lunedì 26 aprile 2021

Cigarrones #20

Misteriose luci sul fianco della montagna, in lento movimento, pozze nere sui suoi fianchi e l’azzurro, il blu cobalto di un cielo ancora indeciso se appartenere alla notte o al nuovo giorno - Different people, same drugs, aveva detto Paul quando era tornato dalla casa di John, era già sbronzo e non era ancora sera e credo ci fosse un party a Cigarrones e qualcuno stava preparando da bere e altre persone stavano parlando e Paul mi guardava con aria assente, sorridendo, gli occhi liquidi, una macchinetta fotografica appesa al collo con cui scattava fotografie mentali, invisibili agli altri, l’ho abbracciato, poi mi sono preso una birra e mi sono seduto da qualche parte, il vociare indistinto intorno stava aumentando, simile al ronzio di giganteschi insetti fastidiosi, buon vecchio Kafka che cosa sarebbe successo se ti avessero dato un acido? Non c’era via di uscita e non ci sarebbe mai stata.

Un giorno mentre girovagavo nei dintorni di Cigarrones avevo trovato un paio di scarpe da ginnastica dentro un sacco, me le ero provate e mi andavano bene, non erano troppo rovinate e così le avevo prese, continuando però a camminare a piedi nudi, l’idea che questo atto per qualcuno avesse un significato che trascendeva la mia miseria mi gratificava, era estate, dovevo solo stare attento alle pietre e alle spine e ai pezzi di vetro che potevo trovare lungo il mio tortuoso camino e a non ferirmi con essi (o forse si? Ero un masochista, dopotutto). 

Sarebbe mai finito il desiderio? L’illusione? La voglia di toccarsi e fottere e sborrare? Vittorio consigliava di farsi una sega quando i coglioni erano troppo gonfi, così si evitavano una gran quantità di problemi e di incomprensioni, ero d’accordo con lui ma c‘erano delle fantasie a cui non riuscivo a oppormi e immagini pornografiche nel buio asfissiante dei miei desideri che ancora mi perseguitavano.

Mi piaceva masturbarmi nel rio e vedere il mio seme esplodere in filamenti bianchi e perdersi nel corpo liquido del fiume, fuggendo via, il flusso della vita era un insieme inarrestabile di inestimabili attimi, le scintille fuggenti di un fuoco, l’ardere di una emozione, ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovato da solo, non sapevo dove fossero finiti gli altri o se fossero mai realmente esistiti e non me ne fregava un ben emerito cazzo.

 

sabato 17 aprile 2021

Cigarrones #19

Non mi ricordo come si chiamasse, forse Matteo ed era arrivato al mercatino di Cigarrones insieme a quella che doveva essere la sua compagna (di vita? di droghe?), sembravano tutti e due molto calmi e rilassati e avevano un banchetto sul quale avevano disposto cianfrusaglie varie: braccialetti, collanine, pipe ed altre cose di cui non riconoscevo forma e colori (e questo significava che le sostanze che avevo assunto avevano cominciato a fare effetto).

Mi chiedevo perché si fossero sistemati in disparte, lontano dagli altri, poi quando sono andato da Matteo a chiedergli un pò di hashish ne ho capito il motivo, era meglio fare questi scambi non proprio nel bel mezzo dell’area del  mercatino anche se tutti lì fumavano porro in continuazione e credo che non ci fossero problemi a venderlo davanti alle altre persone. Magari era solo uno scrupolo di Matteo o i resti di buone maniere ormai dimenticate. Comunque Matteo voleva il suo spazio personale per i suoi piccoli affari e abbiamo anche parlato mentre ero con lui e la sua faccia pareva quella di un uomo senza nessun problema al mondo, se non quello di seguire il flusso del tempo, gli mancavano un paio di denti e i suoi occhi apparivano puri al mio cuore. Il fumo che mi aveva dato non era un granché, era abbastanza secco e non di prima qualità, quando l’ho riscaldato per farmi una canna sembrava rilasciare un pò di olio (o forse paraffina?) o qualche altra schifezza che ci avevano aggiunto per aumentarne il peso. L’hashish mi faceva pensare al nepalese e forse lo era (o lo era stato).

Ho rivisto Matteo con la sua compagna (di sbronze? di sconfitte?) un’altra volta, mentre camminava per il pueblo, non sembrava così sereno adesso, qualcuno mi aveva detto che aveva cominciato di nuovo con la roba. La felicità per ognuno di noi è un cavallo selvaggio e può avere diversi nomi. Così come la nostra disperazione. Che galoppa lungo i sentieri dell’anima e tutto chiede, sacrifica e divora.

 

mercoledì 14 aprile 2021

Orgiva #33

 C’era un’inquietudine nel cuore ed era la fine di qualcosa che ci apparteneva a tutti e la sensazione che nulla sarebbe stato uguale a prima anche se nessuno sapeva quello che sarebbe venuto dopo e se sarebbe stato migliore o peggiore.

La stupidità umana non la potevamo cambiare, né farla scomparire ed aveva ragione Camus e a me pareva che più si parlava, più si discuteva, più si lasciavano la lingua e la bocca libere di creare parole e più il rischio di aumentare il livello di idiozia generale cresceva - Eppure le mascherine avrebbero dovuto diminuire questa esigenza malata di comunicare, soprattutto quando non c’era un cazzo da dire, cioè quasi sempre e invece la gente sembrava non capire questa opportunità, sembrava non capire che era arrivato il momento di smetterla con tutto quello che ci aveva contraddistinto come specie fino adesso, cioè una montagna di merda e che forse eravamo davanti a una possibilità di evoluzione, ma le scimmie non la vedevano, non volevano afferrarla e non c’era nessun monolite a istruirle e continuavano con i loro giochi circensi nello zoo decadente di una morale in rovina.

Ancora droghe, ancora alcol, ancora donne con la voglia di chiacchierare di mattina, di parlarti dei figli, dei problemi, della loro vita e quale era la ricompensa? Che aprissero le cosce? La situazione non sarebbe mai migliorata, uomini soli ai tavoli di un bar a fumare sigarette e bere caffè corretti, anche loro a parlare, con rassegnazione nello sguardo e una sublime consapevolezza di stare invecchiando e di avvicinarsi alla morte e di lasciare andare via tutto quanto, quello che ci è appartenuto e mai è stato nostro, quello che abbiamo perso, il senso di una esistenza, quello che per molti era il denaro a dettare, su conti correnti, bonifici, stipendi, eredità, i soldi come etica quando tutti i valori morali se ne erano andati a puttane, abilmente cancellati e sostituiti e poi hanno inventato nuovi modi per fregarci senza neanche il bisogno di nasconderli e più erano evidenti e inutili e più le persone li cercavano e li volevano e si sarebbero fottute a vicende per averli.

Reinventarsi la vita sarebbe stato un atto di rivolta, un manifesto esistenziale, lo avrei fatto da solo, perché dagli altri era sempre meglio tenersi lontani, questo gioco era solo uno stupido e passeggero contatto di ombre che qualcuno aveva ancora il coraggio e la disperazione di chiamare amore.


domenica 11 aprile 2021

freewheelin' #55

C’erano tante case in vendita nel pueblo, alcune abbandonate da anni, altre perdute nella memoria, che nascondevano storie mai narrate, scritte sui muri, nella polvere, nei perimetri sbiaditi di legami familiari smarriti, negli echi di dialoghi e mute dichiarazioni d’amore.

Letti sfatti, porte sfondate, lenzuola strappate, coiti ammuffiti, ragnatele di pensieri inesistenti, cronache del secolo passato, di ciò che ne è rimasto, lapidi funerarie, cipressi ai lati della strada che portava al camposanto, le processioni, gli idioti sulle sedie a rotelle, le preghiere, le croci, la bava alla bocca, le fotografie che ritraggono i morti, la lenta agonia delle stagioni svanite, mosaici di una malinconia infinita, piastrelle distrutte di cessi intasati, ragazzi che si masturbano in fila, i giornali pornografici sotto la maglietta, schizzi di sborra a pitturare le pareti avide dei segreti di adolescenti arrapati, una donna in divisa che li chiama uno ad uno, osserva le erezioni, decide chi avrà diritto a un orgasmo e chi dovrà ancora aspettare una settimana nell’agonia delle sue tentazioni, la stanza della castità forzata, le dottoresse con le gonne corte e le calze velate, mentre ti mostrano i loro piedi, lasciandoti in uno stato di costante e pulsante frustrazione - Non seguire le direzioni erotiche di queste fantasie, di queste ossessioni, interruzioni visive nello spazio millimetrico fra un’immagine feticistica e un’altra - Poi tornava la luce e io dimenticavo come ero arrivato fino a qui, pioveva e il cuore era gelido, le puttane scendevano in strada, i loro protettori fumavano sigari nel caldo di un locale di sorrisi stagnanti, la cena era servita in una camera piena di fumo e specchi in frantumi, aspettavamo che arrivasse il nostro turno, per varcare la soglia e inginocchiarci di nuovo.

venerdì 9 aprile 2021

Orgiva #32

 Non credo che si potessero superare i limiti del paese (quali limiti? Mentali? Fisici?) o andare in un’altra città senza una ragione valida, non che ci fossero mai stati buoni motivi per muoversi, diceva lo scrittore, grattandosi la barba, se non il puro desiderio di andare e fuggire e infine sparire per sempre.

Avevano cancellato il volo per Roma, qualcosa o qualcuno mi tratteneva qui, in uno spazio sospeso e malleabile in cui mi ritrovavo a galleggiare - A volte sprofondavo nelle derive masochistiche (mollette sui capezzoli ed elastici intorno a coglioni) delle mie fantasie sessuali, mi potevo poi sciogliere nella luce e perdermi nelle sue visioni, provavo a scrivere qualche pagina ogni giorno e a non cadere nelle trappole della quotidianità, anche se una parte della mia mente ancora rielaborava vecchi schemi, vecchi comportamenti, abitudini sbagliate, pensieri inutili.

Una vita domestica, un’esistenza nomade, un giardino dove osservare le piante crescere, gli alberi, una piccola e confortevole casa, un camino, assi di legno per pavimento, lenzuola pulite e coperte colorate di flanella, il loro odore, l’incenso, i cuscini orientali, i folti tappeti sui quali sedersi nella posizione del loto a meditare, le maschere africane sulle pareti, perché ogni nostra espressione non sia altro che l’ombra di uno spettacolo mai allestito.


E credo fosse il compleanno di Taran ed eravamo andati tutti quanti a Newport Sand e avevo comprato della birra e avevamo fatto un fuoco sulla spiaggia e durante il giorno ogni particolare, ogni dettaglio brillava di luce propria e avevo  passato la notte accanto a Samara, il contatto del suo corpo e del suo culo contro il mio cazzo e le stelle nel cielo e Claudia che dormiva vicino a una duna avvolta nelle sue coperte di viaggi dimenticati e c’erano bambini che giocavano sulla sabbia, al tramonto, correndo e saltando e Steve suonava la chitarra e cantava e ricordo così chiaramente la sua voce, adesso che non potrò sentirla mai più e poi una breve avventura in canoa, con Samara, la mattina dopo, a risalire le maree dell’immaginazione e le sue risate e il suo volto e poi una passeggiata solitaria fino a un pub a Newport ed era estate, ed era estate e ho bevuto un paio di pinte nella fresca penombra di una sala interna e poi sono tornato alla spiaggia dove erano tutti gli altri, camminando a piedi nudi e c’erano scintille che le onde creavano in un’ode di luminosa bellezza e adesso sono seduto a scrivere a un tavolino della terraza Castillo, dove è la mia voce? Il mio corpo? Dove sono finite le mie mani? Le mie emozioni? Non qui, non fra questi vicoli e queste case sul punto di crollare, non fra i passi muti e gli sguardi bassi, c’è un altro me stesso in ogni sequenza del passato che ancora ripete le medesime parti, senza accorgersi delle quinte, del sipario tirato, delle poltroncine di damasco rosso vuote nella platea, dei palchetti silenziosi, c’è un altro me stesso in ogni età passata, in ogni nuovo inizio a cui non darò più nessuna importanza - Non avevo intenzione di mandare avanti questa farsa in una serie di repliche insulse, avrei dovuto veramente reinventare la mia presenza in questa commedia umana, nei suoi interminabili e misteriosi atti, negli echi di ciò che ci è passato accanto, nel risveglio in un mondo trasformato, dove nulla di ciò che avevi creduto reale ha continuato a esistere.

martedì 6 aprile 2021

Orgiva #31

 Cupe nubi intono alla cima della montagna, il profilo del volto di un gigante addormentato, le linee stilizzate di una maschera africana, Modigliani a Parigi e improvvisi e dolorosi squarci di luce nel cielo e il vento fra le palme e i ricordi di Saigon, di una stanza d’albergo distrutta, dell’odore del sangue e del napalm, delle ferite dell’anima e delle bottiglie di vodka ormai in frantumi.

La danza della polvere nelle mattine dell’infanzia che inaspettata si ripeteva in questa assenza di stimoli, impulsi, progetti, aspettative, meglio così, suggeriva lo scrittore, che cazzo te ne frega di fare qualcosa quando è la vita a trascinarti con lei, impara ad oziare, a startene a letto, non che mi riesca così difficile, dopotutto, suggeriva la mia ombra mentre si grattava allegramente il culo infilandosi un dito nell’ano.

L’unica energia che ancora sentivo fluire era quella che mi passava nei coglioni, ogni giorno più gonfi, la sublime attesa di scopare o sborrare o essere punito, i soliti trucchi della mente e dell’immaginazione, l’attesa di un contatto, di una carezza, di uno schiaffo.

Ci è stata data un’educazione sbagliata nelle marce aule di scuole fatiscenti, eravamo seduti in classi putride, dove i fantasmi di un secolo passato e dimenticato raccontavano le loro sconfitte e scrivevano temi di sconvolgente inutilità, rispondendo a domande germinate nel buio di un pensiero che mai sarebbe fiorito nei giardini segreti e seducenti della creatività artistica, eravamo stati ingabbiati in un mondo disinteressato agli insegnamenti della bellezza, ci avevano solo lasciati liberi di appassire nel ricordo di qualcosa che nessuno appunterà mai ai margini di un libro di storia o di estatica estetica - Meglio così, gridava uno degli scimpanzé saliti in cattedra nell’Università Balinese - Eiaculazioni filologiche e sperma pandemico e ‘fanculo al vagire delle vagine viaggianti.

Voci obliate, volti cancellati, discorsi come echi di discussioni fallite.

Ombre di erezioni alla sera, quando tutti tornano a una casa che non è mai stata la loro, ci divertiamo a smarrirci nelle menzogne che ci raccontiamo, ci abbracciamo per condividere il peso soffocante delle nostre solitudini, non ricordo come sono giunto fino a te e presto troverò un’altra immaginaria ragione per andarmene via da questi muri e dai nomi che dita tremanti, in un giorno di resa e abbandono, hanno scritto sulle loro superfici ondulate e lucenti, nel riverbero di una crisi di astinenza che solo i più stolti chiameranno ancora amore.

lunedì 5 aprile 2021

Cigarrones #18

 Quello che dovrei fare è dimenticarmi di questo luogo e dei suoi abitanti del subconscio, diceva lo scrittore, dimenticare il motivo per il quale sono arrivato fino a qui, reinventarmi la vita, un nuovo ruolo, una nuova maschera, un impensato personaggio, tra l’idiota e l’osceno, e lasciare ondeggiare nell’oblio delle sostanze sintetiche i volti del passato, ormai invecchiati, il mio compreso.

John era sceso da Torvizcon fino a Cigarrones in un giorno imprecisato alla fine di maggio, aveva camminato per quasi sette ore e si era fermato a dormire sul divano rosso sfondato che si trovava nell’area del mercatino. Io avevo rimediato una piccola tenda nella quale passare le mie notti di orgoglio&abbandono. Il giorno seguente aveva piovuto parecchio, stranamente e John aveva deciso di tornarsene a Torvizcon (cosa fosse venuto a fare a Cigarrones non mi era ben chiaro) e Paul lo aveva seguito e poco dopo che si erano messi in marcia la pioggia aveva iniziato a cadere, sempre più forte e mi chiedevo, mentre ero seduto su un altro divano sfondato, se avessero trovato un riparo, non so, una grotta o un albero, poi i pensieri si sono disciolti e ho continuato a sorseggiare la mia birra, ascoltando il rumore della pioggia sulle lamiere di metallo che ricoprivano il mercatino e mi proteggevano dal temporale. Pensavo anche alla mia tenda e speravo che resistesse bene con questo tempo. Alle brutte avrei passato un’altra notte sul divano sfondato con il mio sacco a pelo.

Avevo parlato un pò con John degli Hawkwind e gli avevo raccontato di quando avevo incontrato Nick Turner, ormai quasi ottantenne, di ritorno da Malaga, lo accompagnava un amico di Samara che lei aveva riconosciuto sull’aereo che ci stava riportando a Bristol. Una volta a terra l’amico di Samara ci aveva offerto un passaggio fino a Bryn y Blodau e avevamo scaricato Nick nella sua casa, dispersa nella campagna gallese, prima di arrivare alla nostra terra promessa.

John fumava costantemente erba, aveva la barba lunga e un cappello tipo cowboy schiacciato ai lati, mi ricordo che una volta aveva cantato qualche canzone rock/blues in una delle serate musicali di Cigarrones, la sua voce era spezzata e roca e dolorosa e urlante e folle, io ero naturalmente già sbronzo, fra il pubblico e come al solito non avevo capito un cazzo di quanto era successo.

Mi piaceva, alcune volte, scrivere sulla panchina davanti all’eremo di San Sebastian, c’era silenzio intorno (e dentro al mio cuore) e la temperatura era perfetta, il calore sul collo, l’oro nella mente, il diamante splendente della realtà che vibrava nel vuoto delle nostre illusioni, la pallida e innocua presenza del vento, una croce di pietra a testimonianza di tutto l’inutile dolore della nostra candida e sadica precarietà.

Oggi era già ieri e domani non è mai esistito.

domenica 4 aprile 2021

Orgiva #30

Sara era andata a trovare la madre e al suo posto erano arrivate a casa un altro paio di presenze femminili. Non mi importava, bastava che non parlassero troppo, lasciassero pulito e non mi rompessero i coglioni con i loro problemi e le loro storie. Me ne stavo in camera, scrivevo, lavoravo con le foto, meditavo, dormivo. Mi piaceva quando arrivava la notte e mi rintanavo nel mio spazio, accendevo una candela e il termosifone, mi mancava una stufa a legna, ma andava bene così, c’erano stati altri luoghi per quelle esperienze.

Clarabelle era tornata dall’Inghilterra, le era morto il padre ed era dovuta andare lì per i funerali e per stare con la madre. Ci eravamo incontrati al Limonero ed era venuta spingendo la sedia a rotelle di una sua amica. Poi ci siamo sistemati ad un tavolo, le donne parlavano, io le ascoltavo mentre mi scolavo un paio di birre. Poi abbiamo mangiato insieme. Clarabelle si era portata dietro le fiale di morfina del padre e la notizia mi sembrava degna di essere celebrata, così ho ordinato un brandy per me e per lei e abbiamo brindato.

Il tempo per scrivere, quello per vivere, tutto quello che non avevo mai avuto era qui e io non volevo vederlo, rinchiudendomi nelle mie solite ossessioni, paure, nelle aspettative degli altri, nelle loro illusioni, nei loro bisogni. Me ne sarei rimasto in disparte, ancora una volta, qualcosa si stava di nuovo muovendo, c’erano giorni che ti inchiodavano nella loro malinconia ed altri così gloriosi che ti saresti inchinato davanti ai piedi nudi di qualche divinità indiana, per inondarli di sborra e luce, per farti chiamare come nessuno aveva mai osato fare, perché la voce di questo mondo, ragazzo mio, ha solo sinuose menzogne da raccontarti.

sabato 3 aprile 2021

Orgiva #29

Sarei dovuto venire qui quando avevo ventanni e perdermi nella luce o fra le gambe e le tette di qualche giovane ragazza, qualcosa si era smarrito nel mio cuore, i desideri adesso erano più opachi e la presenza femminile anche se a volte piacevole e leggera dopo un pò diventava asfissiante, carica di preoccupazione, incostante, mortale - Mi ero lasciato dietro così tante cose e persone e non volevo percorre di nuovo quelle vie - C’erano degli zingari che vivevano dietro al Viejo Molino, credo che occupassero un intero palazzo, vendendo sostanze stupefacenti e facendosi i cazzi loro e delle loro famiglie, il luogo aveva un’aurea di sporcizia e squallore e una quantità di storie che avrei potuto inventare al suo interno - Avevo trovato un’intera collezione di corti di Charlie Chaplin nella barca di legno vicino a El Morreon, dove la gente lasciava un pò di tutto, inoltre mi ero preso un paio di scarpe da donna, qualche reggiseno e un tanga per le mie attività feticistiche e masturbatorie, era stata un buona giornata, a camminare e respirare, senza rotture di coglioni, poi mi ero seduto su un muretto ed era passato un gregge di capre e il loro odore, così intenso, pungente e floreale mi aveva colpito le narici e a occhi chiusi mi ero ricordato delle capre di Samara e di tutte le botte che gli avevo dato, soprattutto a una, la più caparbia e testarda. 

Un paio di notti fa avevo sognato di picchiare Sara mentre eravamo a letto e più o meno avevo provato la stessa sensazione. Era qualcosa di animale la violenza e così il sesso e la prima non apparteneva alla mia anima anche se a volte, le circostanze, mi costringevano a mostrare la mia istintualità, non so se le capre la avessero apprezzata ma alcune signore sembravano decisamente goderne.

 

giovedì 1 aprile 2021

Verso Nord (2004)

Stacco dal turno alla pompa di benzina verso le sette di sera. Oggi è giorno di paga e il capoccia, dopo che mi sono cambiato, mi allunga l’assegno settimanale. 

Questi quattro soldi di merda per pagarmi l’affitto e da mangiare.

Questi quattro soldi di merda per campare.

Mentre mi allaccio la giacca pesante e alzo lo sguardo verso il cielo, i colori sono già più tenui e sento la notte avanzare.

Mentre mi allaccio la giacca pesante pesco una sigaretta dal pacchetto e l’accendo.

Intorno a me la Città.

Lampioni che prendono vita, una brezza che si alza da nord, persone che battono i piedi alla fermata di un autobus.

Oggi ho visto alcuni ragazzi passarsi un giornaletto porno e una bottiglia di whisky.

Avranno avuto quattordici anni.

Ridevano, sembravano felici.

Avrei voluto essere uno di loro.

Mentre riempivo di benzina un’ennesima anonima macchina.

Mentre con la voce bassa salutavo l’ennesimo anonimo volto.

Mi fermo in un supermercato per comprare una confezione da sei di birra.

Poi con la busta in mano e la giacca chiusa mi incammino verso la mia stanza.

Un’altra settimana di merda è finita.

Non ho amici con cui stare, donne a farmi compagnia, allegria da spartire.

Ho me stesso.

Il mio universo.

Ho tutto quello di cui non ho bisogno.

Me stesso.


Aprendo la porta della mia stanza mi accorgo di quanto faccia schifo il posto dove vivo.

Sparsa per il pavimento c’è la biancheria di un’intera settimana.

Sparsi per il pavimento ci sono i resti delle sbronze di almeno una settimana.

Cadaveri vuoti e tristi.

Mi butto sul letto senza neanche levarmi la giacca.

Ultimamente non ho pagato il riscaldamento e dentro la stanza fa un freddo boia.

Stappo una lattina e accendo una sigaretta.

Mi avvicino alla finestra.

Secondo piano su una strada.

Guardo di fuori.

La notte si è impossessata della città.

Ancora lampioni.

Poche persone.

Mi soffermo sui fari delle macchine.

Sembra che almeno loro abbiano un posto dove andare.

O qualcosa da illuminare.

Butto la cicca.

Apro la seconda lattina e continuo a guardare fuori.

Respiro l’aria fredda.

Accendo un’altra sigaretta.

Penso al Grande Nord.

Ai boschi e ai laghi e agli alberi sempreverdi.

Penso ad un viaggio verso quelle terre.

Un viaggio in autostop.

Invece di questi quattro soldi di merda per campare.

Di questa gabbia, di questa prigione.

Butto la cicca.

Poi apro un’altra lattina e così siamo a tre.

Apro l’armadio.

Trovo la valigia e la poggio sul letto.

La apro.

Prendo i miei pochi vestiti e ce li infilo dentro.

Prendo le mie povere cose e ce le infilo dentro.

Un paio di libri in versione economica.

La roba per il bagno.

Un paio di quaderni dove appunto i miei pensieri.

Poi guardo l’assegno.

Quanta miseria.

Quanta miseria per tutto il tempo in cui ho dovuto lavorare senza che me ne fregasse un cazzo.

Chiudo la valigia, poi la porta della stanza.

Poi sono per strada.

Sono per strada.

Mi incammino di nuovo verso nord.

Il Grande Nord.

Guardando le stelle.

Sperando che mi indichino una direzione.

Poi sono sul bordo di una strada abbastanza trafficata.

Soprattutto camion e macchine.

Cammino sul bordo della striscia bianca fino alla prima stazione di rifornimento.

Mi avvicino ad un camionista.

Parlottiamo.

Guardo di nuovo le stelle.

Una brilla più delle altre.

Deve essere la mia stella fortunata.

Il camionista mi dice che per un pezzo di strada potrò viaggiare con lui.

Poi è solo buio e velocità e due coni di luce che illuminano la strada.

Mi stringo ancora di più nella giacca.

E di questo nulla che chiamiamo vita non rimane altro che asfalto e una tristezza nel cuore alla quale non ho mai saputo dare un nome.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...