Wallen, bordelli e prostitute, scintillanti risate, bicchieri d’assenzio, camminavamo ebbri tra luci rossastre, i pensieri erano nuove terre all’orizzonte. Ci imbarcammo d’inverno, la città era ricoperta di neve, chiusi nei nostri vestiti pesanti, incerati nel grasso per resistere all’acqua e all’umidità, un viaggio di un paio di mesi verso le Indie, passando intorno all’Africa, il suono dei tamburi nelle notti dense di buio, fuochi sulle rive, intagliavo un bastone di legno, imparavo nuove lingue, scambiavo esperienze con gli altri marinai, c’era dell’oppio a bordo, qualcuno lo aveva portato da Venezia, oppio turco, ne avevamo una buona scorta, un marinaio ci parlò di quando aveva fumato alla presenza di un cardinale, su tappetti orientali, la ricchezza delle sue vesti, poi entrambi si erano ritrovati nudi, galleggiando nell’oblio, avremmo conosciuto donne meravigliose, nelle Indie, lo sentivamo, i racconti erano pieni di misteri e sogni proibiti - mi addormento sul ponte, i pensieri che oscillano, le stelle inquiete della mia giovinezza.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...