lunedì 29 giugno 2015

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I complimenti che più ci lusingano sono quelli rivolti ai talenti che possediamo in minor misura. E poi le fanciulle che non hanno l'abitudine di succhiare lo fanno con tutte loro stesse, come fanno l'amore: hanno dunque bisogno di caricarsi fino a un certo grado di passione.
Proseguii sul medesimo tono. In poche frasi, Ricette si lasciò "caricare" sino al punto necessario... L'avvertii... Fremette, chiuse gli occhi, si fece pallida come se stesse compiendo qualche prodezza pericolosa... e quand'ebbe finito, rimase stupefatta, seduta sui talloni, a bocca aperta...
Mi guardava, inebetita. Le tesi le braccia. Vi si slanciò, tutta fiera e stupita e vergognosa e tenera e soprattutto così emozionata che sentivo il cuore batterle attraverso la piccola mammella sinistra.
L'ho fatto - disse - non è possibile! Io, che non avevo mai potuto! E ho ingoiato tutto, ma proprio tutto! Come mi hai detto tu. Mi sembra un sogno.
- E non è poi così brutto, non ti pare? Ci sono tante fanciulle a cui piace!
Non so se sia bello o brutto - disse con un'aria ancora trasognata - però mi ha fatto piacere. Perché tu godevi.

pierre louys
figlie di tanta madre

le alte torri #10



Il mio corpo nudo davanti ad uno specchio, le statue del Buddha nella posizione del loto, gli uccelli che parlavano dagli alberi nei loro vestiti di piume sgargianti, scorreva un fiume nella foresta, i tuoi lenti respiri, c’erano lampade che scendevano dal soffito e dalle pareti arancioni, l’odore dell’incenso e le candele accese, scivolavano le mani sul corpo, gli oli profumati, gli sguardi delle bambine nei villaggi, la luna era enorme mentre saliva dall’orizzonte, il latrato dei cani, la tua morbida pelle - poco distante, mi ha detto il vecchio, quanto manca gli avevo chiesto, è poco distante, dove, dimmi dove, segui il sentiero, arriva alla capanna, suona la piccola campana d’argento appesa fuori dalla porta e attendi - i miei occhi di giada, sono arrivato, i brividi lungo la spina dorsale, la voce sussurra di entrare, melodiosa e rassicurante, una mano mi prende e mi accompagna tra corridoi in penombra - mi stendo per terra, sul futon, odora di pulito, in sogno qualcuno era venuto a trovarmi, mi aveva salutato fuori da una porta, ci eravamo abbracciati, qualcuno mi passa una pipa carica, la accende e mi fa fumare, dolci papaveri, crescete lontani dal fragore del mondo, crescete nell’aria delle pianure silenziose, l’oro dell’estasi, è tutto così pieno di equilibrio e splendore - i tuoi occhi di madreperla mentre mi guardano, le boccate di fumo si disperdono nell’oscurità della stanza, è buono? Chiede la voce, sorrido, la porta si chiude, l’abisso respira di stelle riflesse, un altro tiro, galleggia nel nulla la mia anima e tu, perduta nel tempo, che ancora sorridi prima di voltarti e uscire per sempre dalla mia vita.

giovedì 25 giugno 2015

le alte torri #9


Più passavo del tempo nel quartiere e meglio ne capivo il funzionamento, come se dietro l’apparenza delle porte, delle finestre e delle serrande abbassate esistesse un’altra dimensione, oscura e misteriosa, ricca di suggestioni - camminare per le strade del quartiere quando pioveva e l’asfalto era lucido e potevi sentire il freddo dell’inverno e gli echi dei suoi lontani racconti, cadeva la pioggia e la guardavo illuminarsi vicino ai lampioni dalle luci arancioni, sentivo il contatto della sostanza nella mia mano chiusa, in una delle tasche del giaccone.

C’erano segnali che andavano imparati, i fischi, le occhiate, la parole in codice, c’erano stanze segrete, quelle dove compravo la sostanza, quelle dalle luci rossastre, le stanze oscure, piene di antichi strumenti di tortura, le stanze in penombra con i lettini per terra e le lunghe pipe cariche d’oppio - qualcuno mi ha insegnato come entrarci, dal vecchio ho imparato a guardare con occhi diversi, un giorno mi ha accompagnato davanti ad una porta magica, in un angolo dimenticato tra le rovine di alcuni antichi palazzi, eravamo davanti alla porta e il vecchio mi disse se fossi sicuro di voler entrare, di voler vedere cosa ci fosse dall’altra parte, sei sicuro ragazzo? Mi chiese il vecchio e sorrise, io annui senza rispondere, lui si avvicinò a entrambe le statute che sedevano ai due lati della porta, prima da una e poi dall’altra, le statue del dio bes, sussurrandogli qualcosa - il tempo si fermò, completamente, intorno a me, come in un fermoimmagine mentale, tutto immobile, immerso nel vuoto, la porta si aprì senza muoversi, una dissolvenza incrociata tra l’immagine della porta chiusa e quella della porta aperta, adesso puoi entrare, disse il vecchio, che cosa troverò, gli chiesi? Tutto quello che hai perduto, mormorò lui e si dissolse in una nuvola di fumo.

mercoledì 17 giugno 2015

La conchiglia


Ero seduto sulla sabbia, mio padre disegnava un cerchio con un bastoncino di legno, poi lo divideva in quattro parti, questo è il mondo, mi disse, è fatto per tre quarti di acqua e per uno di terra, il cielo era nuvoloso, ma non avevo freddo, intorno c’erano alti muraglioni di roccia e un immenso arco naturale che non smettevo di guardare, mio padre mi chiese se volevo fare una nuotata con lui, non avevo ancora imparato, perciò si mise a gonfiare un piccolo canotto di gomma, colorato di giallo, rosso e turchese, ero ancora seduto e lo osservavo fare. Poi mi sono alzato e l’ho seguito verso la riva, il mare era di un blu scuro, carico, mi metteva un po’ paura, però lui era vicino a me e questo doveva bastare, si infilò le pinne, poi sputò nella maschera e la sciacquò nell’acqua, se la mise insieme al tubo per respirare, prese la cordicella che aveva legato davanti al canotto e lo trascinò dalla riva nell’acqua, mi fece un cenno con la testa e io lo seguii, entrai nel mare e mi aggrappai alla parte posteriore del canotto, intanto anche io mi ero messo la maschera e il tubo, imitando i suoi gesti. Lui iniziò a muovere le gambe e cominciammo a scivolare sulla superficie calma dell’acqua, guardavo sotto, con le mani attaccate alla plastica del canotto, la sabbia, il fondale, ci allontanavamo piano dalla riva e sotto di me le cose iniziavano a sprofondare, tutto divenne più brillante, i riflessi, i giochi di luce, il sole doveva essere uscito dalle nuvole, il cuore mi batteva forte ma sapevo che lui era lì e che non correvo nessun rischio, mi sono tranquillizzato, non vedevo più il fondo, solo una meraviglia fatta di scintille e tonalità di azzurro e blu, poi andammo verso i faraglioni e ammirai le rocce e le alghe e i piccoli pesci che nuotavano, iniziai a sentire freddo e alzai la testa, dissi a mio padre di tornare indietro, ci girammo, vedevo la spiaggia, le piccole figure che dovevano essere uomini e donne, tenni la testa fuori, quelle sagome diventavano sempre più grandi, cercai la figura di mia madre, che ci aspettava lì, ma non la riconobbi, poi mio padre mi fece un segno con la mano e io capii immediatamente, guardai di nuovo sotto e lui si stava immergendo, lo vedevo muoversi come al rallentatore, i colpi delle gambe, le pinne che si arcuavano, toccò il fondo, ormai ben visibile e raccolse una conchiglia, poi tornò verso la superficie, alzai di nuovo la testa, ci sorridemmo, mise la conchiglia dentro il canotto, riprese la cordicella e ci dirigemmo verso la riva.

Arrivammo sulla sabbia, avevo la pelle d’oca, mio padre andò a prendere un telo e me lo mise intorno alle spalle, che meraviglia quel calore, mi diede la conchiglia che aveva raccolto e mi prese in braccio, gli passai la mia mano di bambino sulle guance, non dimenticherò mai il contatto della sua pelle.

martedì 16 giugno 2015

senza titolo

C’erano cose che non erano arrivate, quando sarebbero dovute arrivare - gli abbracci, i baci, le dita di una ragazza, i suoi capelli e il suo amore erano stati solo ombre in quegli anni in cui avrebbero dovuto risplendere, ero un ragazzo, il cuore batteva in maniera incontrollata, c’era stato un periodo, un lungo periodo di solitudine, di ore passate sul letto a contare le nuvole fuori dalla finestra, ad ascoltare la voce della sera, a immaginare tutto quello che non riuscivo ad afferrare, il dolore era sempre presente, il dolore mi ha cullato, mi ha fatto addormentare, da quel luogo oscuro sono nate stelle danzanti, così brillanti, così meravigliose - quelle stelle caddero e finirono su una pagina bianca e divennero poesie e racconti, divennero amiche, le più preziose.

Ci sono cose che sono arrivate quando non era più tempo, alcune le ho vissute, per il desiderio di scoprire, ma dopo ogni nuova esperienza esiste solo la ripetizione, ogni nuova libertà porta con sé il limite della gabbia, ho ritrovato la strada verso il mio cuore, il buio era quasi svanito, la luce che vedevo era delicata, un’alba di possibili felicità, quella luce si espandeva, ardeva, quella luce era pura e per farla ancora più brillante le ho creato una nuova oscurità intorno: il fumo, il masochismo, la pornografia, nuove forme di sofferenza, nuove sfumature di dolore, ma lei resisteva e aumentava la sua intensità e questa luce, dopo anni, ha inghiottito tutto e le ombre sono fuggite lontane, nei confini del mio corpo e lì sono rimaste, a volte sono fremiti sessuali, a volte pensieri nella mente che cercano di scavare cunicoli che non arrivano da nessuna parte, il silenzio e la quiete, in una foresta, lontano dalle persone, i lenti battiti, ho imparato a non desiderare, a non volere, ho imparato a staccarmi da tutto, l’amore può essere un respiro condiviso dell’anima, mi bastano i tuoi occhi e il loro sorriso, scivoliamo ancora un po’ in questo oceano di candida consapevolezza, nel vuoto che ci unisce non ho più paura di cadere.






lunedì 15 giugno 2015

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Innamorata? - disse, chinandosi su di me - Ma non capisci dunque nulla di quel che ti racconto? Innamorata di chi? Innamorata del porco che mi viene a inculare tre volte la settimana e che mi fa ingoiare la sua borra prima della mia comunione? Innamorata della vacca di cinquant'anni, che è nonna sei volte e che sfrega il culo sulla mia faccia di bambina? Innamorata del pazzo che mi caca sul corpo mentre mamma lo succhia? Innamorata del mascalzone che mi costringe a guardare come lui fustiga la fica di mia madre, la fica da cui sono nata, e che la fustiga a sangue? Ma io non so come gridartelo: le puttane come le vergini hanno soltanto un amore che le consola, quello per il loro dito.

pierre louys
figlie di tanta madre

domenica 14 giugno 2015

camminare #4

L’acqua ha una voce, mentre scorre scendendo verso la valle, salta dalle rocce, una caduta che precipita, la voce diventa fragorosa, roca, scrosciante, la luce la attraversa, moltiplicandone le scintille che provano a fuggire, a liberarsi dall’acqua, a trovare un’altra voce, silenzioso splendore.


Le rocce lucide, ostacoli illusori, il fiume le accarezza, scivolandoci accanto in nuove ed inarrestabili forme, infinita discesa, i morbidi muschi, il bianco riverbero, il freddo contatto, antico e sensuale - tra gli alberi l’aria invisibile disegna i delicati movimenti delle foglie, si impara a volare rimanendo distesi nel vuoto, la paura della caduta evapora nel contatto dei raggi solari con le gocce di rugiada, ci perdiamo nei dubbi del pensiero, il bosco insegna a camminare e riposare, i passi e i respiri, echi che si allontanano, mormora la cascata - tra verdi sussurri.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...