sabato 30 maggio 2015

senza titolo

c’era silenzio
intorno
ma non abbastanza
perché fosse
amore

c’era un bagliore
nel tuo sguardo
un’alba di parole
impossibili da dire

la vita tramontava ad ovest
oltre gli ultimi riflessi
dei miei occhi

in quegli attimi
ogni cosa sfumava
tra morbidi colori

la luce che ammiravo

aveva il tuo nome

venerdì 29 maggio 2015

...

Secondo il modello amoroso prevalente negli anni della mia giovinezza (e niente mi lasciava pensare che le cose fossero cambiate in modo significativo), ci si aspettava che i giovani, dopo un breve periodo di vagabondaggio sessuale corrispondente alla preadolescenza, si impegnassero in relazioni amorose esclusive, caratterizzate da una stretta monogamia, in cui entravano in gioco attività non solo sessuali ma anche sociali (uscite serali, weekend, vacanze). Tali relazioni non avevano tuttavia nulla di definitivo, ma dovevano essere considerate come altrettanti apprendistati della relazione amorosa, in un certo senso come degli stage (la cui pratica, d'altronde, cominciava a diffondersi sul piano professionale come preliminare del primo impiego). Relazioni amorose di durata variabile (la mia media di un anno si poteva considerare accettabile), in numero variabile (tra dieci e venti era un'approssimazione ragionevole) erano destinate a susseguirsi prima di sfociare, come un'apoteosi, nella relazione ultima, quella che stavolta avrebbe avuto un carattere coniugale e definitivo, e avrebbe condotto, tramite la procreazione di figli, alla costituzione di una famiglia.

michel houellebecq
sottomissione

giovedì 28 maggio 2015

camminare #2


Il vento ha una voce e la ascolti fra i rami, nella luce che danza tra le foglie, nei migliaia di riflessi, nei toni del verde, le sfumature, soffici licheni, come barbe, crescono sulle cortecce, ruvide e solide. Insetti immobili nell’aria, le minuscole ali sbattono frenetiche, rallentiamo le immagini, le voci diventano echi, quelle degli uccelli si ampliano in sonorità ancestrali, ogni singola foglia diventa nitida, punti gialli e bianchi oscillano nel molteplice verde dei prati, il tempo si misura in respiri, profondi e ripetuti, le nuvole attraversano il cielo verso direzioni ignote, ascoltiamo in silenzio il loro morbido scivolare, centinaia di pollini, filamenti divini, volteggiano in vortici di azzurro, le pietre bianche, sdraiate nel sole, ascoltano i passi di chi si allontana lungo sentieri senza memoria, nascosti nel bosco i faggi mormorano al cielo le loro storie affinché volino verso le nuvole, le cui forme, agli occhi di chi sa vedere, cercano di svelare verità troppo a lungo dimenticate.

giovedì 21 maggio 2015

...

Non tutti gli uomini sono in grado di adattarsi in ugual misura alla civiltà; e se la maggioranza, come cani e pecore, ha una naturale disposizione alla remissività, non è un motivo per soggiogare la natura degli altri al punto di ridurli allo stesso livello. Gli uomini in genere si assomigliano, ma ogni uomo è un individuo a sé, e questo dovrebbe garantire una certa varietà.

henry david toreau
camminare

mercoledì 20 maggio 2015

homesick #20

Mi avevano dato degli ingressi gratuiti per la galleria Borghese e allora ci sono andato insieme a quattro ragazzi della scuola, di primo pomeriggio, era autunno e la luce era dorata, come all’interno di un sogno e a villa Borghese, mentre camminavamo, sembrava quasi di trovarsi in un altro mondo, lontani dai neon della classe e dai suoi muri rosa pallido, un mondo reale e vivo, fatto di colori e suoni e profumi, la sensazione dell’aria sulla pelle, la luce che brillava sulle acque del laghetto per poi riflettersi sulle foglie degli alberi e abbiamo continuato a camminare, in silenzio, altre volte i ragazzi parlavano le loro lingue e io non capivo nulla di quello che dicevano, mi bastava però guardarli negli occhi e sentirmi partecipe delle loro emozioni. E dentro la galleria Borghese gli ho fatto vedere le statue del Canova e del Bernini e alcuni quadri di Caravaggio e i ritratti giovanili dello stesso Bernini, ci siamo fatti delle foto e loro mi sembravano leggermente imbarazzati di stare in quel museo, pieno di  capolavori della nostra arte, era incredibile come la superficie di quei corpi di marmo fosse così magnetica, sembravano vivi, ti veniva voglia di accarezzarli, c’erano il ventre e i seni e le braccia di Dafne che volevo toccare, sentivo il contatto di quel corpo sotto le mie mani, erano solo fantasie, però una sega me la sarei sparata sui piedi della signorina Borghese, così sdraiata in maniera lasciva, li avrei inondati di sborra calda quei piedini così perfetti, il Canova ci aveva fatto proprio un bel lavoro con quel marmo, chissà se qualche vizioso di alto ceto, nobile o ecclesiastico, davanti a quella statua non ci abbia avuto gli stessi pensieri, che secondo me, quando non c’era nessuno in giro, qualche schizzo ce lo lasciavano su quei miracoli di materia inanimata. 


E poi fuori, a passeggiare tra gli alberi, in tranquillità, mi tornavano in mente e nel corpo le sensazioni di Amsterdam e di quel giorno magico a Vondelpark e siamo andati fino al Pincio e poi siamo scesi verso l’accademia francese e Trinità dei Monti e c’erano degli alberi di cachi e alcuni si vedevano tra le foglie, maturi e succosi, c’era pure venuta un po’ di fame, che non avevamo pranzato e allora Modou si è arrampicato sulla ringhiera, che quasi mi veniva un colpo al pensiero che potesse cadere di sotto, ma lui ci sapeva fare con i rami e gli alberi e la frutta e sembrava sicuro, comunque gli tenevo la maglietta e lui, in piedi sulla ringhiera, si è aggrappato ad un ramo con la mano destra e con la sinistra ha iniziato a prendere questi grossi cachi e poi li passava a Kassim e quando ne hanno raccolti quasi una dozzina ci siamo seduti su una panchina a mangiarli ed erano così dolci e maturi e i turisti che ci guardavano in maniera strana e noi sorridevamo e tutto sembrava così splendente e vivo ed eterno.


E la sera, a casa, mentre cenavo con i ragazzi che abitavano con me, si parlava di alcuni lavori telefonici e uno di questi ragazzi, poco più che ventenne, mi spiegava come inculare le vecchiette al telefono per farsi dare informazioni su possibili case in vendita, sembrava un buon metodo, almeno lui diceva che funzionava, poi dopo un po’ che aveva fatto questo lavoro gli era venuto il dubbio che forse inculare le vecchiette non era un buon modo per vivere come quello di fare mille telefonate al giorno per aumentare di qualche euro il proprio stipendio, meglio tardi che mai, avevo pensato dentro di me, mentre mi bevevo un goccetto di vino, almeno una parvenza di moralità esisteva ancora in questi ragazzi, non so quanto sarebbe durata, perché là fuori, nel mondo, la situazione era sempre più difficile, c’erano lupi famelici, li vedevo ovunque, nelle loro giacche e nelle loro cravatte, c’erano soldi da guadagnare ogni giorno e persone da fottere, era la vita che ci avevano regalato, se non ci stavi bene dentro questo modo di fare erano cazzi tuoi - mi ero messo da parte un po’ di soldi, c’avevo un lavoro che mi permetteva di stare con gli altri senza dovergli per forza fare male, m’ero rotto i coglioni però delle condizioni e dopo cinque anni era arrivato il momento che cambiassero, c’avevo avuto questi scontri con il mio capo che ancora dovevo vedere se avrei ottenuto quello che volevo, però un po’ di pepe al culo glielo avevo messo e sto culo che si ritrovava grosso e molliccio l’aveva pure stretto, che la strizza gliela avevo fatta venire, magari andando da qualcuno a denunciare due o tre delle merdate che nel corso di questi anni avevo visto e vissuto. E il capo adesso mi salutava con più calore, magari mi si voleva comprare, il dritto, ma non me ne fregava niente di aumenti o privilegi, volevo solo una bella stanza, io, con tanta luce e tanta aria fresca dove continuare ad insegnare ai ragazzi che mi venivano a trovare, c’erano così tante cose da fare quando gli spazi non ti opprimevano e soffocavano. Un po’ di luce e un po’ d’aria, che come richieste non mi sembravano così impossibili da soddisfare.


venerdì 8 maggio 2015

freewheelin' #23

- La vita non finisce con la morte, c’è qualcosa che viene dopo
- Un’altra vita? Una vita in un’altra forma?
- No
- Una vita solo spirituale? Senza corpo, senza materia?
- No

Faisal mi fa guardare la sua mano aperta, tra le linee c’è una minuscola particella bianca, non so cosa sia, sembra un granello di polvere che si muove lentamente sul suo palmo. Lui avvicina la mano ad una foglia e aspetta che quella minuscola particella passi da una all'altra.

- questa è la vita. Credimi.
- Ti credo





giovedì 7 maggio 2015

sacrobosco

Seduto sotto un albero, la schiena poggiata contro la corteccia, vertebre contro vertebre, la luce filtrava attraverso le foglie, pollini leggeri oscillavano nell’aria, avevo dei semi nella mano destra, nove semi, li ho mangiati uno dopo l’altro, masticavo lentamente, avevano un sapore di polvere, poi mi sono alzato, ho provato a muovermi, i miei piedi sembravano essersi nascosti sotto la terra, non li vedevo più, pochi secondi, le mie gambe mi apparivano lunghissime, che strana sensazione, mi passo una mano fra i capelli, non li riconosco al tatto, tiro qualcosa, foglie a forma di cuore, pulsanti di linfa violacea, azzurrina, la vedevo mentre scorreva – prova a muoverti, disse il grande albero – cosa? risposi con un sorriso - mossi un braccio (un ramo?), avevo ancora una voce? Non era un fruscio quel suono con cui pensavo di esprimermi? Avevo ancora delle parole? Avevano ancora importanza le parole? – mi muovevo, adesso, le mie gambe, le mie mani, i miei capelli, erano come sempre li avevo conosciuti, passo sotto un portone di pietra dalla forma arcuata, mi incammino su un sentiero, cespugli, alberi, piante, ci scambiamo riverberi di luce come fossero saluti, una voce profonda e oscura, il volto di pietra, i volti di pietra, i grandi animali, le statue di divinità dimenticate, gli scherzi di roccia, tutto prese vita e si popolò di voci e suoni e colori, una giostra di musica e donne seminude che fuggivano – satiri, il dio pan, il giovane bacco, dioniso sul dorso di una tigre - anche io, anche io, zoccoli caprini, ragnatele di barbe, eiaculazioni come fossero fontane, sinfonie nella mente, gli alberi danzavano in cerchio, anche io, anche io, nella casa pendente la giovane ragazza si legò a me con i suoi lunghi capelli, la sensazione della caduta, immobile, cadere, immobile, la giovane ragazza glorificava la vita donandomi il suo corpo di primavera – la notte, i fuochi, le ombre - le ombre mi volevano, nella grande bocca aperta, sul tavolo di pietra, sdraiato sulla schiena, le ninfe mi succhiavano il cazzo, gorgogliando di sperma&biancaspuma.

Stelle e disegni mai visti, fuori dalla bocca, sotto la volta celeste, i sussurri delle tue labbra, un sogno, un luogo di incanto, sarebbe stato possibile non tornare, non tornare mai più indietro? Ho nascosto un piccolo seme nel tuo cuore, solo perché diventasse la meraviglia silenziosa di un’emozione e di uno sguardo.

domenica 3 maggio 2015

...

Per non dover battere sui tasti di una cassa, mi attenni al tamburo, e dal mio terzo compleanno in poi non crebbi di un dito, rimasi il bambino di tre anni, ma anche il tre volte furbo, che tutti gli adulti sorpassavano in altezza, ma che a tutti gli adulti doveva essere di tanto superiore, che non avrebbe voluto misurare neanche la propria ombra con la loro, che di mente e di corpo era ormai un uomo fatto, mentre quelli ancora da vegliardi dovevano preoccuparsi del loro sviluppo, che non faceva altro che confermare quello che essi a fatica e spesso dolorosamente dovevano sperimentare, che di anno in anno non aveva bisogno di scarpe e di calzoni più grandi per dimostrare che qualcosa in lui cresceva.

gunter grass
il tamburo di latta

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...