giovedì 28 febbraio 2019

freewheelin' #46

Molecole subatomiche in estasi tossiche, porzioni instabili di chimiche sconosciute, sorrisi improvvisi di alcolizzati in cammino, le stazioni sbiadite stampate su cartoline di futuri dimenticati, una stanza in cui ero entrato aspettando che qualche misterioso individuo arrivasse, contatti telepatici in attesa di riscontri verbali, le scatole craniche disposte su un tavolo indiano, diverse qualità di funghi allucinogeni al loro interno, poi le camere semibuie di un ostello onirico, gli incontri e i dialoghi, le persone che cercavano tavoli liberi in cui sedersi e ancora tutti i momenti in cui la scrittura si impadroniva di me, i sogni e le parole e le voci che scivolavano nel vuoto, oscillazioni cromatiche di alberi e rami e chiome, personalità botaniche che il vento rendeva visibili, le porte che qualcuno apriva nella direzione sbagliata e rumori che squillavano in scintille di bicchieri vuoti, i baci che avevo dato a Rebbecca in una notte di alterazioni sintetiche, avrebbe ancora lasciato il dolore libero di narrarle le sue storie? Altre donne davanti a tele strappate, i pennelli gocciolanti sperma in mano, note musicali appiccicose e stagnanti, frequenze pittoriche in grumi di solitudine artistica, dame elleniche che si nascondevano in foreste di verde mistero, i lunghi capelli dai riflessi infuocati, Zoe dove sei finita? Raccoglievamo pietre sui confini del mare, io e Sarah, millenni di forme diverse che si inseguivano nella ricerca di una impossibile perfezione fisica, quaderni di appunti neri, ceneri raccolte in urne balinesi dalle sembianze feline, cumuli di rovine di civiltà perdute nella polvere e nell’oblio di ere proibite, gli occhi liquidi dei tossici di vetro, i riflessi aboliti dalle dittatoriali strutture di cemento dei regimi psicosovietici, reti di protezione emotiva come ragnatele di difesa isterica, le cadute, i salti mortali di atleti circensi dai crani rasati e i baffi a manubrio, tatuaggi, gli appuntamenti alcolici del sabato pomeriggio, ramispezzati, ossascheggiate, le direzioni oblique di strade ormai abbandonate, il regista che muove la macchina da presa verso l’ultima inquadratura del suo film, un treno in partenza e nessuno che arrivi.

sabato 23 febbraio 2019

Fachongle Isaf

La luna era rossa, allineata con Castore e Polluce, iscrizioni zodiacali in punti luminosi sui neri papiri dell’infinito, il piccolo fuoco brillava sommesso accanto alle nostre gambe incrociate, Emma e Justine cantavano, a bassa voce, quando John ci ha raggiunto e si è seduto vicino a noi. L’eclissi è passata in un tempo che non era più ordinario e strati di nuvole hanno velato il cielo e Emma ha suggerito di mangiare una manciata di funghi magici e l’alba si è affacciata ad est, rosea e lieve e allora ci siamo alzati e siamo andati nella capanna di John e lui ha messo altra legna nella piccola stufa di ghisa e Emma ha cominciato a preparare la colazione, eggs on toast e caffè nero, mi sono sistemato per terra, John mi ha passato un paio di cuscini, poi si è messo a spiegarmi la struttura della sua capanna, tre ennagoni sovrapposti che creavano tre spazi da sei lati ciascuno che ricordavano un trifoglio, John mi diceva che era stato ossessionato da pentagoni ed esagoni (il primo rappresentava la fisionomia femminile, il secondo quella maschile) quando era stato giovane, probabilmente a seguito di qualche esperienza lisergica, avevo pensato dentro di me, vedendoli ovunque e realizzando oggetti e progetti con quelle forme. Dopo aver dato un sorso di caffè dalla sua tazza e aver acceso una candela John si è messo a discutere con Emma e io sono rimasto in silenzio ad ascoltarli e guardarli, soprattutto Emma, la sua presenza mi era così familiare, come se la conoscessi da tanti anni e invece ci eravamo visti solo un paio di volte, riuscivo a comprendere alla perfezione i suoi gesti, a leggere i suoi sguardi, a indovinare i suoi pensieri. La prima volta che l’avevo vista, diversi mesi prima, era stato durante una cerimonia della mezza luna, in cui avevamo assunto peyote e ancora avevo nitide, nella mia mente, le immagini di lei che parlava, l’enorme sigaro di tabacco fra le mani, dentro il teepee, i primi raggi del sole nascente che le illuminavano il volto e ogni suo movimento aveva un’antica bellezza, un’arcana perfezione, ed è quello che le ho detto, prima di abbracciarla e salutarla nel parcheggio della spiaggia di Mwnt, mi ricordo così vividamente di te, le ho sussurrato, in quel mattino di parole e preghiere e luce e speranza improvvisa.

venerdì 22 febbraio 2019

senza titolo

volti
addii
silenzi
sguardi
fragili ombre
di memorie svanite
e poi le onde
e il tempo
i respiri
e i risvegli
le bianche mattine
di luce soffusa
e le palpebre
le ciglia
la tua pelle
gli occhi chiusi
i sogni
e poi tutti i baci
che ho dimenticato 
di darti
un attimo
un altro ancora
un attimo
e un altro

ancora.

giovedì 21 febbraio 2019

freewheelin' #45

C’era Francesco accanto a me, in un aereo, mentre volavamo verso un Paese africano e Flavia, in una classe, a rispondere a domande che nessuno le aveva rivolto e gli alberi intorno, i loro movimenti fatti di aria invisibile e fruscii, i rami che galleggiano nel vuoto e le improvvise giornate di sole e tutti i ricordi che continuavano ad arrivare come fossero la vita di qualcun altro, non una sola, a pensarci bene, ma centinaia di esistenze diverse che avevo attraversato, che erano apparse e svanite, i cicli degli anni, le maree degli eventi, era rimasto poco o nulla di tutte le mie speranze, delle aspettative, era stata un liberazione graduale, perché non c’era niente da ottenere, nessun traguardo da superare, nessun progetto da portare a termine, chi cazzo ci aveva insegnato a costruire il futuro quando a malapena sapevamo muoverci nel presente, chi erano stati i nostri maestri? Quali teste di cazzo ci erano toccate di avere davanti, in cattedra, a pontificare su tonnellate di stronzate inutili, se una rivoluzione andava fatta era quella di dimenticarsi di tutto, di fare una strage di idee malsane, esplosioni di gabbie concettuali, esecuzioni di modi di pensare catatonici, c’era ancora la mia ombra, da qualche parte, con una pistola in mano a mirare ai cervelli di quanti ci avevano fregato, c’erano ancora, da qualche parte, tutte quelle persone che mi sono illuso di amare, forse la mia sconfitta più devastante è stata quella di ammettere che  quelle marce di battiti cardiaci non sono state altro che un trucco della mia mente, povero coglione, ne hai fatta di strada per arrivare alla conclusione che non c’era mai stato nulla di veramente importante da considerare unico, perché ogni attimo, ogni particella subatomica di tempo era già perfetta nella sua solitudine, a quanti si sono abituati a una vita che non era loro ci saranno cortei di idioti a innalzarne la mediocre statura, a quanti hanno voltato le spalle al tedio e sono fuggiti e si sono precipitati nell’abisso e sono morti, annegati, scomparsi e dispersi, a loro qualcuno dedicherà parole di indomita bellezza, perché è nell’accettare la vita nella sua totale assurda meraviglia che risiede quel seme di speranza che qualcuno attende di veder germogliare nel dischiudersi degli sguardi di chi ancora sveglio ha finalmente imparato a sognare. 

martedì 19 febbraio 2019

freewheelin' #44

Le prove di uno spettacolo teatrale del subconscio, Hair in una versione sotterranea e sovversiva, una maschera mi fa entrare nella sala buia dove trovo un posto a sedere, poi  l’oscurità completa e una sensazione di caduta in movimento come se stessi precipitando dentro a un aereo, poi qualcuno afferra il mio corpo e lo muove da una parte all’altra, di nuovo fuori cercando di rientrare, una donna mi chiede di mostrarle il biglietto di ingresso, le strade familiari della mia città, una ragazza dimenticata che inizia a toccarmi il petto e a stringermi i capezzoli sotto la maglietta, siamo su un autobus, andando chissà dove, ci sono dei vasi che lascio sotto al suo portone, le centinaia di volte che ci sono entrato dentro per andarla a trovare (e a scopare, of course), la pioggia leggera e gli alberi dietro la finestra, immobili, in attesa, un cuscino orientale, le lenzuola rosse, le tele appoggiate a una parete, ci svegliamo da un sogno solo per ritrovarci in quello successivo.

domenica 17 febbraio 2019

dream #87

Camminavo per una strada, cercando di arrivare da Sofia, le mie ginocchia erano pesanti e facevo fatica ad andare avanti. Avevo lasciato la macchina da qualche parte, insieme ai soliti pensieri che mi preoccupavano, la patente da rinnovare, i soldi da prelevare, le persone che non volevo più vedere. Ero stato in un ufficio e avevo parlato con un uomo che non conoscevo anche se avevo avuto una sensazione di familiarità nel chiacchierare con lui, dovevamo essere a Roma, nel suo doppio onirico, in un futuro imprecisato in cui raccontavo il mio presente come fosse passato. Poi ero andato a pisciare e lo spazio del bagno era molto grande, la porta era socchiusa e fuori è passata una segretaria, mi sono riallacciato i pantaloni e sono tornato nell’ufficio, c’era parecchia gente, adesso e non trovavo più il mio cappello di lana (ne avevo mai avuto uno?) ho salutato l’uomo senza neanche sapere il suo nome, fuori, di nuovo le strade, ha cominciato a piovere, l’eco della voce di mio padre, andrò avanti in bilico fra questi due mondi, l’uno parte dell’altro, risveglio dopo risveglio, caduta dopo caduta.

mercoledì 13 febbraio 2019

Aberystwyth #14

Il posto che preferivo per scrivere era il Wetherspoon, il pub della stazione, di solito ci andavo di primo pomeriggio, ordinavo una pinta e poi mi sedevo in un angolo con il mio taccuino nero, vicino ad una delle porte d’ingresso, quella che dava sui binari, tiravo fuori la penna e la posavo sul tavolino, poi attendevo che loro arrivassero, le parole, le mie dolci amiche, mi sembrava di essere in un acquario, dal cui interno potevo osservare la vita che scivolava al di fuori, i volti delle persone che nascondevano storie che aspettavano solo di incontrare la mia fantasia, poi le mie dita le avrebbero trasformate in segni sul taccuino nero, in una danza ossessiva di frasi immaginarie. C’erano frammenti di discorsi e persone in piedi, in attesa che i treni arrivassero e partissero e il corpo di Claire, la sera precedente, mentre aveva iniziato a comunicare con me attraverso i suoi movimenti, era un linguaggio di seduzione che capivo perfettamente, mi bastava guardarla e percepivo che la faceva piacere essere all’interno del mio sguardo, come fosse l’inquadratura di un film di silenzioso erotismo, un documentario di emozioni private e personali e poi mi raccontava delle esperienze che aveva avuto con l’Ayahuasca, quando era poco più che ventenne, in un villaggio nelle foreste peruviane, c’erano due circoli separati, uno di uomini e l’altro di donne, il secondo che preparava la bevanda, poi l’effetto purgativo e lei che si trascinava da qualche parte per vomitare, mentre enormi pipistrelli volteggiavano ovunque, le visualizzazioni sonore psicotrope, sfere volanti, esperienze che, capivo bene, era alquanto impossibile descrivere in maniera logica, lo stesso problema linguistico si muoveva da qualche parte nelle speculazioni matematiche di Paul, mentre cercava di chiarire a sé stesso ipotesi sull’infinito e sui punti limite sulla superficie di sfere di pura astrazione, forse le stesse che Claire aveva visto rotolare nell’aria verso di lei, il gruppo di antropologi di cui anche il marito faceva parte che continuava i propri esperimenti con sostanze enteogeniche in nome di un’idea di ricerca che se ne fotteva altamente di qualsiasi interpretazione accademica, c’era l’accesso diretto a stati alterati di coscienza  e comprensione e canti e percussioni nella giungla che sarebbero stati in grado di svelare la realtà più dettagliatamente delle migliaia di libri scritti dai Culi Pesanti seduti nelle aule universitarie davanti a puttanelle (come quella asiatica alla mia sinistra, tacchi alti e gambe accavallate, eterna distrazione) dalle gonne corte e dalle unghie affilate. Prime ombre della sera, anticipazioni oniriche di quello che verrà,  abbiamo imparato che ogni giorno può essere l’ultimo, dobbiamo muoverci velocemente, il prossimo treno potrebbe essere il tuo, tieniti pronto, il domani appartiene all’ignoto.

domenica 10 febbraio 2019

dream #86

Ero in piedi, fra Claudia e Barbara e loro mi abbracciavano, c’erano altre persone intorno a noi e sembravano tutte felici di trovarsi lì, poi mi sono girato verso Barbara e le sue labbra erano così vicine che non ho potuto fare altro che baciarle, provando ancora quella meravigliosa sensazione di morbidezza.
Elisa era arrivata davanti al cancello della casa di Aphex, io ero in piedi, fermo, aspettando qualcosa o qualcuno, non l’avevo riconosciuta subito, perché in lontananza la sua figura era sfuocata, poi quando mi ha raggiunto siamo entrati dentro casa e siamo andati nella mia stanza. Mi sono svegliato disteso sul letto ed Elisa era in penombra, accanto al grande armadio di legno, sembrava arrabbiata e mi accusava di essermi addormentato davanti a lei, senza neanche averle parlato. Mi sono alzato e sono uscito e tutto era opaco e nascosto in una nebbia di ricordi sbiaditi. Ho continuato a camminare, senza nessuna direzione, nessun luogo dove andare, perdendomi ancora una volta in un oblio di sensazioni smarrite.

venerdì 1 febbraio 2019

...

"From the moment I met you, all those years ago, not a day has gone by when I haven't thought of you. And now that I'm with you again...I'm in agony. The closer I get to you, the worse it gets. The thought of not being with you - I can't breathe. I'm haunted by the kiss that you should never have given me. My heart is beating...hoping that kiss will not become a scar. You are in my very soul, tormenting me...what can I do? I will do anything you ask.
If you are suffering as much as I am, please, tell me."

Anakin Skywalker
Star Wars Episode II: Attack of the Clones

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...