sabato 24 gennaio 2015

Crocevia (2003)



Mi trovo ad un incrocio. E molte strade partono da questo punto in cui sto fermo con una sigaretta accesa. Partono strade in tutte le direzioni. Ma io non ho voglia di muovermi. Di fare il primo passo. Di prendere una strada invece di un'altra.
Chiamatela possibilità.
Tiro dalla sigaretta. Non perché sono nervoso o confuso. E' solo che ho voglia di fumare. L' aria è limpida ma ancora fredda. Ha piovuto per quasi una settimana. Ma adesso il sole è finalmente arrivato. Portando con se presagi di primavera.
Chiamatela attesa.
Io sono qui nel bel mezzo dei miei vent'anni. E sento che una presenza preme alle mie spalle. Questa ombra che si muove di nascosto è pronta a spingermi. Vuole che io scelga. Vuole che io abbandoni una stabilità. Vuole che mi incammini per una di queste molteplici strade.
Ma io non voglio. Non voglio abbandonare la mia libertà. Ho paura di fare la scelta sbagliata. Ho paura che la strada che potrei scegliere non sia quella giusta.
Non mettetemi fretta.
Non fatemi scegliere.
Non spingetemi verso decisioni avventate.

Buttando la sigaretta aspetto davanti al mio destino.

Vedo una casa e il mare, vedo un'estate gloriosa, vedo sabbia, vedo alberi e ombre, vedo delle parole formarsi. Vedo me stesso dietro queste parole. Vedo viaggi, vedo Amsterdam, vedo splendide giornate di sole che mi aspettano a braccia aperte. Ci sono cieli azzurri, c'è un'aria calda e profumata che entra piano nella stanza e ci culla. Ci sono due corpi nudi e soddisfatti sopra il letto. Ci sono bottiglie sparse, vestiti, cartine. Avanzi di sigarette, giornali e lattine di birra.
Vedo le parole che si formano e prendono il loro giusto posto e io non devo fare altro che seguirle. Ecco il punto. Le parole possono scegliere per me. Possono aprirmi porte, indicarmi strade. Possono farmi scoprire luoghi in cui non sono mai stato. Possono vivere con me. E' tutto quello di cui ho bisogno.
Chiamatela speranza.
Rimango ancora davanti a questo crocevia. Le strade si allungano e allungano e non riesco a vedere dove arrivino. Ne partono in tutte le direzioni. Sono infinite. Ma io rimango fermo. E anzi decido di sedermi. Mi accendo un'altra sigaretta e mi stendo. E guardo il cielo. E lo guardo attraverso le foglie degli alberi. Sento scintille nel cuore. Sento onde. Sento aria e fuoco che crepita. Sento l'arrivo della notte. Dell'alba e della vita. Mi sento fremere ma sono tranquillo. Perché adesso sono fermo e immobile. Sono in riposo. Sono una parte di questo mondo. Senza nessun posto in cui dover andare. Sono un luogo, un monte, un lago. Sono un punto di confine. Un passo di frontiera.
Ci sono io dentro a stanzette in penombra. Ci sono io steso sul letto a sognare. Ci sono le bottiglie di vino. C'è della musica. C'è la mia macchina da scrivere. Ci sono diverse specie di droghe in una scatola. Ci sono pipe.
Chiamatela ispirazione.
E tutto quello che devo fare è battere le dita sui tasti. Quelli con le lettere. E aspettare. Vedere come un nuovo mondo prenda forma. Un mondo che nasce dalle mie mani. Un qualcosa di mio in cui anche voi potete entrare e vivere. Si. Questa è una strada che vorrei percorrere. Questa è la vita che mi piacerebbe avere. Niente di più. Niente di meno.
Ci sono io che rido nel mezzo della notte.
Quando sotto la luce delle stelle le strade brillano e danzano.
E la paura della vita si disperde nel ricordo del domani.
Immobile ridi e aspetti.
Vedi contorni di persone camminare dal fondo della via.
Arrivano da tutte le parti e tu sei ancora immobile.
Non sei più una partenza. 
Ora sei un punto d'arrivo.


giovedì 22 gennaio 2015

...

E' una cosa talmente semplice, il fare all'amore... Che è poi l'amore: non ce n'è altro, tra un uomo e una donna... E' come aver sete e bere. Non c'è niente di più semplice che avere sete e bere; essere soddisfatti nel bere e nell'aver bevuto; non avere più sete. Semplicissimo. Ma pensi se l'uomo avesse dedicato all'acqua, alla sete, al bere (per un diverso ordine della creazione e dell'evoluzione) tutto il sentimento, il pensiero, i riti, le legittimazioni e i divieti che ha dedicato all'amore: non ci sarebbe niente di più straordinario, di più prodigioso, del bere quando si ha sete... E in qunato alle prostitute: consideri se le migliori bevute che abbiamo fatto nella nostra vita non sono quelle a una fontanella all'angolo di una strada, al pozzo lungo lo stradale di campagna...

leonardo sciascia
todo modo

lunedì 19 gennaio 2015

Ausgang #2

Ancora un cielo livido, i presagi della neve, i campanili oscuri, affilati, le lancette dorate di orologi che hanno dimenticato lo scorrere del tempo. Sul fiume volavano gruppi di uccelli bianchi, i loro fischi tagliavano l’aria, i ponti vuoti, le croci di ferro battuto, le persone camminavano nelle strade centrali della città, le baracche di legno con i grandi bracieri, la carne messa a cuocere, i canti, le immagini magiche di esseri scomparsi, i funghi enormi, i cappelli rossi con punti bianchi, le colonne di fumo che salgono verso il cielo, confondendosi con le nubi, l’odore degli alberi, il sistema nervoso dei loro rami, i bicchieri pieni di un liquido color magenta, speziato e alcolico. Brucia una candela viola di fianco alla mano dello scrittore, gli appunti sparsi e i resti della cena del giorno prima, le donne che parlano mentre preparano la colazione, il corpo giovane e flessibile di una ragazza, la sua pelle dorata, ricerchiamo fino in fondo la nostra libertà, creiamo ostacoli per non raggiungerla, misuriamo l’esistenza a passi lenti, sempre più stanchi, i vecchi si trascinano ancora, nel freddo e nelle strade, un fuoco brucia dentro di noi con lo stesso ardore delle stelle, è di nuovo mattina, il calore di una persona amata, ancora addormentata al tuo fianco, frammenti di sogni sul bordo bagnato di un cuscino, le linee di una foglia percorse da una linfa color rubino, bruciano le croci nel buio della notte sugli alti campanili, polvere e neve cadono silenziose sulla nuda terra nera.


venerdì 16 gennaio 2015

homesick #17

Aveva iniziato a piovere più forte mentre passavo sotto gli archi di Porta San Giovanni, allora mi sono messo a correre per raggiungere il tram che stava arrivando, sono salito al volo, la camicia incollata al corpo, bagnata, non sapevo per quale motivo negli ultimi tempi la gente avesse iniziato ad avere paura dei temporali, come fossero un ostacolo o una minaccia e invece erano meravigliosi, il loro odore nell’aria, il cielo grigio e blu come un mare capovolto e il tram si è mosso ed è passato accanto ai giardini di Via Carlo Felice, dove avevo camminato alcune ore prima, mentre mi dirigevo verso il lavoro e la mattina era stata dorata, quasi primaverile e sui prati c’erano dei cani che correvano liberi, seguendo le loro scie di odori e sulle panchine di pietra sedevano alcuni miserabili che giocavano le loro povere partite a carte, per sentirsi vivi, per continuare a scommettere sul mondo quando già sapevano, dentro di loro, di aver perso tutto eppure le cose continuavano a venire e fuggire e con la pioggia arrivavano anche i piccoli bengalesi con i loro ombrelli, quasi impazziti dalla possibilità di venderli e ti giravano intorno come mosche, i piccoli bengalesi con i sandali e le ciabatte ai piedi, qualsiasi tempo facesse, poi il tram è arrivato a Porta Maggiore, dove molte persone sono scese anche se continuava a piovere, poi dopo il ponte della ferrovia sono sceso anche io e la pioggia è aumentata e allora mi sono riparato sotto le sue alte arcate nere. Lungo l’asfalto si stavano creando piccoli ruscelli e un uomo si è fermato vicino a me, con una busta in mano, ha preso una sigaretta e ha cercato di accendersela, solo che l’accendino non funzionava, ha provato diverse volte mentre con le labbra succhiava letteralmente la sua sigaretta spenta, poi qualcuno gliela ha accesa e lui ha iniziato a tirare boccate voraci, poi dalla busta ha preso una bottiglietta di plastica e ha dato una sorsata di vino scadente. Ha smesso un poco di piovere e mi sono diretto verso casa, la camicia ancora bagnata, guardavo il cielo violaceo e pensavo anche io di sentirmi vivo, anzi ero vivo, molto di più di quanto lo fossi per tutte le ore in cui ero rinchiuso nelle stanze dove lavoravo, i rapporti con le donne che passavano lì dentro si stavano logorando in maniera irreversibile, stavamo toccando il fondo, era quello che volevo, non potevano più scappare da loro stesse, ero come uno specchio in cui loro vedevano la loro bruttezza interiore, un periodo le avevo fatte splendere ma come tante altre persone mi avevano deluso e mi ero stancato di guardarle, sarebbe stato così semplice tornare in buoni rapporti, ma dovevano cambiare la loro prospettiva sulle cose e soprattutto su sé stesse. Le sentivo ridere, a volte e quelle risate erano orrende, innaturali, compulsive e false, fare finta di essere felici per non volersi dire la verità era molto triste, ma se volevano passare la vita in questa finzione erano affari loro. Alcuni giorni prima avevo avuto uno scambio di opinioni abbastanza crudo con il mio capo, eravamo passati agli insulti quasi subito e alla fine ci eravamo capiti o almeno così speravo e in alcuni momenti mi era anche venuto da ridere perché la situazione era stata grottesca, ma più di ogni altra cosa mi sentivo stanco delle facce, dei discorsi, del ripetersi lento e inutile di dinamiche che non mi interessavano, c’erano ancora i ragazzi e le ragazze che venivano a scuola e andavano bene, anche se dopo un po’ mi esaurivano anche  loro e sentivo che avevo bisogno di un distacco che non riuscivo ad avere, perché al lavoro ci dovevo andare ogni cazzo di giorno e il fine settimana non era mai abbastanza lungo e allora mi sarei dovuto riprendere tutto il mio tempo. Minuto dopo minuto.

Arrivo quasi a casa e smette di piovere. Un bengalese mi chiede se voglio un ombrello. Non lo vedi, gli dico, che il tuo dio non esiste. 


martedì 13 gennaio 2015

freewheelin' #18

seduto in un angolo, nell’attesa di entrare nella sala. i tavoli e le sedie bianche, grandi piastrelle rettangolari, nere  e lucide, ricoprono le pareti e il pavimento, un calice sporco con un resto di vino rosso, i colli dorati delle bottiglie, in fila su mensole amaranto, una congrega alcolica e immobile, un grande specchio che non riflette nulla, tranne le illusioni del mondo, i ragazzi bengalesi pregavano nel mezzo della strada, gli ombrelli chiusi, appesi ad un braccio, la pioggia intrappolata nelle nuvole viola di un cielo notturno, le persone, silenziose, scivolavano lungo la stessa strada, una boccetta con gocce a base di clorazepam ancora intatta, sul letto della mia adolescenza ho conosciuto tutti i tuoi volti, le risate da scimmia di un uomo che entra in un bar, quella luce, quegli odori, le ombre della mia stanza sono ancora troppo vicine, il contatto della gamba di mia sorella contro la mia, c’è una vita che mi aspetta, tra le linee sconosciute della tua mano non ho voluto leggere nessun futuro, la tosse secca e violenta di una miserabile sull’autobus, le parole di conforto del tossico che aveva accanto, chiamano il mio nome, la sala è aperta, il buio, un ventre accogliente.


sabato 10 gennaio 2015

freewheelin' #17

Una parte della casa era andata in rovina, quella del bagno, erano crollati i muri e il soffitto e quella parte si trovava in una zona diversa, che non ricordavo, pensavo fosse il bagno, ma non c’era nulla che giustificasse questa idea, su quello che un tempo era stato il pavimento adesso c’era dell’erba, corta, di un verde intenso, simile al muschio o ai licheni che crescono sulla pietra. Ho fatto alcuni passi, c’era una scrivania di legno, che aveva iniziato a marcire e del terriccio sopra, con piccoli sassi frantumati, ho aperto i cassetti della scrivania e dentro c’erano gli oggetti del comodino della mia stanza, non quella di adesso, ma la stanza nella casa di mia madre, dove ora dormiva mia sorella. Sono arrivati mio padre e mia madre, in un altro luogo, in un’altra camera e mi hanno chiesto, preoccupati, se le cose andavano bene, non ho risposto nulla, una sensazione di tristezza che non riusciva a fuggire via, l’eco di una sofferenza provocata ad un’altra persona, sotto la maschera dell’amore agivano forze ed entità sconosciute, le apparenze danzavano nel teatro della giovinezza, tra le rovine dell’età adulta le statue delle antiche divinità erano nascoste da rovi e rampicanti, le dita di Dafne che si trasformano in rami, mentre le mani di Apollo cercano di afferrare l’eterno.


martedì 6 gennaio 2015

Ausgang #1


Il cielo è basso, sulle tegole spioventi delle case, con sfumature grigie e violacee, le strade sono lividi di pioggia e gli alberi si allungano verso l’alto, neri e magri, i rami scheletrici che graffiano l’aria, i nidi degli uccelli, reali come in un quadro di brueghel, l’inverno è arrivato e ha lasciato volare le foglie sulla terra, spogliando la natura delle sue forme estive, passano poche persone, alcuni operai che tornano da un cantiere, una madre che tira per mano un bambino, linee veloci e scure tagliano le nubi, il volto di lei nella luce della mattina, pallido e triste, chiuso nei ricordi del passato, riflesso sulla porcellana di piccole tazze orientali, piene di tè fumante, fiori d’arancio, cuscini arabi sui quali appoggiarsi. una bandiera turca appesa ad una finestra, la stella e la mezza luna, i primi rumori di una casa, l’acqua di un rubinetto aperto, i passi attutiti sul pavimento, il suono elettronico di una sveglia in un’altra stanza, la terra tremava, all’interno di un sogno, cercavo di raggiungere le strade, lasciando gli altri indietro, ci saremmo liberati dalle illusioni, prima o poi, era una cosa che andava fatta, per non lasciare che le emozioni, così irruente, fragili e maestose, ci condannassero ai loro voleri, sbattuti da una parte e dall’altra, da un letto ad un altro, non c’era bisogno di questa lotta, di questa confusa, insincera speranza, il bianco delle pareti rimandava alla mente immagini inesistenti, avrebbero appeso quadri, fotografie, perché gli occhi si abituassero alle meraviglie e agli orrori del mondo, una stanza piena di libri, note e spartiti, le vaste navate di una chiesa vuota, nessuna voce che riecheggi tra la solitudine dei sordi muri, la prima neve, leggera e infantile e i tuoi occhi di bambina, un attimo prima, che si perdano nel sonno.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...