lunedì 31 agosto 2015

le alte torri #14



Ti fermavi, non tanto perché andare avanti non avesse più senso, quanto perché il tuo uomo non si trovava ed eri stanco di cercarlo, aveva lui quello che ti serviva, lo sapeva, conosceva bene, il bastardo, il valore del tempo e dell’attesa e tutta quella marijuana che arrivava dall’albania, P.L. lo sapeva, ci aveva pensato lui ad organizzare quel traffico, qualcosa non tornava, qualcosa mancava sempre, era il pensiero del bisogno e della dipendenza, di qualsiasi dipendenza e vedere questo mondo andare a puttane non aiutava di certo a migliorare la situazione, era tutto un correre appresso ai soldi e se non erano i soldi era qualche altra merdata che ti avevano venduto e di cui ne volevi ancora, non c’era più spazio neanche per il sesso o i rapporti umani, loro continuavano a strisciare come vermi e le stelle scomparivano nel cielo, inghiottite dai buchi neri delle multinazionali cosmiche che stavano divorando l’intero universo, non sarebbero neanche rimasti più la notte e il giorno e l’ordine naturale delle cose, il capitale aveva vinto e marx si grattava via la cenere dalla barba e dai suoi vestiti logori.
I ragazzi arabi si sedevano sulle panchine o stavano in piedi negli angoli delle strade, bastava uno sguardo, non c’era bisogno di parlare, li seguivi un po’, perché non avevano mai la sostanza addosso, poi aprivi la mano, un trucco di magia e sentivi la sostanza tra le dita, le chiudevi a pugno, perché non cadesse, con l’altra mano allungavi i soldi al ragazzo arabo, uno sguardo di saluto e ognuno per la sua strada e in effetti non c’era neanche troppo da aspettare, perché i ragazzi erano ovunque e le sostanze erano di facile reperebilità, quelle scadenti per lo meno, quelle buone bisognava sapere dove trovarle, conoscevo alcuni luoghi, alcune strade, alcuni portoni dove potevo prendere quello che volevo, bastava pagare e tutto diventava possibile. La frusta era arrotolata ed appesa ad un muro, non credevi più alle dolci parole, l’amore era un colpo sordo e poi un luminoso silenzio.

mercoledì 12 agosto 2015

le alte torri #13



Scese per strada, la luce era forte, aveva la testa leggera e voglia di camminare. Passò sotto il tunnel che divideva il suo quartiere da quello cinese. Alla fine di esso, quando il buio lasciava di nuovo spazio allo sguardo accecante del giorno, sentì una voce femminile chiamarlo. Si fermò e lei si avvicinò, spingendo una bicicletta. Gli occhi della ragazza erano molti tristi e lui non aveva il desiderio di guardarli, la sua mente era calma e senza peso e i pensieri si muovevano come lente onde, mentre quegli occhi, anche se chiari, erano come pietre che cadevano in un abisso di malinconia e dolorosi ricordi e allora lei gli prese le mani, perché capì che con lui le parole non avrebbero funzionato e i loro palmi e le loro dita entrarono in contatto, così le immagini iniziarono a fluire nella sua mente - le stanze di tortura, gli aguzzini con i cappucci, la morte della madre e quella del fratello, fotogrammi pieni di sofferenza e lui cercò di staccare le mani da quelle di lei, perché non voleva vedere quelle cose, non voleva sapere più nulla di quelle cose, con uno strattone si tolse dalla presa delle sue dita e fu come un profondo respiro dopo che si è tenuto il naso chiuso per parecchio tempo, ci fu una scossa elettrica nel suo cervello e la guardò meglio, guardò il suo corpo e non solo i suoi occhi, era un bel corpo, un corpo capace di eccitare e riemersero le immagini di quello stesso corpo torturato e stuprato e di nuovo la guardò negli occhi e vide immagini di se stesso mentre la torturava e allora lui si girò e si allontanò senza dirle nulla, se ne andò verso il quartiere cinese, aveva un appuntamento o forse erano solo echi di lontani discorsi ormai scomparsi, doveva andare e continuare a camminare. Sentiva ancora in bocca il sapore amaro delle radici che aveva masticato prima. Il cielo divenne rosso, per un momento, lui rimase estasiato a guardarlo. Poi continuò per la sua strada, uguale a tutte le strade, continuò a camminare verso il nulla, un vuoto multicolore che lo aspettava nei portoni aperti di misteriosi edifici.

venerdì 7 agosto 2015

le alte torri #12



Aveva passato gran parte della mattinata chiuso in una stanza, davanti al computer, a fare una ricerca su un allucinogeno che veniva usato dagli indigeni che avevano vissuto per centinaia di anni nel deserto di Atacama. Aveva visto le foto dei resti dei loro attrezzi per polverizzare i semi, quelle delle cannucce per tirarli. Botte forti e potenti che facevano arrivare la sostanza dritta al cervello, in modo che potesse elaborare i dati sensibili in maniera differente. Ogni tanto usciva dalla stanza e fuori, nella luce del sole, le cose apparivano brillanti e reali, come i ricordi di quelle giornate quando era ancora un ragazzo e giocava all’amore con una giovane fanciulla, sarebbero cambiati i volti, i pensieri, sarebbero cambiate così tante cose eppure la luce, nei suoi momenti estatici, sarebbe rimasta sempre la stessa.

Gli avevano dato un contatto, un nome, Pavel L. (P.L.), doveva chiamarlo in serata e vederlo. C’erano informazioni e sostanze e nuove informazioni su nuove sostanze. Non sapeva se Pavel fosse pericoloso, non si preoccupava, aveva fiducia in chi gli aveva rimediato il contatto. Si incontrarono in una piazza, piena di stranieri, nel quartiere cinese, vicino all stazione. Pavel aveva una valigetta e un aspetto anonimo. Lui era su una panchina, con un libro in mano. Pavel gli si era seduto accanto e aveva parlato nella sua mente. Lui si era girato e gli aveva sorriso. Si erano alzati in silenzio e si erano mossi verso la stazione. Avevano cenato in un ristorante thailandese, parlando in arabo, perché sembrava la lingua più adatta per discutere di quelle cose. Non bevvero alcolici e le informazioni più importanti venivano trasmesse attraverso la mente. Lui descrisse a Pavel le varie sostanze che erano in circolazione in quel momento nelle diverse zone della città, gli raccontò della sostanza che si poteva trovare nel quartiere cinese. Pavel gli disse che c’erano delle novità e che ci sarebbero stati dei cambiamenti. Si salutarono fuori dal ristorante, lui aveva in mano la valigetta di Pavel e si diresse verso casa.


Posizionò la valigetta su un tavolinetto basso di legno rosso, poi si sedette a gambe incrociate. Fece ruotare i numeri della combinazione. Qualcosa scattò. Dentro c’erano diverse scatole, di varie dimensioni, un puzzle che riempiva tutto lo spazio foderato di tessuto prezioso. Prese una piccola scatola dal colore blu cobalto. Ne sollevò il coperchio. Dentro c’erano delle sottili radici che non aveva mai visto. Ne prese due e se le mise in bocca, iniziando a masticarle lentamente.

mercoledì 5 agosto 2015

senza titolo

guardavo nel cielo
i tuoi occhi d’aria

simili a nuvole
in volo, lontani

sei passata in silenzio
senza fermarti

pallida luce

svanita tra i giorni

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...