mercoledì 15 aprile 2020

dream #94

Vecchi compagni di scuola come doppi diabolici che mi cercano e vogliono portarmi con loro in labirinti di corridoi mentali da cui so che non uscirò mai più. I vicoli di una città e quelli sconosciuti di una mappa che solo una immaginazione diversa dalla mia avrebbe potuto disegnare. Ville in cui si compiono efferati omicidi e un personaggio secondario che sono io anche se con sembianze diverse. Dagli occhi di quella sanguinosa maschera osservo delitti e massacri, regolamenti di conti fra bande di uomini senza scrupoli e morale. C’è il copione di un film scritto da mani svincolate da qualsiasi legge etica, in cui si cerca di comporre sequenze dove siano le viscere a narrare i fatti e le loro conseguenze. In una casa in cui nessuno abita più ritrovo i volti dei miei zii che decidono di accompagnarmi in un viaggio senza destinazione e mio nonno, in cucina, che mi parla e mi sorride anche se non riesco a capire nulla di quello che mi sta dicendo, poi qualcuno afferra una pistola e fa fuoco e nel silenzio che segue, la notte arriva dall’alto, da lontano, fra le geometrie inventate di arcaiche costellazioni di luci aliene, una fuga verso la scoperta di nuove galassie, punti immobili equidistanti gli uni dagli altri nell’oscuro firmamento in cui la ragione oltrepassa se stessa e diventa infinito.

lunedì 6 aprile 2020

Cigarrones #1

C’erano i resti, fra le crepe di questi campi aridi e sconsacrati, di storie che appartenevano a persone che vi si erano nascoste per non doverle raccontare più a nessuno. Lande desertiche, punteggiate da arbusti di rosmarino, timo selvatico, salvia, lavanda e artemisia nascondevano gli ultimi superstiti di una cultura fatta di droghe, musica techno, raves, caravans e trucks, casemobili in cui vivere e spostarsi nella continua ricerca di luoghi in cui allestire enormi parties dove ballare per giorni sotto l’effetto di acidi e ecstasy senza che la legge con i suoi protettori rompesse più di tanto i coglioni.
Allo scrittore sembrava di passeggiare fra gli scenari naturali di qualche spaghettiwestern, con cortijos bianchi e diroccati e cani magri e affamati e storditi dal caldo, profili di montagne in technicolor, donne dagli occhi scuri e profondi e pieni d’amore.
Qualcuno aveva abbandonato se stesso nella lenta deriva che alcol, sostanze chimiche, hashish e marijuana promettevano, lo scrittore, come al solito, prendeva appunti, seduto su un divano rosso lurido e sfondato e il fotografo era in uno stato di esaltazione visiva, fra luci, ombre e colori lisergici di tramonti sospesi e anche se entrambi si sentivano attratti da queste prospettive di decadenza e stordimento c’erano anche domande, all’interno dei loro cervelli sempre sul punto di liquefarsi, sul senso ultimo di vivere in questo modo, alla fine le droghe erano sempre le stesse e dopo un pò, assumerle quotidianamente, diventava noioso quanto sfiancante, ci si abituava presto e così si entrava in una routine uguale a tante altre.
Gli enormi cactus di San Pedro erano diversi, erano parte di questa realtà verde e sabbiosa e avrebbero potuto aiutare a svelarne bellezza e misteri se qualcuno si fosse messo a prepararli, eliminando spine e parte esteriore, tagliandoli e poi facendoli bollire per ore, fino a quando non fossero rimasti polpa e succo, amari e carichi di mescalina, da filtrare e poi bere in attesa che le visioni arrivassero e con esse una diversa interpretazione e percezione di quello che avevamo intorno.
Mi tornavano in mente le parole di Don Juan e Carlos Castaneda mentre camminavo per queste valli arcaiche e solitarie, con piccole oasi di cespugli e alberi bassi e contorti e un fiume che solo durante l’inverno si poteva definire tale. I luoghi dove acquisire potere, gli insegnamenti del vento, quelli delle rocce, ogni elemento naturale mi parlava così chiaramente e lo sentivo entrare in contatto con la mia parte maschile o femminile. Alla prima appartenevano sole, pietre e raffiche di aria, alla seconda l’acqua dei ruscelli, fredda e fluida, una presenza che mi sentivo scorrere dentro quando mi ci avvicinavo, passare nelle vene e nel corpo e poi via attraverso l’epidermide fino all’oceano della pura contemplazione.
C’erano rimandi a vagine ovunque, nel luogo dove vivevo, nel tempio circolare, nei disegni, nei libri lasciati in giro di qualche folle insegnante di discipline lunari che solo altre donne, una volte iniziate, avrebbero potuto apprendere e tramandare. Poi a bilanciare questa esplosione di forme floreali e carnose ci pensavano le enormi erezioni spinose dei cactus, che si innalzavano immensi e virili verso il cielo, a stimolare le fantasie di divinità danzanti in amplessi crepuscolari.
Abitavo in una yurt, l’essenziale dentro e per tre giorni alla settimana facevo il cuoco e sistemavo la cucina, poi il resto delle ore era tutto mio. Mi andava bene, per il momento, questa vita semplice e senza nessuna aspettativa, il presente era un lusso per pochi, il passato un teatro di volti, un film di eventi senza alcun significato, il futuro appariva nei sogni e nel loro intreccio di immagini che scivolavano l’una dentro l’altra.
Quanto sarebbe durato?
Nessuno aveva il diritto di dirlo.
Una sera avevo incontrato Matty B, al mercatino di Cigarronnes, un incontro quasi impossibile. Gli ci erano voluti alcuni secondi per mettermi a fuoco e ricordarsi di me e poi riconoscermi, ci siamo abbracciati e abbiamo parlato un pò, anche di Bea, che non vedevo e non sentivo da più di due anni. Matty B mi ha offerto una limonata corretta con rum scadente e io ho pagato il secondo giro, qualcuno stava suonando sul palco di assi dismesse e la musica non era male, una jam session fra blues e rock, con intuizioni veloci e cambiamenti melodici e ritmici fra chitarra, basso e batteria, Samara era seduta in disparte, meravigliosa nei suoi vestiti colorati, pantaloni rossi e capelli quasi indomiti nel modo in cui le scendevano sulle spalle, la guardavo, non troppo, quel tanto che mi serviva per farmi sentire felice senza provare il desiderio di andarci al letto insieme.

C’era una presenza quasi mistica in questa terra, adatta al silenzio e alla meditazione non al fragore di casse che sparavano drum’n’bass a tutto volume. I suoi doni erano ovunque, nei dettagli, nelle panoramiche a giro, preziosi e delicati, li accoglievo nei miei respiri, costellazioni di attimi che mi si scioglievano dentro, irradiati dal sole, brillanti nella luce del giorno, quando delle frontiere della ragione non rimaneva più nulla e c’era la libertà di divenire limpida coscienza, dell’esistenza e di tutto quello che ad essa apparteneva.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...