lunedì 18 giugno 2012

svuota&riempi



La stessa storia di sempre… svuota&riempi, baby… la stessa storia del mondo… un buco da riempire… qualcosa di caldo e pulsante che ti sale nelle viscere… dilatazione anale… se hai deciso di non cedere all’impulso riproduttivo che ti spinge ad inserire il tuo caldo e pulsante pensiero in un corpo femminile… esplosioni di sperma… un insetto trasformato in una macchina da scrivere… una calda e soffocante stanza di Tangeri… le lenzuola sudate e sporche di urina e sperma… i solitari giochi di pelle… cinture e buchi sempre più stretti… il sapore del seme bianco che cola lungo le labbra… un fiotto di vita, baby… e niente più…

I turisti osservavano le donne in vetrina, masturbandosi in maniera compulsiva… la luce rossa lampeggiante… lo scatto di una serratura… pensieri deliranti e bava alla bocca… spingi più forte… fai sentire la carne… i negozi di pelle… la pelle plastificata… vagine di plastica… carne di plastica… inserzioni e secrezioni…

Eri nervosa a gambe aperte sul letto… le natiche divaricate… i disegni fuori dal tempio… una scrittura di simboli fallici… un alfabeto di sensi estatici… l’inchiostro bianco… a fiotti sulla pelle… girava la testa, baby… altra sostanza… il panico… la carne pulsava… a quindici anni la tua prima trasformazione… il tuo primo orgasmo… sostanza che si appiccicava alle mani… il fiotto bianco… lo schizzo di gioia… la lunga e inevitabile dipendenza… i centri di cura…

Dall’esterno ti vedevano seduto ad un tavolo… una pinta di beck’s e un taccuino nero sul quale scrivevi… l’illusione dell’arte… la scrittura automatica…

Più accumulavi energia sessuale, più intorno a te percepivi il mondo in forme erotiche… una volta liberata la sostanza bianca… tornavi a fluire… la mente libera dall’istinto di riproduzione… libere associazioni… trascrivere in parole il flusso dei pensieri… il colore della mente è un prisma lucente…

E per tanti, baby, è solo una questione di potere.

domenica 17 giugno 2012

Sileno



Era arrivato un messaggio sul cellulare, sul piccolo schermo c’era scritto armando diaz, ho aperto il messaggio e qualcuno mi scriveva sulla possibilità di fare il montaggio di un film e che il progetto stava per iniziare e se volevo partecipare.

Una ragazza era nella mia stanza e mi voleva vendere delle tavolette di hashish, mi sembrava che il prezzo fosse troppo alto rispetto alla quantità. Abbiamo trovato un accordo. Poi lei mi ha salutato e mi ha baciato sulle labbra, poi le immagini sono diventate più veloci e il montaggio ha creato un’ellissi temporale, ci siamo ritrovati dentro una macchina, lei mi diceva he ero un uomo affascinante, io me la sono messa sopra e ho iniziato a toccarle il culo.

Era da poco mattina e la strada era già piena di macchine, i colori del cielo erano tenui e delicati e in lontananza si potevano vedere le file di palazzi, il fumo bianco di alcune fabbriche, i lavori che stavano devastando il terreno per fare nuove strade, i mezzi meccanici, dentro la mia auto i suoni erano ovattati, le lenti rosse dei miei occhiali trasformavano il reale in una piacevole visione del futuro, il mondo avrebbe assunto quelle sfumature, un domani, quando i gas di scarico e gli agenti chimici avrebbero modificato l’aria e i colori o la nostra percezione, la mutazione faceva parte del processo evolutivo, un domani, mi dicevo, i colori non sarebbero stati più gli stessi o forse avremmo dovuto inventare nuovi nomi per classificarli.

Dentro la macchina. Fuori i getti d’acqua creavano milioni di goccioline che risplendevano sul parabrezza e sui finestrini laterali, mentre scivolavano verso il basso. Goccioline di acqua e sapone e solventi chimici ideali per ripulire la carrozzeria. Dentro la macchina i suoni erano attutiti, mi sentivo protetto, al sicuro. Cercai mentalmente dei collegamenti con l’essenza stessa dell’automobile, respirai lentamente e mi dissi che il mio corpo era quello della macchina, che l’acqua che colpiva la macchina colpiva anche il mio corpo, mi trovavo dentro di lei, come in una meditazione trascendentale, ancora più a fondo, quindi, dentro me stesso. Il corpo della macchina, l’anima della macchina, il mio corpo, la mia anima. Ero sceso di quattro livelli e le mie percezioni dovevano cogliere quanti più stimoli possibili. Mi espandevo e rientravo dentro, seguendo i respiri.
L’esperienza estetica della luce riflessa nelle goccioline, miriadi di scie umide e luminose, il rumore dell’asciugatore elettrico che spingeva le goccioline verso l’alto. Sembrava quasi che fuggissero impaurite da quel barbaro nemico, il rumore dell’aria, mi collegai con un’altra immagine mentale e un altro ambiente, dentro un aereo, il momento del decollo, il rumore dei motori, immaginai di partire, protetto e chiuso in un corpo di metallo.

L’ultima immagine, bianca e splendente.

La parola cut.

Il comando della divisione. Quello dell’unione.

La notte e il giorno. Il tempo che fluiva.

Un montaggio di pure forme. Una sinfonia visiva.

Gli appunti di Ejzenstein e Nietzsche.

La nascita della tragedia.

Superare il dolore dell’individualità, in comunione con la natura.

La musica e l’estasi. L’ebbrezza e lo sconvolgimento dei sensi.

Il sogno.

La luce.

L’illusione.

Sileno che danza nudo in mezzo ai boschi e continua a cantare:

Non essere nulla, non essere nulla, non essere nulla

giovedì 7 giugno 2012

...

Perché solo quando scopi riesci a vendicarti, anche se solo per un momento, di tutto ciò che non ami nella vita e di tutte le cose che nella vita ti hanno sconfitto. Solo allora sei più nettamente vivo e più nettamente te stesso. La corruzione non è il sesso: è il resto. Il sesso non è semplice frizione e divertimento superficiale. Il sesso è anche la vendetta sulla morte. Non dimenticartela, la morte. Non dimenticarla mai. Si, anche il sesso ha un potere limitato. So benissimo quanto è limitato. Ma dimmi, quale potere è più grande?

philip roth
l'animale morente

lunedì 4 giugno 2012

stasera mi ammazzo



Mi ero seduto da una parte ad aspettare l’autobus e stavo ascoltando freak out di frank zappa, ero tranquillo, mi sono accorto che vicino a me sedeva un uomo, non sembrava messo tanto bene, ho visto le sue labbra muoversi, ma avendo le cuffie dell’ipod dentro le orecchie non ho sentito quello che diceva.
Mi sono tolto le cuffie, si?, gli ho detto, lui mi ha guardato e mi ha detto, stasera mi ammazzo, io sono rimasto in silenzio, non avevo nulla da dirgli, lui ha ripetuto un’altra volta, stasera mi ammazzo, io ho continuato a rimanere in silenzio, poi si è alzato e se ne è andato, nella mano destra aveva un busta di plastica con dentro quella che sembrava una coperta e altri stracci.

Da cosa era dovuta la mia indifferenza?
Quell’uomo mi aveva detto qualcosa di vero o era solo una frase buttata lì, da una persona con problemi, una di quelle frasi che ogni tanto si dicono quando stiamo particolarmente depressi.
E se fosse stato vero?
Se tra tutte le persone mi avesse scelto come testimone della sua morte?
Se dentro di lui avesse deciso di chiedere un ultimo aiuto e in caso di un’altra umiliazione si fosse andato ad uccidere?
Nel paio di minuti in cui l’avevo visto scomparire ho pensato a questo.
Non mi sono alzato. Sono rimasto seduto.
Ho di nuovo messo le cuffie nelle mie orecchie. Ho cambiato la musica.
I chemical brothers con further hanno iniziato a salirmi nel cervello.

Da cosa era dovuta la mia indifferenza?

Le persone con i loro problemi mi circondavano, a quanto pare incapaci di risolverli con le proprie forze. Mi circondavano le miserie e le pene di molte persone, a cui cercavo di regalare momenti di quiete, se non con il mondo per lo meno con se stesse.

Ma c’era qualcosa di ancora più prezioso.

Era quello che avevo dentro, che a volte condividevo e a volte volevo tenere per me.

Perché quando ero solo, chiuso in quella bellezza lucente, senza gli echi distorti delle parole, delle vite, dei dolori degli altri, ero felice e stavo bene.

E quella gioia, che avevo trovato, era la cosa più importante che possedevo.


Lei era appoggiata ad un piccolo muro di pietra e disegnava su un blocco di fogli bianchi. Ero seduto poco lontano, per terra e la guardavo disegnare. Gli occhi che si alzavano di scatto dal foglio, concentrati, a cogliere linee e proporzioni e forme. Poi mi guardava e sorrideva. Io rimanevo in silenzio.

Ci amavamo.

Ed era lei che mi abbracciava in quella stessa quiete, in quella luce, senza chiedere nulla.

Era lei, adesso, quella stessa felicità.

domenica 3 giugno 2012

industrial #6


Avanzò lungo i corridoi, tenendo la pistola bassa. Ad ogni angolo, il cuore gli batteva più velocemente e con un movimento rapido, alzando la pistola, si spostava verso il nuovo ambiente. Entrava dentro le stanze, residui organici e metallici, vetri rotti, armadi fatti a pezzi, disegni incomprensibili sui muri, odore di benzina e solventi chimici. Arrivò in una stanza con dei cartoni al posto dei vetri di una finestra, altri cartoni per terra, a formare un materasso e poi una stufa. Ispezionò la stanza in cerca di indizi, sotto gli strati di cartone trovò la foto sbiadita di una donna nuda, il culo e il sesso della donna erano ben visibili. Rimise la foto al suo posto e uscì. 
Arrivò in una grande sala con un soffitto a volta, dove gli uccelli vivevano e si riproducevano. Il battito delle loro ali rompeva il silenzio ed echeggiava in suoni concentrici che diminuivano e aumentavano. La velocità del battito delle ali cambiava, i fotogrammi potevano muoversi nella sua mente al rallentatore, le singole immagini nitide e dettagliate. 
Scese verso il basso e camminò per i sentieri, la pistola in mano. Osservò uno strano fiore dai colori purpurei, vicino ad un muro. Il fiore gli sussurrò mentalmente di avvicinarsi. Lui si abbassò i pantaloni e le mutande, il cazzo eretto e infilò la punta all’interno del fiore. Questo si strinse e iniziò a succhiarne la punta in maniera lenta e ritmica. I pistilli iniziarono ad entrargli dentro l’uretra e a spingersi in profondità. Il fiore rilasciò gradualmente una sostanza urticante. Il cazzo gli si gonfiò e iniziò a bruciare. Divenne di un colore violaceo, simile a quello del fiore, ma più scuro. La voce continuò a sussurrare immagini nella sua mente. 
Corse nudo lungo i sentieri. Ogni volta che si fermava il suo cazzo eiaculava filamenti violacei, cadevano nella terra e sbocciavano in fiori purpurei. 
Salì sulle scale di una palazzina sventrata, l’aria fredda sul corpo blu, arrivò al terzo piano e si fermò. Puntò la pistola e fece fuoco. Il proiettile si mosse al rallentatore, fotogramma dopo fotogramma. L’ombra dell’uomo esplose in schegge argentee, si avvicinò al pavimento e iniziò a raccoglierle, cercando di non tagliarsi. 
Le schegge si sciolsero nelle sue mani e iniziarono a ricoprire tutto il suo corpo di una sostanza argentea e liquida, simile al mercurio. Quando ne fu totalmente ricoperto ebbe una nuova erezione e il suo corpo perse i contorni umani per trasformarsi in una strana figura metallica. Iniziò a girare e a produrre calore. Arrivato al punto di fusione il metallo vivente si sciolse di nuovo, in una eiaculazione argentea, scivolando lungo il pavimento. 

L’uomo si fermò davanti ad un angolo del corridoio, la pistola in mano. Respirò lentamente, senza paura. Guardò dietro l’angolo. Nessuno. Si rimise la pistola dentro i pantaloni. Tornò indietro verso l’entrata dell’edificio. Fuori stava sorgendo un sole verdognolo. Doveva essere l’alba. Il profumo intenso e dolciastro di alcuni fiori ricordava quello della morte.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...