lunedì 30 novembre 2015

le alte torri #24


Un fermoimmagine delle alte torri, in controluce, in un forte contrasto di bianchi e neri, cammino sul mio sentiero dorato, seguendo le mappe mentali che mi ero preparato in precedenza. Anelli fallici di costrizione ed energia sessuale trattenuta. Il fermoimmagine dei lamapadari appesi lungo le volte di una galleria, accanto alla piazza del mercato, passeggiando sotto quegli archi, scivolando sul pavimento, gli amici di Pavel che mi accompagnano in silenzio, i pensieri circolari della droga, le occhiate di riconoscimento, i gesti stabiliti dal linguaggio dei tossici.


Nel quartiere cinese le cose funzionavano alla grande, la crisi economica sembrava non esistere tra le strade e i negozi e quello che nascondevano - dietro la facciata apparente delle attività commerciali si celavano traffici più interessanti, le sostanze venivano smerciate e vendute nei retrobottega, da vecchi cinesi silenziosi, dagli occhi neri come opali, nei saloni di massaggio in molti si andavano a far svuotare i coglioni, accolti da piccole ragazze sorridenti e instancabili, le poche frasi di rito, quasi più nessuno era a conoscenza del linguaggio del corpo e delle possibilità della pelle, uno dei vecchi da cui mi recavo a comprare la sostanza mi aveva fatto provare un massaggio particolare da una donna che conosceva, dopo l’assunzione di una quantità di polvere rossa, il mio corpo era diventato un puro organismo di piacere, il vecchio cinese mi aveva detto che dovevo imparare a controllarmi, se volevo evolvermi, se volevo trovare una libertà dai bisogni costanti e ossessivi della carne, era una sorta di disciplina, fisica e spirituale. Il vecchio mi faceva entrare in porte segrete, io continuavo ad imparare. Ma in molti, quasi tutti, andavano nei saloni solo per una sveltina a basso costo, la manodopera non mancava, gli affari giravano bene, dietro l’apparenza delle cose ci attendevano mondi sconosciuti e misteriosi, un pizzico di polvere azzurra e una nuova prospettiva avrebbe preso forma nella tua mente.

domenica 29 novembre 2015

le alte torri #23


L’uomo con gli occhi viola era seduto su una sedia, vicino ad un tavolo, io ero su una poltrona, comoda e confortevole. Diversi quadri erano appesi alle pareti, c’era una finestra aperta, l’aria era abbastanza calda, il cielo fuori stava diventando più scuro, l’uomo con gli occhi viola si alzò, accese una lunga lampada, sembrava un tronco di un giovane albero di metallo con i suoi rami spogli, dalla loro punta uscivano fuori soffusi raggi di luce.
L’uomo con gli occhi viola riempì una bombilla con del maté e me la passò, diedi il primo sorso dalla cannuccia mentre con la schiena mi sistemavo meglio sulla poltrona.

L’uomo con gli occhi viola parlò a lungo, mentre io rimanevo in silenzio ad ascoltarlo, ci passavamo ogni tanto il maté, dando una sorsata. Mi raccontò del padre, un pittore, di come vivessero, quando lui era ancora un bambino, dentro una grande stanza, senza muri, con teli attaccati a dei fili che potevano essere tirati e creare, quando ce n’era bisogno, spazi diversi, che potevano diventare zone dove dormire, mangiare, discutere o lavorare. Il padre dipingeva in silenzio, concentrato, in una dimensione personale in cui gli altri non potevano entrare. La notte venivano nella casa alcuni artisti, si beveva vino e si fumavano sigarette rollate a mano, si suonavano chitarre e si ballava, c’erano donne, uomini e bambini, le sere erano momenti di festa e condivisione, l’odore del tabacco invase la stanza in cui eravamo, potevo sentire gli echi delle risate delle donne, il rumore dei loro tacchi mentre camminavano e ballavano sul pavimento di legno, le parole degli uomini, i gridi estasiati dei bambini. Ci fu un momento di rottura con il padre, mentre lui cresceva e diventava adolescente e un anno di lontananza in cui insieme ad uomo della campagna visse tra gli alberi e la terra, a cavallo, sempre in movimento, un anno in cui apprendere le cose in maniera diversa, tramite l’esperienza diretta e il contatto delle mani con la realtà, il padre continuava a dipingere, nella casa, le sue tele, il padre ricreava con i colori il mondo in cui il figlio viveva, lontano da lui. Rimanevo seduto ad ascoltare. La notte era arrivata. La luce danzava nella stanza. Chiusi gli occhi, la memoria si scioglieva tra le mie dita.

venerdì 27 novembre 2015

...

Il mio punto di vista, in breve, è questo: quale profitto c'è in fondo - e a tale proposito voglia scusarmi se ripeto una domanda già fatta - quale profitto c'è, anche parlando da un punto di vista unicamente pratico, a spogliare la vita di ogni poesia, di ogni sogno, di ogni misticismo e di ogni menzogna? Quale è la verità, lei la conosce? In sostanza, noi ci muoviamo solo tra simboli, e man mano che procediamo mutiamo questi simboli. Comunque, non dimentichiamo i bicchieri.

knut hamsun
misteri

giovedì 26 novembre 2015

le alte torri #22


Il cielo è nero, la pioggia è nera e le parole uscivano fuori dalla bocca dell’uomo nero. L’avevo incontrato in un sogno, all’interno di una capanna. Parlava una lingua simile allo spagnolo e la nostra comunicazione oltre ad essere orale era anche visiva, i suoi occhi discutevano con i miei. L’uomo nero si chiamava Papa.
Disegnò una stella sulla sabbia all’interno della capanna, una stella a cinque punte, questo è un simbolo divino, disse, hai mai visto la mano di dio? Mi chiese, gli risposi di no, che non l’avevo mai vista, la mano di dio, che ha creato tutte le cose, donandogli forme e colori diversi ma un’unica essenza, nascosta e a volte visibile, a chi sapeva guardare in profondità - Papa tirò fuori della marijuana e disse che quella era la sua medicina, che l’effetto dell’erba dipendeva dallo spirito delle persone, in uno malato quella sostanza avrebbe prodotto degli effetti negativi, yierba loca, Papa mi fece fumare e poi rimanemmo in silenzio a parlare attraverso i nostri sguardi.

L’Apocalisse sarebbe arrivata presto. L’umanità stava vivendo uno dei suoi ultimi periodi. Mi alzai in piedi, all’interno della capanna. C’era una piccola porta fatta di canne intrecciate tra loro, l’ho aperta e sono uscito, era notte, doveva essere notte, il cielo era nero, l’aria era carica di odori misteriosi, sembrava di essere nel deserto, ancora sabbia, sabbia nera, Papa è uscito dalla capanna, aveva un bastone in mano, si è avvicinato a me, ha sussurrato parole incomprensibili, ha tracciato una stella a cinque punte sulla sabbia, linee di pura luce bianca splendevano adesso nell’oscurità.

martedì 24 novembre 2015

senza titolo

Spiragli nel tempo, odori della pelle, nelle stanze, di notte, venivano a sussurrarmi che le cose stavano cambiando, che ogni giorno mi avvicinavo sempre di più, onde mentali, calme e delicate, riflesse in linee di luce e ombra, proiettate sul soffitto, negli inganni dell’estate, nelle illusioni della giovinezza – lasciarsi andare, perdere, rinunciare – rimanevano impresse le sequenze di violenza, le morti, le uccisioni, qualcuno aveva deciso di portare la guerra nelle strade d’Europa, nelle piazze, nei locali, nei luoghi in cui ci sentivamo a nostro agio, la fine strisciava, famelica e velenosa, qualcuno aveva deciso che anche noi avremmo dovuto conoscere l’insicurezza, la paura di uscire di casa ed essere uccisi, scelte radicali, tentativi di rovesciare un ordine mondiale in cui nessuno più si riconosceva – i controlli si erano fatti più stretti, come se servissero a qualcosa, le menti erano state rinchiuse in recinti di ragionamenti puerili e lì rimanevano, la capacità di analisi era una pozza d’acqua stagnante, uno specchio torbido in cui i contorni delle cose, i profili delle persone diventavano incerti, ognuno vi poteva vedere quello che voleva e credere che fosse vero. Mi immergevo in acque diverse, calde, all’ora del tramonto, ero sempre da solo senza sentirmi mai solo, la sensazione era diversa, familiare e accogliente, era come essere a casa, dopo anni di vagabondaggi, su quella spiaggia potevo riscoprire tutto, vedere nascere un’emozione, un pensiero, c’era un fiore meraviglioso a cui tenevo in modo particolare, il suo profumo delicato, lo osservavo in silenzio – danzava nell’aria dorata, in riverberi di quiete, essenza di vita, carezza d’amore.



lunedì 23 novembre 2015

Berlin #3

Mattine quiete, limpide nella mente, la luce passa obliqua attraverso la grande finestra chiusa - sembra di essere in un acquario - all’esterno il traffico scorre in direzioni sconosciute, il rumore attutito dai doppi vetri, il ronzio costante, a basse frequenze, confortevole, dell’aria condizionata, le sbarre di metallo fuori dalla grande finestra, brillano come tungsteno incandescente, quattro sbarre, la moquette violacea, i disegni in movimento, le foglie di velluto si alzano in vortici al rallentatore, toccano il soffitto, lo riempiono di nuove forme, tralicci di ombre si annodano in spirali e arabeschi che scompaiono dopo pochi attimi, un sonno oscuro, senza stelle, senza visioni – i polsi legati, le catene che arrivano ad una trave di legno, in alto, le pareti cremisi, lo specchio, le candele, gli strumenti appoggiati, i lacci, i colpi, l’energia bianca scorre, pulsa, freme, lenta trasformazione, l’energia si concentra, sale, cerca di disperdersi, controllo, i colpi ritmici, le carezze, i brividi, gli occhi, le immagini di me stesso ripetute all’infinito, in ogni direzione, si moltiplicano i punti di vista, silenzio, nessuna parola, il corpo si allunga, si piega, si tende, i colpi arrivano, si fermano, spingiamoci verso un limite, torniamo indietro, spingiamoci verso un limite, oltrepassiamolo – pioggia di luce su un pavimento di ebano antico, i segni sui polsi, i lividi, i contorni violacei, lunghi respiri, tocchiamo lo specchio, oltre la mia immagine riflessa ogni cosa diventa possibile.



freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...