lunedì 30 marzo 2015

le alte torri #7


L’ombra di mio padre nascosta tra quelle ondeggianti degli alberi. Ombre oscure. Uomini scuri. Gli alti uomini neri mi guardavano seduti in cerchio intorno ad un fuoco. Uomini vestiti di piume con antiche maschere da uccello sul volto. I lunghi becchi di legno. Il suono dei tamburi. Le danze a piedi nudi delle donne. I canti e le melodie della mente.

Seduto su una sedia mezza sfondata, su una terrazza, le luci del giorno dopo un temporale, l’odore della pioggia, guardo le pozzanghere che sono rimaste, il mondo riflesso, la possibilità di altre dimensioni, la percezione di quel mondo in uno specchio d’acqua - ci sono infinite realtà intorno a noi, la ricerca dei varchi, delle porte, delle zone di confine. Le gocce che cadono da una grondaia, dai rami di un albero, finiscono nelle pozzanghere e formano cerchi e il mondo riflesso è uno specchio ondulato e il tuo respiro segue il ritmo di quei cerchi, evapora la tua pelle e il tuo corpo, sei aria che sale dalle superfici bagnate riscaldate dal sole.

Un palazzo decadente, posso vedere i mattoni sotto le crepe dell’intonaco, freddo silenzio, conto le fiale di morfina che gli uomini in bianco mi hanno dato.


mercoledì 25 marzo 2015

dream #8

Alcuni regali. Delle figurine dei Freak Brothers per lei, un tartufo allucinogeno per me. Guardavo le piccole teche dentro il negozio, le bustine riempite di erbe, semi, funghi essiccati, ne leggevo le proprietà e gli effetti. In una cucina eravamo in quattro: Io, Maria, Amjed e Waqar, forse ballavamo o parlavamo, poi sono andato nella mia vecchia camera, di quando ero bambino, le pareti erano ancora verdi. Ho preso la confezione con il tartufo allucinogeno, non era molto grande, l’ho aperta, il tartufo aveva una incisione a croce, in modo che lo si potesse tagliare in quattro parti. Ne ho mangiata prima una metà e poi subito dopo anche l’altra. Camminavo per strada, in attesa che iniziasse l’effetto, era giorno, la luce era alta, le superfici di vetro e metallo brillavano.


lunedì 23 marzo 2015

Ausgang #8

La strada ghiacciata verso l’aeroporto, Beno e Maria parlavano in inglese nei sedili anteriori della macchina, io stavo dietro e guardavo fuori, silenzioso, il mondo aveva un aspetto così diverso, sagome oscure di alberi, ponti, fabbriche, contrasti fotografici in bianco e nero con la neve che cadeva e ricopriva, nascondeva e trasformava, è arrivato un ricordo, una sensazione dell’infanzia, i viaggi in auto con mio padre e mia madre che parlavano davanti mentre io me ne stavo seduto dietro, senza dire nulla, a volte facendo finta di dormire, disteso sul sedile posteriore con un cuscino sotto la testa oppure guardando fuori dal finestrino il cielo che passava.

Nel corso del tempo ci scambiamo corpi e parole, ci lasciamo dietro gli altri, perché la strada sia solitaria e il cammino silenzioso, nella casa, la mattina, faceva un gran freddo, dovevo scendere dalla camera da letto, tirarmi fuori dalle coperte calde e accoglienti, fare le scale, entrare nella cucina gelida e riaccendere il fuoco, le spirali di fumo che iniziavano a salire, mentre si liberavano dalla legna le prime piccole fiamme, denti gialli e rossastri, affamati, che mordevano i ciocchi di abete con sempre più forza, poi se ne impossessavano, quelle lingue alte e ribelli, creando coreografie, iniziava il calore e la stanza diventava più confortevole, passavano le ore e io attendevo, guardando il fuoco, prendendomene cura, la sua bellezza di luce e ombre, potrei riscrivere la storia della mia vita nella sua cenere, pensai, solo per la gioia di vederla poi disperdersi nel vento e nel nulla.

giovedì 19 marzo 2015

senza titolo

Le braccia nude di una ragazza e i suoi lunghi capelli. Le sue mani che intrecciavano margherite in un giorno di primavera, seduta in un parco. In silenzio. La pioggia, una villa, gli alberi, i rami e le radici, i suoni degli uccelli, le gocce che cadono sulla tela tesa di un ombrello aperto. Un’altra ragazza, dietro il bancone di un pub. Le bottiglie lucenti. Le sue braccia nude. Gli sguardi e il silenzio. Potrei scrivere poesie, i miei pensieri, potrei scrivere un racconto, una serie di frasi, potrei. Ma guardarti negli occhi e sussurrarti cosa provo è una scelta che il passato, le sconfitte, le perdite e le lacrime hanno fatto per me. Ti incolli una sigaretta sulle labbra, guardando fuori dai vetri sporchi, osservo le tue dita, lo smalto e gli anelli. Nei respiri, nella mente, in tutto quello che non esiste, perché chiuso nelle parole che non ho mai scritto, provo e sento qualcosa di ancora più grande. La rinuncia a sapere chi sei. La distanza. Perché ogni sguardo possa essere l’ultimo, perché ogni saluto possa essere un addio.


mercoledì 18 marzo 2015

...

June e io camminavamo insieme sopra foglie morte fruscianti come carta. June piangeva sulla fine di un ciclo, su questo dover essere buttati fuori da un ciclo di vita finito, e poi il salto più difficile da compiere, il salto per separarsi da una fede e da un amore, quando si preferirebbe rinnovare la fede e ricreare la passione. La lotta per emergere dal passato, purificata dalle memorie, l'inadeguatezza dei nostri cuori a tagliare la vita in porzioni definite e separate; il dolore di questa costante ambivalenza e interrelazione di emozioni; il desiderio di frontiere contro cui potersi appoggiare come a porte chiuse, fino al momento di andare avanti; la lotta contro la dispersione dei nuovi indizi, contro la finalità in atti senza finalità o senza fine, in questo nostro essere in cui tutto si ripercuote come una maledizione...

Anäis Nin
Diario 1931-1934

venerdì 13 marzo 2015

Ausgang #7


I ricordi degli ultimi giorni erano confusi, una notte aveva iniziato a nevicare e la mattina dopo il mondo era apparso diverso, nella stanza l’aria era secca ed avevo difficoltà a respirare, Catalina doveva partire, prendere un aereo, andare in Macedonia per un concerto, mi ero svegliato per ultimo e lei, Maria e Benno erano già andati a casa di Helmut e Biggie per fare colazione, una colazione che, in questo paese, ha un significato più ricco e gustoso del nostro. Sono uscito che fuori nevicava, ero sicuro di ricordarmi la strada per arrivare a quella casa, mi sono perso, la mia mappa mentale non era ancora nitida, dettagliata, è stata bella, però, la sensazione di smarrirmi, di sentirmi, per un breve tempo, da solo in quelle strade, dove uomini e bambini spalavano la neve dai marciapiedi e dai vialetti d’accesso alle loro case e lei continuava a cadere, danzando nell’aria, ho accarezzato le tue braccia di porcellana, in sogno, ho guardato la maschera del tuo volto e gli occhi neri come opali, non avevo molto freddo, perché camminavo e il sangue era in circolo, il cuore pompava il suo flusso inarrestabile, avevo la barba ricoperta di piccoli fiocchi bianchi e ho continuato ad andare, fino a ritrovarmi davanti alla casa da cui ero uscito prima, ho parlato con Josef, il padre di Benno, la sua voce era autoritaria, quasi minacciosa e la sua risata, ad ascoltarla, era invece primaverile, fanciullesca e limpida e ha detto alla figlia di accompagnarmi in macchina fino alla casa di Helmut e Biggie. Loro erano dentro che mangiavano e parlavano, sono entrato, mi sono tolto le scarpe, come da abitudine, mi sono seduto qualche minuto davanti alla stufa per riscaldarmi, poi ho raggiunto il tavolo e mi sono unito agli altri. Fuori continuava a nevicare e Sofia era sul pavimento, mi sono messo a giocare con lei, sorrideva ed erano un suono meraviglioso i suoi piccoli gridi di gioia, uno spiraglio di speranza in una porta chiusa sul dolore, troppi incontri e relazioni con le persone sbagliate, troppe parole dette ed ascoltate, Sofia continuava a passarmi i suoi giocattoli e io creavo storie, momenti, musica e rumori, dialoghi impossibili, inventavo attimo dopo attimo la sua felicità e lei la prendeva tra le sue mani da bambina, ridendo, per poi gettarla via e seguire il flusso immacolato della sua esistenza, Maria l’ha presa in braccio e l’ha tenuta per un po’ così, Sofia continuava a cercarmi con gli occhi, sorridendo.

venerdì 6 marzo 2015

homesick #19

Per andare al lavoro la strada me la facevo a piedi, ogni tanto la cambiavo, giusto per non cadere nell’abitudine di fare un solo percorso, però in alcuni periodi il camminare era identico e allora, giorno dopo giorno, ti accorgevi delle ripetizioni, anche perché l’orario in cui mi muovevo era sempre uguale, facce e figure e movimenti di braccia e azioni e situazioni - c’era un tipo che lavorava in una agenzia di scommesse, di solito quando ci passavo davanti aveva appena aperto e si stava leggendo il giornale seduto fuori, non mi piaceva la sua faccia, c’aveva l’aria di un gran paraculo, che poi era la sensazione che ti doveva arrivare, cioè di uno che non fa un cazzo tutto il giorno ma che ci piglia con le scommesse e così non c’ha il problema dei soldi, perché li guadagna in questo modo. Certo ‘sta cosa delle scommesse le inculava alla grande le persone che ci credevano, che bastava poco per cambiare vita o fare il colpo che ti sistemava per sempre, come la pensava il vecchio Hank l’avevo letto e riletto, che a lui andare all’ippodromo gli faceva bene all’anima e alla scrittura, perché ci si immergeva in quel teatro di orrori e fallimenti quotidiani e si sentiva più umano e vivo a stare a contatto con tutti i miserabili e falliti che ci passavano le loro giornate a scommettere sui cavalli e insomma questo tipo fuori dall’agenzia aspetta che i primi fessi gli vengano a dare i loro soldi e tante volte, quando torno, facendo la stessa strada, quei fessi stanno ancora lì dentro e sono quasi tutti stranieri, che almeno a loro la bugia facile gli serve per tirare avanti, se ne stanno là davanti ai monitor, che non so neanche se è per scommettere o ingannare il tempo, che sempre un pacco di frottole sono, forse è un posto per fare amicizia o parlare con qualcuno o immaginarsi una vita diversa che fino a quando non sei tu a cambiare, quella rimane la stessa stronza di sempre. 

Più giù, sempre lungo questa strada che faccio al mattino, ci sta una zingara seduta accanto al muro, che quando passi ti guarda, con il suo occhio guercio, che dentro non c’è manco più un briciolo di comprensione, ma fredda rapacità e ti chiede i soldi e i primi giorni gli ho sorriso pure ma lei quando vedeva che non gli allungavo niente parlava nella sua lingua, quasi sicuramente maledicendomi e allora ho preso l’abitudine di darmi una grattatina ai coglioni, con la mano nella tasca dei pantaloni, quando ci passo accanto e la sento sussurrare quelle strane parole.


La domenica prima, io e Maria, ce ne eravamo andati a bere qualche birra a un pub sotto Via Cavour, che quando siamo scesi per la strada, da Piazza Vittorio, l’asfalto brillava, cioè la strada si era trasformata in pura luce, il nostro sentiero dorato - abbiamo camminato in silenzio e sembrava che la via fosse piastrellata d’oro, avevamo il cuore leggero e la pelle che bruciava, si può essere felici anche così, passeggiando lenti nello splendore di un pomeriggio autunnale.


giovedì 5 marzo 2015

Ausgang #6

Il suo sguardo era triste, seduto a tavola, con la famiglia intorno, il cane si era sdraiato ai suoi piedi, dormendo. La neve era caduta durante la notte e la mattina, questa soffice meraviglia aveva trasformato il mondo. Ogni cosa cambiava nel suo inarrestabile fluire ed era imperdonabile il modo in cui ci eravamo fatti rubare la capacità di vedere tutto questo, di percepire l’essenza stessa dell’universo intorno a noi, i rami neri degli alberi, delicatamente, accoglievano la neve sopra di loro e lei, lieve, si posava, quasi senza peso, il vento, poi, la faceva cadere verso la terra, le impronte degli animali, degli uomini e dei copertoni delle macchine, un alfabeto di segni misteriosi, un linguaggio di forme primordiali e moderne che si andavano mischiando in poemi di un giorno, tutto si sarebbe sciolto e mutato e nuove canzoni, con l’arrivo della primavera, sarebbero state cantate, le lunghe gambe di una giovane ragazza, i suoi passi che misurano le distanze tra lei e il resto, le tue risate d’argento, le gemme di un verde brillante dei tuoi occhi, in un giorno di luce abbiamo condiviso la fuggevole bellezza della vita, sarebbero bastati questi pochi attimi per smetterla di avere paura del tempo e dello spazio, passi leggeri, uno di fianco all’altra, il silenzio bianco dell’aurora, le notti stellate che ci chiudono le labbra, in sospiri e parole mai pronunciate.


freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...